PARTE I. LO SPAZIO URBANO, L’ISLAM E L’ITALIA
CAPITOLO 1. SPAZIO URBANO E SPAZIO RELIGIOSO
1.3 Più religioni nello spazio 44
È utile evocare, per arrivare a parlare delle minoranze religiose che vivono oggi lo spazio europeo, di alcuni momenti della storia europea di più acuta “confessionalizzazione dello spazio”135. Si tratta di situazioni in cui si è instaurata una nuova dominazione religiosa, o di competizione religiosa, utili da osservare nella loro materializzazione nello spazio urbano. La cristianizzazione, la Riconquista spagnola, la Controriforma e la Restaurazione del XIX secolo rappresentano alcuni dei momenti più intensi che l’Europa abbia conosciuto in tal senso136. Esempio interessante di un’affermazione spaziale da parte di una religione divenuta dominante è la Spagna della Riconquista, in cui alla diffusione del controllo cattolico sullo spazio seguì un periodo di coabitazione tra le tre religioni - cattolicesimo, islam ed ebraismo - presenti.
All’epoca della Riconquista cattolica della Spagna musulmana, la prima urgenza consistette nella distruzione o nella cancellazione dei simboli musulmani. Cordova, Siviglia e una moltitudine di località spagnole meno celebri hanno visto le loro moschee diventare chiese, i loro minareti diventare campanili. 137.
Quelle che sono divenute le minoranze sono oggetto di una stretta regolamentazione che ne limita presenza e pratiche nello spazio.
Le minoranze religiose sono escluse fisicamente, o simbolicamente, dalle città, chiuse in certi quartieri o fuori dalle mura. Questi quartieri sono delimitati e sorvegliati; lo spazio è chiaramente dominato dai cristiani. Nella maggioranza dei casi, è fatto divieto alle minoranze di costruire una nuova moschea o sinagoga. Il richiamo alla preghiera del muezzin non è tollerato e si cerca al contrario di imporre alle minoranze il ritmo di riposo cristiano. Questa segregazione spaziale si prolunga in una segregazione attraverso l’abbigliamento […]. Il Concilio Lateranense IV (1215) ha imposto questa visibilità dei non cristiani nello spazio pubblico cristiano imponendo loro un abbigliamento particolare.138
135 Morelli Anne, op. cit., p. 12 136
Ibid.
137
Morelli Anne, op. cit., p. 12
La Spagna della Riconquista, almeno fino a quando ha accettato al proprio interno la presenza di enclaves non cattoliche, è quindi un esempio del verificarsi di una coesistenza tra diverse confessioni religiose all’interno di uno stesso territorio. L’esito di questa situazione ha portato a volte all’espulsione della minoranza. “In alcuni casi non è tollerata la presenza di seguaci di altre religioni. […] Nell’antichità ciò costituiva quasi la regola”139. Altre volte, come nel caso dei ghetti ebraici, “quando è stato ammesso nella città un culto straniero, i suoi seguaci vengono segregati in determinati quartieri”140. Con l’avvento del protestantesimo i casi di compresenza di due religioni nello stesso spazio si moltiplicano. In questo contesto, l’Editto di Tolleranza del 1781 è un esempio di regolamentazione del rapporto tra due culti, quello cattolico e protestante:
I protestanti si vedono riconoscere il diritto, in tutti gli Stati sui quali l’Imperatore d’Austria avesse autorità, “di esercitare la loro religione ovunque e in maniera appropriata”. Ciononostante, il testo precisa immediatamente di seguito che “la sola religione cattolica romana godrà della prerogativa di un esercizio pubblico del suo culto”.141
Libertà di coscienza per i protestanti e, in via teorica, anche di pratica del culto. Sostanzialmente, però, il solo culto cattolico ha piena legittimità nello spazio pubblico, di cui potrà godere appieno, mentre i protestanti si vedranno rigidamente regolamentati nella loro pratica religiosa e privati dell’uso dello spazio pubblico. Per Deffontaines, “uno dei problemi più gravi che l’urbanesimo dovette affrontare” è quello della coesistenza nello stesso agglomerato tra diverse confessioni religiose: “le più grandi divergenze e i dissidi più gravi tra i cittadini sono spesso stati di carattere religioso”142.
Per arrivare all’oggi, l’Europa della seconda metà del XX secolo, che vede l’arrivo di “religioni un tempo considerate lontane [che] vivono insieme in una stessa società”143, e in uno stesso spazio urbano aggiungerei, è un’Europa ben diversa da
139 Deffontaines Pierre, op. cit., pp. 165-166 140 Ibid.
141
Morelli Anne, op. cit., p. 13
142
Deffontaines Pierre, op. cit., p. 165
quella dei secoli delle guerre di religione. Si tratta di un momento in cui il ruolo della religione nella sfera pubblica ha innanzitutto subito, nota Stefano Allievi,
modificazioni legate ai processi concomitanti di secolarizzazione, di separazione della sfera religiosa dalle altre sfere sociali, di privatizzazione dell’esperienza religiosa, di pluralizzazione progressiva, con la sparizione contestuale e sostanziale dei monopoli religiosi (o almeno la diminuzione del loro potere e della loro capacità di presa sul sociale, anche quando il loro ruolo istituzionale resta significativo), etc.144
Oltre a cambiamenti di tipo strutturale, mette ancora in luce Allievi, anche le “modalità soggettive di appartenenza” vedono una riconfigurazione e una frammentazione dell’appartenenza di tipo tradizionale, si potrebbe dire “ereditaria”, che può prevedere la commistione con elementi afferenti ad altri mondi religiosi, il rifiuto o la conversione ad un’altra religione.
È sulla carta (e sulle Carte) un’Europa laica, dove vige la libertà religiosa. Si tratta di un’Europa “disincantata”, nella definizione di Weber, quantomeno nelle sue istituzioni, in cui la libertà religiosa è ampiamente riconosciuta. Non tutte le religioni sono, però, ugualmente legittimate ad accedere a quella libertà e a posizionarsi nello spazio europeo. Le nuove minoranze sono di fatto tenute, in gradi e misure diverse, a costruire la propria legittimità. “Lo spazio pubblico è, nei differenti casi europei, un luogo di confronto simbolico, di lotte di influenza, di conflitti per il riconoscimento delle identità religiose”145. Si tratta quindi di uno spazio conteso, all’interno del quale le minoranze religiose tentano di costruire un proprio diritto alla città.
144
Allievi Stefano, 2001, op. cit., p. 35