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Le coaching skills per l’engagement

Capitolo 3 – Il contributo del Coaching all’Engagement

3.7 Le coaching skills per l’engagement

All’inizio del capitolo abbiamo anticipato che quando i manager agiscono secondo i principi del coaching, puntano al saper essere della persona, oltre che al sapere e saper fare; dunque, perseguono attivamente l’empowerment, la riuscita e la realizzazione dei collaboratori e, in questo stesso tentativo, riescono a dar forma e a costituire gran parte dei drivers dell’engagement osservabili al livello operativo. In questo paragrafo conclusivo cercheremo di focalizzare l’attenzione su come tutto ciò sia possibile.

Dunque per il manager, perseguire l’empowerment dei collaboratori, significa innanzitutto saper rinunciare alle proprie pretese di controllo, ovvero adottare uno stile non direttivo orientato all’autonomia alle persone; ed è questo un driver fondamentale nella prospettiva dell’engagement, poiché genera benessere, soddisfazione e motivazione intrinseca. Tuttavia, fin troppo spesso l’autonomia è intesa esclusivamente come caratteristica dell’attività lavorativa, e ciò porta a concludere che solo determinate professioni possano dirsi realmente autonome. Il manager che agisce come coach, invece, riesce a concepire tale risorsa prima di tutto in termini di libertà e capacità di pensiero autonomo, e proprio per questo è in grado di limitare le istruzioni alle circostanze che effettivamente le richiedono, per ricorrere sistematicamente alla modalità interrogativa. Il manager/coach, infatti, pone domande ai collaboratori, incoraggiandoli così a ragionare con la propria testa e a trovare le proprie soluzioni. L’autonomia, quindi, sta innanzitutto nella possibilità di offrire il proprio contributo perché questo è espressamente richiesto e, allo stesso tempo, preso in considerazione. In tal senso è evidente come l’autonomia generi partecipazione attiva che è uno dei principali strumenti attraverso cui si persegue, non solo l’empowerment, ma anche l’engagement della persona. Difatti la voce dei dipendenti rientra a pieno titolo tra i driver del costrutto, ed è chiaro che essa prende forma nel momento in cui si inizia a ricercare, sollecitare e valutare il punto di vista e il contributo dei singoli lavoratori (MacLeod, Clarke, 2009); ovvero nel momento in cui il management sostituisce la forma imperativa con quella interrogativa. A maggior ragione, quando alla libertà di pensiero e di contributo si accompagna la discrezionalità, ovvero la possibilità di decidere e agire, allora l’individuo è

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pienamente autonomo e questo comporta, da un lato responsabilità, perché effettivamente la persona è nelle condizioni di rispondere delle proprie decisioni e azioni, e dall’altro lato apprendimento attraverso l’esperienza, quindi possibilità concrete di sviluppo professionale e personale; ed entrambi i fattori (responsabilità e sviluppo), come analizzato, rientrano tra i drivers dell’engagement.

D’altra parte, per il manager, perseguire l’empowerment dei collaboratori significa anche saper guardare oltre le loro performance, ovvero adottare un approccio strenght-based orientato alla scoperta e all’allenamento di risorse e talenti potenziali, in modo da trasformarli in veri e propri punti di forza che manifestano la potenza stessa delle persone. Risorse e talenti come, appunto, l’ottimismo, la proattività, la resilienza, l’assertività, l’autostima, l’auto-efficacia, l’entusiasmo; e ancora la creatività, l’intelligenza emotiva/sociale, l’intraprendenza, la determinazione. Questo processo di scoperta/allenamento delle potenzialità che il manager/coach è in grado di innescare, come analizzato in precedenza, comporta un ulteriore ampliamento della competenza, nelle sue dimensioni del sapere (conoscenza di sé), del saper fare (esercizio intenzionale) e soprattutto del saper essere, dal momento che i punti di forza non sono altro che qualità positive e manifeste dell’essere; tra l’altro qualità indubbiamente rilevanti per la performance. Quindi, anche attraverso l’approccio strenght-based, il manager/coach riesce a concretizzare quelle possibilità di sviluppo professionale e personale che alimentano l’engagement, poiché di fatto comportano motivazione intrinseca e sentimento di valorizzazione nei collaboratori.

Un’ultima riflessione riguarda il fatto che lo stile di gestione orientato all’empowerment, adottato dal manager che sceglie di agire come un coach, si ripercuote positivamente anche sulla varietà, che è un altro fattore in grado di facilitare l’engagement. Essa fa riferimento, come detto in precedenza, all’insieme di abilità che il lavoratore riesce ad acquisire e impiegare nello svolgimento dell’attività lavorativa. Da questo punto di vista è evidente che il manager/coach, incoraggiando i collaboratori a pensare, decidere e agire in modo autonomo e a lavorare sul proprio potenziale, li stimola e li sfida ad uscire dalla zona di comfort ed entrare in quella di sviluppo prossimale, dove si apprende e si migliora; dove, in sostanza, il ventaglio di abilità dei collaboratori può essere costantemente ampliato e rafforzato, a tutto vantaggio della loro motivazione intrinseca. E veniamo al secondo punto: la riuscita. Dunque per il manager, perseguire la riuscita dei propri collaboratori significa innanzitutto essere in grado di costruire un rapporto tendenzialmente paritetico, e comunque fiduciario e collaborativo, in virtù del quale lui stesso è percepito come

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risorsa. Una risorsa, per definizione35, è una fonte di aiuto, e ciò richiama evidentemente quella

dimensione di sostegno sociale unanimemente inclusa tra i drivers dell’engagement. A livello accademico, infatti, è ormai assodato che il sostegno del manager riduce lo stress prodotto da ingenti richieste lavorative, produce motivazione intrinseca, perché soddisfa l’altrui bisogno di appartenenza, e allo stesso tempo motivazione estrinseca, perché agevola di fatto nella realizzazione degli obiettivi, ovvero nella riuscita. Quindi, il sostegno è inteso in termini sia emotivi che strumentali. Nel primo caso esso implica la possibilità di condividere vissuti ed esperienze lavorative che gravano sull’individuo; possibilità che si concretizza perché il manager che agisce come coach è capace di accogliere il lavoratore, nel suo essere persona, e di ascoltare il suo racconto attivando l’empatia. Ecco quindi altri due drivers dell’engagement: la condivisione e l’ascolto attivo. Quando è inteso in termini strumentali, invece, il sostegno sociale implica la capacità del manager/coach di accompagnare concretamente il collaboratore verso il raggiungimento dei suoi obiettivi; e ciò richiede, come analizzato in precedenza, chiara definizione degli stessi, analisi della realtà e ricerca delle opzioni praticabili, elaborazione di un efficace piano di azione e monitoraggio, attraverso il feedback, del percorso intrapreso (G.R.O.W.). Nell’ambito di questo processo, però, il manager/coach resta consapevole dei limiti del proprio ruolo: il suo compito non è fornire risposte preconfezionate ai propri collaboratori, ma richiamarli alla responsabilità, attraverso l’autonomia, e incoraggiarli a ricercare le proprie soluzioni. Ed è proprio questa chiarezza dei ruoli che gli consente poi di riconoscere il merito dei singoli lavoratori e di apprezzarne l’impegno. D’altra parte, proprio questo approccio alla gestione del lavoro, come analizzato in precedenza, favorisce l’engagement: un approccio che persegue la chiarezza dei ruoli e degli obiettivi, che incoraggia alla partecipazione attiva (sempre attraverso l’autonomia) e che utilizza il feedback sia come strumento di monitoraggio e miglioramento della performance, sia come strumento di riconoscimento.

Infine, per il manager, perseguire la realizzazione dei propri collaboratori significa essere in grado di accompagnarli nella scoperta del proprio mondo interiore, nella ricerca dei propri valori e delle aspirazioni più elevate; in altri termini aiutarli a chiarire, non solo quali obiettivi desiderano raggiungere, ma anche perché (Schaufeli et al., 2012). Ed è questo un processo fondamentale sia nella prospettiva della realizzazione personale nel lavoro, che abbiamo visto essere strettamente collegata alla ricerca di scopo e di significato, come pure alla possibilità di conformare il proprio essere e il proprio agire ai propri valori più profondi (Maslow, 1954); sia nella prospettiva dell’engagement, in quanto può esserci reale coinvolgimento lavorativo solo se l’attività che si

35 Risorsa [dal fr. ressource, der. del lat. resurgĕre «risorgere»]: qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specie in situazioni di necessità.

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svolge e gli obiettivi che si perseguono in essa sono in linea con i propri valori personali (Schaufeli et al., 2012). Ma non potrebbe essere altrimenti, dal momento che proprio questo genere di allineamento crea le condizioni necessarie per esperire stati ottimali di flusso (flow), e allo stesso tempo è la base della soddisfazione (che genera benessere) e della motivazione intrinseca (che produce performance qualitativamente migliori). Nelle esperienze lavorative presentate e analizzate in precedenza questo aspetto è emerso chiaramente. L’amministratore delegato, attraverso il coaching è arrivato a comprendere che ciò che voleva realmente era fare azienda in modo diverso, mettendo al centro il benessere suo e dei propri collaboratori. Analogamente l’area manager, attraverso una formazione orientata al saper essere (aspetto “umano”), non solo al sapere e al saper fare (aspetto “tecnico”), è riuscito a maturare una filosofia di vita e di lavoro che lui stesso ha sintetizzato in due massime, ovvero “essere la differenza per fare la differenza” e a maggior ragione “lasciare le persone diverse da come le hai trovate”; tali massime riassumono ciò che per lui è importante: partire da se stesso, dalla propria crescita, per poi innescare lo stesso processo anche negli altri. Dunque, è la consapevolezza il motore più potente del work engagement, di quella passione che arde e che contagia; e questo genere di consapevolezza non può essere che intesa, a nostro avviso, come qualità suprema, emergente da un profondo e coraggioso lavoro sull’essere.

C’è però un ulteriore aspetto da prendere in considerazione, ovvero il fatto che la consapevolezza dei propri valori deve essere accompagnata dalla volontà di perseguirli; e i valori sono perseguiti e attualizzati nella relazione con se stessi ma anche con gli altri. Tale aspetto si evince perfettamente anche dai case history riportati: da una rinnovata consapevolezza dei nostri protagonisti, è derivato un diverso approccio al lavoro ma anche ai collaboratori; quell’approccio che si traduce nell’essere risorsa (di aiuto e di beneficio) per se stessi e per gli altri. In ciò si manifesta l’integrità del management che, come visto è un driver cruciale dell’engagement; dalla congruenza tra il dire e il fare, dal fatto che il saper essere è sostenuto costantemente dal voler essere, ossia dalla volontà di esprimere i propri valori e le proprie qualità migliori in ciò che si fa sul lavoro e nei rapporti che si hanno sul lavoro. Ciò comporta, evidentemente, un miglioramento spontaneo dell’atmosfera lavorativa, ovvero conduce alla creazione di quel clima rispettoso, supportivo e collaborativo che, come visto, rappresenta una priorità del manager/coach e che, a maggior ragione, veicola e alimenta l’engagement. Ma è chiaro che l’integrità e la sana atmosfera che essa produce non sono altro che la conseguenza di un saper essere che, consapevolmente ed intenzionalmente, si riflette nelle relazioni, ovvero di un saper essere in relazione. Ed in tal senso non è un caso che lo stesso Whitmore, abbia inteso il business coaching, non come mero insieme di tecniche da applicare rigidamente ed estemporaneamente in circostanze specifiche, ma come un

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modo di pensare, di dirigere e di trattare le persone, ovvero come un modo di essere e di relazionarsi (Whitmore, 2003).

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