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3. FUORI DAL PENITENZIARIO:ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE

3.3. Rapporto tra carcere e territorio

3.3.2. Il lavoro di rete

I progetti mirati alle attività formative e lavorative dei detenuti hanno bisogno di coordinamento e armonizzazione. Quasi tutti i progetti sociali, ed in particolare quelli che riguardano persone detenute, indicano nel lavoro di rete uno dei metodi più indicati per garantire dopo un periodo di esclusione sociale un effettivo re- inserimento nella società della persona. Da questo discende l’esigenza di costituire, attraverso tutte le istanze pubbliche e private che vorranno intervenire al fine di ampliare il numero e la qualità degli interventi formativi e lavorativi dedicati ai detenuti, un quadro di riferimento comune.

Proprio per questa ragione il lavoro di rete costituisce l’unica possibilità, forse, di operare per limitare l’autoreferenzialità del sistema e ridurre così i danni provocati dalla detenzione. Negli ultimi vent’anni questo sistema si è consolidato considerevolmente: la quantità di soggetti che entrano in carcere (operatori esterni, cooperative, associazioni di volontariato, ecc.) era impensabile fino a qualche anno fa, così come era impensabile lo sviluppo del terzo settore che oggi offre anche occasioni per percorsi di reinserimento socio-lavorativo. Quindi, è convinzione comune tra gli operatori del settore penitenziario che al problema della devianza occorre rispondere con un approccio integrato, per cui il lavoro di rete deve essere un lavoro di coordinamento, interazione, integrazione, concertazione tra i diversi soggetti coinvolti: il detenuto o l’ex-detenuto, gli operatori della formazione professionale, i docenti, il Tribunale di Sorveglianza, il Magistrato competente, la Direzione dell’Istituto penitenziario, l’area trattamentale interna, i Centri di formazione professionale, i centri territoriali, gli UEPE, l’ispettorato al lavoro, i Centri per l’Impiego (CPI), i SERT, le aziende, le cooperative sociali ecc.135

135 Si rimanda al sito www.ristretti.it/areestudio/cultura/scuola/ambroset/sistema.htm., Sistema penitenziario e lavoro di rete, dal quale ho tratto queste indicazioni, per una trattazione più

Detto questo, non si può fare a meno di evidenziare la presenza di elementi critici, dentro e fuori dal carcere, che inconsapevolmente conducono a legittimare il sistema della esclusione, limitando le opportunità per chi è detenuto. Offrire opportunità alla popolazione detenuta significa anche garantire alla comunità civile una possibile riduzione della recidiva e dunque maggiore sicurezza.

Una recente ricerca del Ministero della Giustizia (ma non è l’unica in questo campo) ha dimostrato come l’applicazione delle misure alternative faccia crollare la recidiva a meno del 20%, rispetto al 70% circa che si registra tra le persone detenute che hanno scontato la pena in carcere fino all’ultimo giorno, senza usufruire di queste possibilità. Il concetto di rete fa riferimento ad un insieme di interlocutori coinvolti nell’esecuzione penale intra ed extra muraria, individuati come risorsa utile ai fini dei processi di reinserimento sociale, ossia un insieme di risorse, formali e informali, che concorrono al conseguimento degli obiettivi rieducativi della pena.

La rete interna riguarda il mondo penitenziario il cui sistema non è di facile

comprensione soprattutto per chi accede dall’esterno. È necessario dunque comprendere il sistema interno che si compone di più aree: dal Ministero della Giustizia, al Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (DAP), al Provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria, agli Istituti di pena, all’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE), alla Magistratura di Sorveglianza. In questo macro sistema si collocano i singoli sottosistemi con la loro organizzazione interna che costituisce un vero e proprio mondo: il sistema direttivo, l’area amministrativa (che serve per reggere un istituto), il personale di custodia, l’area pedagogica (composta dagli educatori del Ministero della Giustizia), l’area psico-criminologica, l’area del personale sanitario. È da questa rete che il detenuto dipende interamente, sia per la sua vita quotidiana che per l’intero percorso dell’esecuzione penale. L’esperienza ormai ultradecennale degli operatori della Rete e i dibattiti ad essa connessi hanno evidenziato alcune criticità che si verificano nella interazione con questo livello di rete.136

Una prima questione di fondo risiede proprio nel connubio tra aiuto e controllo.

esauriente su tali criticità. 136 Ivi.

È pacifico che il carcere è impostato su due obiettivi: difesa sociale e rieducazione. Malgrado tutti gli operatori concorrano al trattamento, devono essere salvaguardate le esigenze di sicurezza che sono appannaggio specifico del personale di polizia penitenziaria. Pertanto non si può non avere a che fare con questi operatori se si vuole operare efficacemente. La difficoltà consiste nel percepire, dalla prospettiva di chi opera per il trattamento, l’agente di polizia penitenziaria ancora come “un semplice custode”. D’altra parte anche gli agenti di custodia hanno una percezione “discutibile” di coloro che operano per il trattamento. Insomma, “da entrambe le parti esistono dunque resistenze, muri non semplici da abbattere” in quanto sono chiamati ad attuare programmi diversi: “il custodiale ha il compito e gli strumenti per attuare programmi regolativi, il trattamentale attua invece programmi di prestazioni.137

Un secondo problema è legato all’area pedagogica, ossia al numero “irrisorio” di educatori e alla “involuzione di questo ruolo dalla riforma penitenziaria ad oggi”. Si ritiene utile un intervento strutturale per risolvere non solo i problemi di numero ma anche di migliore utilizzo delle risorse esistenti.

Un altro nodo riguarda “le persone detenute e la loro connessione con la rete interna”. Quando la persona entra in carcere acquisisce lo status di detenuto e la sua vita è strutturata sui rapporti che instaura sia con i suoi compagni che con tutti gli operatori penitenziari. “Rete interna, per un detenuto, vuol dire allora il sistema di relazioni che vive dentro la cella e fuori dalla cella all’interno del contesto basato su premi e punizioni e dunque, per sua natura, infantilizzante e deresponsabilizzante”138.

La rete esterna fa riferimento a tutti gli interlocutori che non operano

all’interno del carcere. Tuttavia, occorre fare una ulteriore distinzione tra “rete informale”, ossia la rete naturale del detenuto (famiglia, amici, conoscenti, relazioni significative, etc.) che può fungere da supporto nei momenti di difficoltà, e la “rete istituzionale”, cioè le risorse territoriali che si occupano del detenuto una

137 Ibid., Per una ricostruzione della cultura professionale e/o giuridica degli operatori penitenziari, cfr. C. Sarzotti , Codice paterno e codice materno, in Favretto-Sarzotti (a cura di), Le carceri dell’AIDS. Indagine su tre realtà italiane,l’Harmattan Italia, Torino, 1999.

volta uscito dal carcere o nel momento in cui sta scontando una misura alternativa. La rete che qui interessa è quella che si mobilita “legalmente” per offrire opportunità concrete alla persona (per esempio, le attività lavorative di parenti o amici, senza le quali non sarebbe possibile un reinserimento). Questo livello della rete è il più importante, perché offre relazioni umane che la rete formale non può offrire. La rete istituzionale è quella dei servizi, delle risorse territoriali organizzate di cui sopra.

La rete esterna, in un certo senso, è anche preposta ad una sorta di “controllo sociale formale” ed è costretta a misurarsi sia con la norma giuridica rappresentata dalle regole che governano le misure alternative, sia con i servizi preposti ad esercitare il controllo, quali le forze dell’ordine e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE), che comprende anche il Centro di Servizio Sociale per Adulti (CSSA). Di fatto, non esistono servizi territoriali specificamente dedicati al reinserimento dei detenuti, ma esiste una logica secondo la quale tutti i servizi sociali esistenti sul territorio dovrebbero avere automaticamente la competenza ad operare in questo campo in virtù del DPR 616/77.

Quindi, il detenuto che esce dal carcere può rivolgersi a tutte le risorse dell’ente locale. Tuttavia, la realtà è un’altra. Gli operatori che lavorano sul territorio non hanno una formazione ad hoc relativamente al sistema penitenziario e questo impedisce una presa in carico mirata; il risultato è che chi proviene da un’esperienza detentiva non trova facilmente un supporto esterno. Il circuito dentro il quale la persona detenuta solitamente entra è quello dei Servizi di inserimento lavorativo che, a loro volta, sono connessi ad una rete di risorse locali (il più delle volte connessi al Terzo Settore) che offrono opportunità lavorative. 139