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3. FUORI DAL PENITENZIARIO:ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

3.2. La questione del lavoro penitenziario: aspetti e criticità

3.2.2. Il lavoro Intramurario

Il lavoro intramurario, intuitivamente, si qualifica come l’attività lavorativa svolta da detenuti all’interno dell’istituzione carceraria. All’interno di questa categoria si distingue tra lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e lavoro alle dipendenze di terzi. Questa dicitura sta ad indicare ogni tipo di attività lavorativa svolta dai detenuti all’interno dell’istituzione carceraria, la particolarità del luogo in cui si svolge è ovviamente qualificante. Il datore di lavoro è l’amministrazione carceraria stessa che contrappone questa modalità a quella del lavoro inframurario per conto di terzi di cui parleremo in seguito.121

Il lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, viene identificato

come “Lavoro domestico” e di questo fanno parte tutte quelle serie di compiti, non solo domestici, utili al funzionamento della macchina carceraria, l’addetto

120 Cfr, Pizzera G., Romano C. A., Il lavoro come strumento fondamentale del trattamento penitenziario ed il ruolo della cooperazione sociale, in “Rassegna italiana di criminologia, anno V, n. 3, 2011.

alla manutenzione ordinaria del fabbricato il quale è una sorta di tuttofare, lo scrivano che si occupa di scrivere per coloro che non lo sanno fare, lo spesino che si occupa della distribuzione dei prodotti acquistati dai detenuti e dagli internati, lo scopino che si occupa delle pulizie, il cuoco per la preparazione dei pasti il quale è quanto di più simile ad un lavoratore libero e così via.122

Una fondamentale caratteristica di questo approccio al lavoro è la mancanza della trilateralità tipica di ogni altro tipo di lavoro, dove si hanno agli apici di un triangolo: il lavoratore, il datore di lavoro e l’amministratore del lavoro. In questo caso, infatti, le ultime due figure sono riposte in un unico soggetto e questo crea confusione sui momenti in cui lo stesso sta agendo da datore o da amministratore, questo problema è molto sentito soprattutto per quanto riguarda l’eventualità di rimozione del detenuto dal lavoro. Un’altra caratteristica basilare è rappresentata dalla configurabilità del lavoro carcerario come diritto obbligo, seppure abbia perso il carattere afflittivo che nella storia lo permeava, risulta essere ancora un obbligo per i detenuti in quanto, come già detto, elemento cardine di un trattamento rieducativo globale, diretto alla rieducazione del soggetto al fine di un possibile reinserimento nella collettività, attraverso l’imposizione di modelli di comportamento conformi ai parametri sociali.

Il lavoro intramurario alle dipendenze di terzi è la seconda tipologia di lavoro

inframurario, ed è rappresentata dalle cosiddette lavorazioni, ovvero la produzione di merci destinate al libero mercato o su commessa, prodotte all’interno del carcere da imprese esterne. Tali lavorazioni possono essere istituite organizzate e gestite direttamente dall’amministrazione penitenziaria secondo linee programmatiche determinate dai provveditorati oppure organizzate e gestite da imprese pubbliche o private e in particolar modo da cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni. In questa seconda ipotesi viene introdotto lo strumento delle convenzioni per regolare i rapporti tra le direzioni degli istituti e le imprese, sotto il profilo dell’utilizzo di locali e dei macchinari già presenti nell’istituto, nonché delle modalità di addebito all’impresa delle spese sostenute per lo svolgimento delle attività produttive.

La vendita del prodotto può essere assoggettata a convenzioni stipulate con imprese pubbliche e private che abbiano già una loro distribuzione commerciale, tale provvedimento normativo è stato reso necessario dalla crisi del lavoro penitenziario, per far fronte a questa situazione si è pensato quindi di decentralizzare le produzioni facendo affidamento a quei circuiti che normalmente stanno in piedi da soli, inoltre in questo modo l’amministrazione penitenziaria avrebbe avuto uno sgravio per quanto riguarda gli aspetti organizzativi. I prodotti delle lavorazioni sono destinati a soddisfare nell’ordine, le commesse dell’amministrazione penitenziaria, quelle delle altre amministrazioni statali, di enti pubblici e da ultimo dei privati. Le imprese che accedono a questa tipologia di lavoro possono essere imprese pubbliche, imprese private o cooperative. L’imprenditore esterno che gestisce le lavorazioni, può essere un soggetto pubblico o privato poiché non ha alcuna rilevanza la forma societaria in cui viene esercitata l’attività. Intorno alla metà degli anni ottanta nascono le realtà cooperative che vedono al loro interno soci detenuti e soci liberi, ex detenuti o meno. In quasi tutti i casi lo scopo sociale è la continuità occupazionale alle migliori condizioni economiche, sociali e professionali a favore dei detenuti, come pure la creazione di occupazione in favore di persone libere, in modo tale da aumentare l’integrazione dei detenuti con la società civile. La cooperativa per comodità viene costituita da soci aventi piena capacità e si introducono soci interdetti in un secondo momento previa delibera degli organi della cooperativa stessa. A favore di questa rodata prassi interviene la L. 193/2000 che ha inserito dopo il sedicesimo comma dell’articolo 20 della L. 354/75 questo testo “Agli

effetti della presente legge, per la costituzione e lo svolgimento di rapporti di lavoro nonché per l’assunzione della qualità di socio nelle cooperative sociali, (…), non si applicano le incapacità derivanti da condanne penali o civili”.123 Per

quanto riguarda invece le cariche amministrative delle cooperativa sociale è fatto divieto alla nomina di persone interdette, così solo i soci non detenuti possono ricoprire cariche sociali e rappresentare all’esterno la cooperativa. La cooperativa come ogni altro imprenditore pubblico o privato è tenuta ai prelievi sulle somme

123 Cfr, Legge 354/75, Art. 20,

versate al socio detenuto come retribuzione o utili finanziari.

Le cooperative sociali possono avere ad oggetto anche i servizi interni all’istituto quali la somministrazione del vitto, la pulizia e la manutenzione dei fabbricati, tuttavia l’espressione “servizi interni” cui la norma fa riferimento corrisponde ai tradizionali lavori domestici, svolti dai detenuti alle dirette dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.124 Questo significa che si ammette

di configurare un sistema differenziato di gestione dei servizi interni in una prima ipotesi da parte di cooperative sociali convenzionare con l’amministrazione, come pure di aziende pubbliche o private o in seconda ipotesi direttamente ad opera delle amministrazioni.

Nel corso degli ultimi decenni sono stati presentati disegni di legge accomunati dal fine di perseguire una politica di promozione dell’occupazione penitenziaria attraverso lo strumento delle cooperative sociali e la conseguente previsione di sgravi contributivi e fiscali a favore di queste ultime ed anche coinvolgendo e sostenendo datori di lavoro pubblici e privati intenzionati ad offrire opportunità di lavoro ai detenuti.

La commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato ha approvato nel giugno del 2000, con il favore della commissione, il testo della cosiddetta legge Smuraglia.

Nella relazione che accompagna la legge si evidenzia che seppur il provvedimento legislativo abbia un oggetto circoscritto affronta una problematica valutata di grande rilevanza sociale, poiché il tentativo è quello di promuovere un accesso agevole da parte dei detenuti alle opportunità lavorative.