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Le Intese: legittimazioni o discriminazioni? 171

PARTE III. LA DEFINIZIONE DI UN USO LEGITTIMO DELLO SPAZIO

CAPITOLO 1. LA NORMA

1.4 Le Intese: legittimazioni o discriminazioni? 171

I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati dall’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, firmato nell’1984509 dal Presidente del Consiglio dell’epoca, Bettino Craxi, a cui è seguita l’elaborazione di una disciplina concernente gli enti e i beni ecclesiastici510. Per quanto riguarda i rapporti con le altre confessioni religiose, essi possono essere regolati attraverso il sistema delle Intese, così come indicato dal già citato articolo 8 della Costituzione511. La religione musulmana non

509 L’“Accordo di Villa Madama” è firmato a Roma il 18 marzo 1984 e autorizzato con la legge25

marzo 1985, n. 121

510

L. 20 maggio 1985, n. 222, Disposizioni sugli enti e i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi

511 Dal 1984 ad oggi, sono dodici le confessioni religiose che hanno firmato un’Intesa: la Tavola

valdese (1984), Assemblee di Dio in Italia (ADI) (1986), Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (1986), Unione Comunità Ebraiche in Italia (UCEI) (1987), Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (UCEBI) (1993), Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI) (1993), Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale (2007), Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (2007), Chiesa Apostolica in Italia (2007), Unione Buddista italiana (UBI)

rientra in questa lista poiché non è mai riuscita a pervenire alla formulazione di un’Intesa, nonostante i ripetuti tentativi portati avanti da alcune rappresentanze islamiche nel corso degli ultimi venti anni. Essa, come sottolineano Spreafico e Coppi, “ha acquisito un valore simbolico per la piena legittimazione giuridica e sociale dell’islam, della sua identità culturale e dei diritti ad esso connessi – tanto più se si pensa al fatto che è costituito in molti casi da immigrati privi di cittadinanza”512. Sebbene in linea di principio la mancanza della formulazione di un’Intesa non dovrebbe rappresentare un elemento di disparità, poiché la soddisfazione delle esigenze religiose dei cittadini attiene alla libertà di religione, essa ha di fatto causato grandi difficoltà alle comunità islamiche d’Italia per quanto riguarda l’ottenimento di alcuni diritti, anche in materia di edilizia di culto. Di fatto, le normative regionali hanno spesso limitato alle sole confessioni con Intesa, oltre alla Chiesa cattolica, il godimento degli interventi finanziari513. Come spiega Botta, infatti,

la disparità di trattamento che emerge dalla citata normativa pattizia testimonia indubbiamente il persistere del nostro ordinamento di un favor nei confronti della Chiesa cattolica, la quale appare anche come destinataria privilegiata degli interventi finanziari previsti dalla già ricordata legislazione regionale relativa all’edilizia di culto. Anzi lo svilupparsi di un regime di Intese in attuazione della disposizione di cui al 3° co. dell’art. 8 Cost. ha paradossalmente accresciuto le fattispecie di discriminazione introducendo nel sistema un altro fattore capace di produrre disparità di trattamento, cioè la distinzione tra confessioni munite di Intesa e confessioni prive di Intesa514.

A questo riguardo, uno dei principali problemi riguarda l’accesso ai benefici per l’edilizia di culto. Nel 1993 la Corte Costituzionale è intervenuta515 censurando una legge regionale abruzzese e riaffermando i principi costituzionali di libertà e uguaglianza. Diverse regioni, tra cui Liguria516 e Abruzzo517, aveva stabilito di

(2007), Unione Induista italiana (2007), Congregazione cristiana dei testimoni di Geova (2007, non ancora approvata con legge). Le date indicate tra parentesi indicano l’anno di firma dell’Intesa, non quello della leggedi approvazione. Tutte le Intese – tranne quella della Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, come indicato nel testo – sono state successivamente ratificate

512 Spreafico Andrea, Coppi Andrea, op. cit., p. 17 513 Marchei Natascia, op. cit.

514 Botta Raffaele, 2000, op. cit., pp. 116-117 515

Corte Cost., n.195, 1993

516

L.r. 24 gennaio 1985, n. 4

riservare una quota dei proventi delle concessioni edilizie a chiese e altri edifici per servizi religiosi e tramite finanziamenti alle confessioni religiose interessate518. Il problema è che molte regioni hanno vincolato il contributo alla Chiesa cattolica e alle sole confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato italiano fossero disciplinati da un’Intesa519. La Corte Costituzionale è intervenuta in relazione alla legge della Regione Abruzzo520, dichiarandone sostanzialmente l’illegittimità. Essa ha, infatti, affermato che rispetto all’esigenza

[…] di assicurare edifici aperti al culto pubblico mediante l'assegnazione delle aree necessarie e delle relative agevolazioni, la posizione delle confessioni religiose va presa in considerazione in quanto preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini, e cioè in funzione di un effettivo godimento del diritto di libertà religiosa, che comprende l'esercizio pubblico del culto professato come esplicitamente sancito dall'art. 19 della Costituzione. In questa prospettiva tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti. L’aver stipulato l’Intesa prevista dall’art. 8, terzo comma, della Costituzione per regolare in modo speciale i rapporti con lo Stato non può quindi costituire l’elemento di discriminazione nell’applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio di un diritto di libertà dei cittadini.

La sentenza ribadisce il principio di libertà sancito dalla Costituzione a cui si devono riferire le normative in materia di organizzazione del culto:

Invero, tutte le confessioni religiose sono - secondo il dettato dell'art. 8, primo comma, della Costituzione - egualmente libere davanti alla legge. A questo principio generale si aggiunge, nella disciplina del citato art. 8, l'affermazione del diritto delle confessioni di «organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano» […], cui segue la facoltà di aver rapporti con lo Stato, da disciplinare per legge sulla base di intese con le rappresentanze delle confessioni organizzate […].

La stipula di un’Intesa non può dunque costituire un discrimine rispetto a un’eguale libertà di ogni confessione religiosa davanti alla legge. Un aspetto importante che

518 Roccella Alberto, 2008, op. cit., pp. 82-83

519 Secondo il già citato art. 8, terzo comma, della Costituzione 520

Sent. N. 195, 1993. Il giudizio della Corte Costituzionale nasce dal ricorso proposto dalla Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova contro il Comune dell’Aquila, rifiutatosi di assegnare i contributi previsti dalla legge regionale

emerge dalla sentenza, e che evidentemente non appare per nulla scontato, è il fatto che non possono essere definite per legge religioni più legittime di altre.

La Corte nella medesima occasione ha fornito una definizione di “confessione religiosa”, necessaria a tracciare dei confini tra chi sia legittimato a ricevere benefici e chi ne debba essere escluso.

Per l’ammissione ai benefici sopra descritti non può bastare che il richiedente si autoqualifichi con le confessione religiosa. Nulla quaestio quando sussista un’Intesa con lo Stato. In mancanza di questa, la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione.

Non è dunque solo la legge a stabilire lo “status” di confessione religiosa, ma anche altri tipi di riconoscimenti pubblici, o la comune considerazione. Una volta stabilita la natura di confessione religiosa, il criterio di attribuzione dei contributi previsti dalla legge per l’edilizia di culto è da ricercarsi nella “consistenza ed incidenza sociale della confessione richiedente e all’accettazione da parte della medesima delle relative condizioni e vincoli di destinazione”. La sentenza ha dunque giudicato sia opportuno l’utilizzo di un criterio quantitativo, non meglio stabilito, in riferimento all’entità della presenza sul territorio nella ripartizione dei contributi economici. In seguito alla sentenza della Corte costituzionale, la Regione Abruzzo ha modificato la propria normativa, integrandone le indicazioni. Anche altre due Regioni, Liguria e Piemonte, all’interno delle cui normative comparivano disposizioni analoghe a quelle abruzzesi, si sono adeguate spontaneamente alla sentenza. Al contrario, altre Regioni, tra cui la Lombardia, non hanno modificato spontaneamente la propria normativa, contenente elementi in contrasto con la sentenza citata. Nel 2002521 la Corte Costituzionale è chiamata a esprimersi anche sulla legittimità delle disposizioni lombarde522, riaffermando i principi espressi nella precedente pronuncia, quindi l’illegittimità della norma impugnata, e mettendo in luce la mancanza di

521 Corte Cost., n. 346, 2002

522 L. r. Lombardia 9 maggio 1992, n. 20, art. 1 (Norme per la realizzazione di edifici di culto e di

attrezzature destinate a servizi religiosi). Il caso nasce per il rifiuto da parte del Comune di Cremona di assegnare i contributi previsti dalla legge della regione Lombardia 9 maggio 1992, n. 20 alla Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, così come era avvenuto per la sentenza del 1993

adeguamento da parte di altre leggi regionali affini a quella della Regione Abruzzo. La Corte afferma inoltre che:

le intese di cui all’art. 8, terzo comma, sono lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti che si collegano alle specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione, loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose.

La sentenza sottolinea inoltre la mancanza nell’ordinamento di criteri legali precisi che definiscano le “confessioni religiose”. Ciononostante, il riferimento all’esistenza dell’Intesa non può

valere come elemento oggettivo di qualificazione delle organizzazioni richiedenti, atto a distinguere le confessioni religiose da diversi fenomeni di organizzazione sociale che pretendessero tuttavia di accedere ai benefici. È bensì vero che siffatto problema di qualificazione si pone sia in sede di applicazione dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, ai fini di identificare i soggetti che possono chiedere di stipulare le intese, sia in sede di applicazione, amministrativa o giurisprudenziale, di ogni altra norma che abbia come destinatarie le confessioni religiose. Ma ciò non significa che si possa confondere tale problema qualificatorio - che può essere, in concreto, di più o meno difficile soluzione - con un requisito, quello della stipulazione di intese, che presuppone bensì la qualità di confessione religiosa, ma non si identifica con essa.

La Corte è tornata dunque sulla definizione stessa delle Intese, sulla quale si era già soffermata nella precedente sentenza citata, che è stata a suo avviso travisata dalle normative regionali, e aggiungerei anche dal discorso politico, che hanno attribuito a questi accordi significati impropri. Le Intese sono dunque nate come strumento di regolamentazione di specificità delle confessioni religiose, in particolare nei loro aspetti che richiedano deroghe al diritto comune (ad esempio festività, norme alimentari, etc.). Non possono costituire e condizionare in alcun modo la libertà religiosa, né costituire un criterio di legittimazione di una confessione agli occhi della legge prioritario rispetto a chi ne sia sprovvisto. Infine, non possono nemmeno sostituire una definizione di “confessione religiosa”. Tutto questo è particolarmente

rilevante nel caso della minoranza musulmana che, sprovvista di Intesa, fatica a vedersi riconoscere la propria libertà religiosa e di realizzazione di luoghi di culto.