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3. FUORI DAL PENITENZIARIO:ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

3.3. Rapporto tra carcere e territorio

3.3.4. Rapporto carcere e società

Se lavoro di rete deve essere, dunque, non è pensabile separare le azioni della rete interna con quelle della rete esterna. Pertanto, occorrerebbe favorire la connessione tra le due reti affinché si possa parlare di un effettivo lavoro di rete. Favorire la connessione tra le due reti vuol dire anche aprire le porte del carcere alla società civile. Il rapporto tra carcere e territorio è un tema di cui si è molto parlato e discusso, basti pensare che già la riforma penitenziaria, recependo le indicazioni della Carta Costituzionale, dà molta importanza ai “contatti con il mondo esterno” (art. 15, com. 1).

Anche se il dibattito ha dato maggiore enfasi all’intervento della società civile come controllo dell’apparato istituzionale al fine di “umanizzare la pena”, non si può tralasciare il fatto che il territorio ha un ruolo fondamentale nel percorso di reinserimento della persona detenuta e potrà svolgere appieno il suo ruolo solo se alcuni settori della società civile potranno occuparsi dell’individuo “svantaggiato” già nel corso dell’esecuzione della pena (per esempio, gli operatori della formazione professionale potrebbero benissimo collaborare con l’area trattamentale per la ricerca di uno sbocco lavorativo alla fine del percorso di

formazione), naturalmente con prerogative evidentemente diverse da quelle degli operatori penitenziari.

Se, come dice Ota De Leonardis, le carceri non sono delle “entità metafisiche”140, ma “artefatti umani intenzionali e, come tali, possono essere dagli

uomini modificati, smontati e ricostruiti diversamente”, allora sarà necessario scalfire “l’inerzia [che] non sta solo nell’autoreferenzialità dell’organizzazione ma anche nella resistenza individuale degli operatori che stentano a vedere in modo diverso la loro azione, nella difficoltà, connaturata in ognuno di noi, di accettare di riconoscere i propri errori e farne tesoro nella ricerca di nuove possibili soluzioni”141. Se si riconosce che il confronto tra carcere e territorio è “stimolante

e necessario”, e se si ha la consapevolezza che il carcere è “in grado di modificarsi” perché persiste nella sua autoreferenzialità e non “fa rete”?

Molti spiegano questa discrasia tra il dire e il fare con il timore della perdita di potere decisionale da parte degli operatori penitenziari, di conseguenza tutti i cambiamenti che contrastano con i presupposti del conservatorismo istituzionale vengono rigettati.

Cambiare le prassi della vita intramuraria non è un’operazione così semplice da farsi dall’oggi al domani. I motivi vanno ricercati soprattutto, come si è detto, nel consolidamento di una cultura autoreferenziale del personale carcerario, che rende difficile l’applicazione di pratiche innovative nella gestione quotidiana della vita carceraria. All’interno del carcere, gli operatori hanno consolidato negli anni la loro posizione ed il loro potere che è difficile scardinare con piccole modifiche di facciata. Le innovazioni sono, per definizione, mutamenti nella distribuzione dell’autorità e delle responsabilità all’interno di una qualsiasi organizzazione gerarchica. Nelle istituzioni totali tali mutamenti incontreranno forti opposizioni, a meno che non accrescano l’autorità e la responsabilità di coloro che sono già al potere. Tutti i cambiamenti, siano essi provenienti dall’interno che dall’esterno, che contrastano con gli “interessi del sistema”, diventano impossibili perché minano il potere costituito e tendono ad una nuova distribuzione di esso anche

140 Cfr, De Leonardis O., Le istituzioni: come e perché parlarne, Carocci, Roma, 2001. 141 Cfr, Buffa P., I territori della pena. Alla ricerca dei meccanismi di cambiamento delle prassi penitenziarie, Ega, Torino, 2006.

nella organizzazione burocratica della vita carceraria. L’Istituzione carceraria, dunque, in settori come quello della formazione, del lavoro, dei processi di reinserimento sociale (ma anche della sanità) dovrebbe impegnarsi ad aprirsi al territorio, trovando la massima integrazione con le politiche e le strategie rivolte alla generalità dei cittadini.

La società deve fare ingresso in carcere, con i propri servizi, le proprie risorse e le proprie strategie, soprattutto si dovrebbe favore l'ingresso di figure professionali, ad esempio il ricercatore sociale, il quale, attraverso lo studio delle diverse dinamiche che investono una realtà come quella del carcere, possa far conoscere, anche a persone molto lontane da queste situazioni, ciò che succede al suo interno. In questo modo si può favorire la sensibilizzazione da parte delle alte cariche istituzionali sui temi che riguardano la realtà carceraria e favorire così una corrispondenza delle attività e dei servizi carcerari con quelli territoriali, la quale, avrebbe ricadute positive nei percorsi di reinserimento socio-lavorativo intrapresi dai detenuti, poiché la attività formative seguite all’interno corrisponderebbero a quelle esterne: stesse programmazioni, stessi titoli conseguibili, stessi enti e agenzie organizzatrici.

L’ordinarietà delle iniziative determinerebbe un continuum di offerta e di riferimenti molto importante, basti pensare agli effetti che questo potrebbe avere sulla persona che, a un certo punto dell’esecuzione della pena, inizia a uscire in misura alternativa e, quindi, a confrontarsi con la società esterna. Considerare il carcere come una “istituzione del territorio” a tutti gli effetti non può prescindere da un piano di sviluppo delle politiche territoriali più ampio che comprenda anche una territorializzazione della pena, consentendo ad ognuno di poter scontare la condanna sul proprio territorio. Ciò consentirebbe, oltre a favorire le relazioni familiari e sociali dei detenuti, di agevolare i percorsi di reinserimento e l’accompagnamento da parte dei servizi territoriali. D’altra parte questo scambio tra dentro e fuori potrebbe attenuare anche quegli stereotipi, quei preconcetti e quelle forme di pregiudizio che sovente caratterizzano i rapporti tra carcere e comunità sociale circostante.142

142 Cfr, Migliori S., Carcere, esclusione sociale, diritto alla formazione, Carocci Faber, Roma, 2007.

SEZIONE II