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PARTE III. LA DEFINIZIONE DI UN USO LEGITTIMO DELLO SPAZIO

CAPITOLO 1. LA NORMA

1.5 La Regione Lombardia 176

La situazione che di fatto è osservabile nella regione lombarda, e penso in particolare al caso di Milano che ho analizzato in questo lavoro, è la presenza di numerosi luoghi di preghiera di confessioni religiose non cattoliche creati cercando di ovviare alle difficoltà normative. Infatti, di fronte alla difficoltà di accedere a permessi e contributi per la realizzazione di luoghi di culto riconosciuti e ufficiali seguendo l’iter normativo, e a porre dunque in atto un diritto costituzionale, la strada percorsa da varie comunità religiose, tra cui quella musulmana, è stata quella di ricorrere ad alcuni espedienti. La consuetudine che si è sviluppata è quella di adibire “a luogo di culto pubblico edifici che esistono già, che sono di proprietà (o nella loro disponibilità) e che hanno la destinazione a sede di associazione culturale o religiosa […] e, solo successivamente, chiedono all’autorità competente il cambio di destinazione d’uso”523. Si tratta, però, di una consuetudine di sempre più difficile attuazione per le nuove leggi regionali promulgate che regolano la materia dell’edilizia di culto. Queste ultime, inoltre, hanno bloccato anche progetti di moschee ad hoc che erano difficoltosamente portati avanti da anni e che avevano già ottenuto le necessarie autorizzazioni da parte dell’istituzione comunale a Milano, come nel caso della Co.Re.Is..

Le nuove normative si sono sviluppate a seguito della riforma costituzionale del 2001. La Regione Lombardia ha varato, infatti, nel 2005524 una nuova legge per il

governo del territorio per definire forme e modalità di esercizio delle competenze

spettanti alla Regione e agli enti locali525.

523

Marchei Natascia, op. cit., p. 342

524

L.r. 11 marzo 2005, n. 12

Riguardo le “norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi” la nuova normativa regionale stabilisce che Regioni e comuni concorrono a promuovere per quanto riguarda la Chiesa cattolica “la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi”526. La normativa si applica alle altre confessioni religiose come segue:

Le disposizioni del presente capo si applicano anche agli enti delle altre confessioni religiose come tali qualificate in base a criteri desumibili dall’ordinamento ed aventi una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune ove siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e previa stipulazione di convenzione tra il comune e le confessioni interessate.527

Rispetto alle limitazioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 2002, analizzata nel paragrafo precedente, la nuova legge ha rimosso la limitazione inerente alla stipula di Intese da parte delle confessioni religiose, giudicata illegittima. Le nuove norme, però, mantengono un’evidente discriminazione nell’individuazione dei destinatari della normativa, ovvero tra la Chiesa cattolica e tutte le altre confessioni religiose. Per queste ultime, infatti, sono stabiliti i quattro requisiti più sopra riportati, sia per quanto concerne il finanziamento dell’edilizia di culto, sia per la pianificazione comunale, e quindi l’individuazione delle aree, delle attrezzature religiose. I criteri così riformulati appaiono, però, ampiamente discutibili. Come nota Roccella, “il requisito della qualificazione come confessioni religiose in base a criteri desumibili dall’ordinamento è tautologico e quindi non è di vero aiuto per l’interprete. Il requisito della presenza della confessione religiosa nell’ambito del comune è suscettibile di gravi incertezze applicative poiché la presenza è qualificata con ben tre aggettivi: diffusa, organizzata e stabile”528. Infine, l’ultimo requisito, quella della stipulazione di una convenzione i cui contenuti non vengono meglio definiti, suscita ancora più perplessità. Sostanzialmente, se nella legge precedente la stipula di un’Intesa con lo Stato costituiva un requisito discriminante per l’accesso a permessi e

526

Legge 11 marzo 2005, n. 12, art. 70

527

Ibid. (cors. mio)

benefici, ora essa viene sostituita da un a sorta di intesa locale, i cui contenuti rimangono vaghi e che non costituisce in effetti un vero obbligo per il Comune. “Il requisito normativo di una convenzione dai contenuti indeterminati rischia però di costituire l’occasione per l’autorità civile di escogitare ostacoli per le confessioni religiose diverse dalla Chiesa cattolica, ritardando la stipula della convenzione o richiedendo l’inserzione in essa di clausole-capestro inaccettabili”529. La nuova legge, dunque, lascia ampi margini di discrezionalità alle autorità comunali, in mancanza di parametri normativi che indirizzino il potere della pubblica amministrazione. Secondo Marchei, di conseguenza “queste si trovano, di fatto, già in questa prima fase di «abilitazione» all’istanza a essere arbitre del buon esito o meno della richiesta della confessione, diversa dalla cattolica, di avere la disponibilità di un luogo deputato al culto”530.

A rendere ancora più difficoltoso l’iter nei confronti delle confessioni religiose diverse da quella cattolica sono le successive integrazioni normative restrittive alla legge sul governo del territorio. Le integrazioni che nel 2006 e nel 2011 vengono apportate sanciscono dapprima che i

mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di costruire anche in assenza di modifiche strutturali.531

Quindi anche nel caso in cui la semplice modifica della destinazione d’uso non comportino la realizzazione di opere edilizie, non è più sufficiente una denuncia di inizio di attività edilizia (D.I.A.)532.

Sono inoltre da considerarsi attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi

gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali.533

529 Id., 2008, op. cit., p. 97

530 Marchei Natascia, op. cit., p. 342 531

L.r. Lombardia 14 luglio 2006, n. 12, art. 1, comma 1, lett. m che ha aggiunto il comma 3-bis all’art. 52 della L.r. n. 12 del 2005

Questa formulazione permette alle autorità comunali di esercitare “un controllo in relazione a tutti gli edifici comunque collegati alla religione, o all’esercizio del culto”534.

A commento di queste novità normative emanate dalla Regione Lombardia, governata negli stessi anni da amministrazioni di centro-destra su cui un partito come la Lega Nord ha un peso molto rilevante, Roccella sottolinea che “la nuova disposizione formalmente si riferisce ai luoghi di culto di tutte le confessioni religiose, ma è solo apparentemente neutrale: nella sostanza essa costituisce un aggravamento destinato a incidere sui luoghi di culto delle sole confessioni religiose diverse dalla cattolica, per le quali il problema effettivamente si pone”535.