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Le prospettive della ricerca 68

PARTE I. LO SPAZIO URBANO, L’ISLAM E L’ITALIA

CAPITOLO 2. L’ISLAM E LE MOSCHEE IN ITALIA

2.5 Le moschee 66

2.5.1 Le prospettive della ricerca 68

L’attenzione nei confronti dell’“islamizzazione”235 del paesaggio urbano europeo è molto aumentata negli ultimi decenni, arricchendosi di contributi provenienti da varie discipline. Molti degli studi si concentrano sul significato di una crescente visibilità dei musulmani nello spazio pubblico, dell’accesso e della negoziazione delle varie comunità con le istituzioni locali236. Ad esempio, un numero del Journal

of Ethnic and Migration studies curato da Jocelyne Cesari237 è dedicato alla tematica delle moschee in vari contesti europei, e in particolare dei conflitti sviluppatisi intorno ad esse. I lavori in esso contenuti affrontano la tematica della visibilità islamica nello spazio urbano, attraverso alcuni casi studio di tentativi di costruzione di moschee in varie città europee da parte di gruppi di musulmani. I punti attorno a cui ruotano i contributi sono principalmente due, vale a dire: le differenti forme di islam che emergono nelle città europee e le forme di regolazione e le conseguenze della visibilità dei musulmani nello spazio urbano relative alle politiche urbanistiche. L’importanza della costruzione di nuove moschee rispetto alle sale di preghiera, sostiene Cesari, risiede nella pluralità di significati attribuiti a questi luoghi da parte dei musulmani, ma non solo da parte loro. Da un lato, infatti, si tratta di luoghi di preghiera e anche di centri “dove si incontrano le preesistenti reti di solidarietà e dove si svolgono vari rituali che segnano la vita famigliare islamica – matrimonio,

235

Cesari Jocelyne, 2005b, op. cit., p. 1018 (trad. mia)

236

Es Murat, op. cit., p. 257

circoncisione, morte”238. D’altro lato, le moschee rappresentano anche “l’evoluzione dell’islam dalla sfera privata a quella pubblica”239, rimarcando apertamente, pubblicamente e visibilmente la presenza islamica. Questo avverrebbe sia per le molteplici attività che vi si possono svolgere, sia per la visibilità materiale stessa ed anche per l’investimento che un tale progetto necessita in termini di negoziazioni con le autorità locali e regionali e del dialogo che si viene necessariamente ad instaurare, siano esse conflittuali o no. Si tratta, però, di un processo per cui l’islam da “invisibile” diviene “non voluto”, in quanto si sviluppano maggiormente le resistenze, diverse a seconda dei contesti nazionali e locali in questione. Cesari sostiene, infatti, che, nei paesi con una più longeva tradizione di immigrazione, come Francia, Gran Bretagna o Belgio, l’immediata resistenza nei confronti della costruzione di moschee stia gradualmente perdendo forza, contrariamente a quanto avviene nei paesi, come Italia e Spagna, in cui l’immigrazione di una popolazione musulmana è un fenomeno relativamente recente. Gli argomenti utilizzati a livello locale per opporre un rifiuto alla realizzazione di moschee, nella varietà di progetti in discussione, ricorrono in tutta Europa in modo simile: “rumore e disturbo del traffico, incompatibilità con la pianificazione urbanistica, non conformità con le norme di sicurezza vigenti”240. Si tratta di motivazioni tecniche, dietro le quali, però, si cela una resistenza più profonda nei confronti dell’islam, o della sua immagine di pericolo interno o internazionale, come si è già definita in precedenza241.

Allievi, sociologo che da molti anni si occupa di ricerche sull’islam in ambito europeo e italiano, analizza la diffusione dei luoghi di culto islamico in Europa, provando a delineare alcune definizioni delle realtà che compongono il quadro delle moschee, che riprenderò a breve, e fornendo alcune interessanti cifre che quantificano l’entità del fenomeno242. Per Allievi si pone oggi in Europa una “questione delle moschee” alimentata dai quasi immancabili conflitti e dei loro riflessi identitari collettivi, che in maniera più o meno blanda si verificano in quasi tutta Europa. Anch’egli, inoltre, pone al centro della sua analisi la dimensione della

238 Cesari Jocelyne, 2005b, op. cit., p. 1018 239 Ibid.

240

Ivi, p. 1019

241

Cfr. anche Cesari Jocelyne, 2005a, op. cit.

visibilità, che assume diversi significati. La considera, infatti, similmente a Cesari, una modalità di uscita dell’islam dalla sfera privata e un buon punto di vista per misurare il grado di organizzazione delle comunità etniche e religiose al loro interno e nei confronti delle istituzioni. Oltre a questo, Allievi prende in esame soprattutto la dimensione simbolica della visibilità delle moschee, considerandola come elemento dirimente dei conflitti, che spesso si concentrano sui minareti, la diffusione dell’adhan (l’appello alla preghiera all’esterno delle moschee), gli spazi di sepoltura, etc. Le moschee, come tutte le forme costruttive che provino a inserirsi su un territorio dove prima non erano presenti, nota l’autore,

costituiscono una forma di appropriazione simbolica del territorio: e nello stesso tempo la resistenza alle medesime diventa un segno di dominazione e potere sul territorio molto concreto e materiale. È chiaro quindi che il conflitto intorno alle moschee è innanzitutto un genuino conflitto di potere.243

Tutto questo pare proprio riporta alla definizione della costruzione sociale dello spazio di Chivallon richiamata inizialmente, e in particolare dello spazio come

strumento di produzione di senso244, sottolineandone la pertinenza nello studio delle moschee. Nel conflitto, sottolinea ancora Allievi, entrano in gioco alcune variabili diverse: “gli attori considerati legittimi, la loro forza, la capacità di resistenza degli attori sociali già presenti […], e le rispettive forme di legittimazione, di espressione del proprio discorso”245.

Per quanto riguarda la letteratura di ambito geografico, attualmente viene privilegiato lo spazio urbano come scala di analisi, esaminato in particolare nella sua connessione con i processi di globalizzazione246. Vieillard-Baron, geografo francese, ha realizzato un’approfondita ricerca sull’iscrizione dell’islam nello spazio urbano che offre un quadro sintetico della situazione francese utile per un raffronto con il caso italiano. L’autore constata inizialmente che, quando si parla di musulmani, abitualmente l’opinione pubblica francese li associa alle banlieue, che nella percezione collettiva sono rappresentate come un pericolo per la Repubblica, ancor più dopo l’11 settembre. Già questa immagine è uno degli elementi che condizionano le possibilità

243 Ivi, p. 49 244

Chivallon Christine, op. cit., p. 307

245

Allievi Stefano, 2010b, op. cit., p. 49

della ricerca sulla religione islamica, ma ve ne sono anche altri. Innanzitutto, la difficoltà di reperire fonti certe circa l’appartenenza religiosa, che non può apparire nei censimenti nazionali, e per cui è necessario affidarsi a inchieste di opinione, ricerche empiriche e sondaggi. Si tratta dunque un tema in cui c’è il forte rischio di restituire una visione statica di pratiche che, al contrario, sono in costante evoluzione.

Il pericolo sarebbe anche quello di rafforzare un culturalismo primario che porti a confondere tutte le categorie religiose, etniche o politiche. L’amalgama ricorrente che conduce a indentificare un musulmano, arabo e integralista è significativo a questo riguardo. Allo stesso modo, sarebbe sbagliato confondere magrebino e musulmano.247

Ascrivere tutti gli immigrati di origine magrebina a un’adesione alla religione musulmana rappresenterebbe una forzatura deterministica, contraria al principio di evoluzione individuale. Dopo queste premesse necessarie, Vieillard-Baron cerca di ripercorrere la storia dell’insediamento dei luoghi di culto musulmani, collegando la logica della localizzazione a fattori economici, politici e sociali che hanno condizionato l’arrivo di popolazioni supposte essere musulmane. L’autore risale alla fine degli anni ’30, quando tali popolazioni erano composte perlopiù da uomini soli provenienti dall’Algeria, dal Marocco o dalla Tunisia, che, valutando quel soggiorno temporaneo, si consideravano dispensate da obblighi religiosi più rigorosi. Per questo le loro pratiche di culto si sono svolte a lungo in modo discreto. Lo scopo del soggiorno era lavorativo, e per questo motivo la “loro distribuzione nello spazio è stata imposta soprattutto dalla localizzazione delle industrie e da quella delle abitazioni a buon mercato”248. In tal modo, la localizzazione degli stranieri è avvenuta più spesso nel centro geografico delle città, andando ad occupare immobili di scarsa qualità ed economici. E in realtà ancora oggi, “nonostante la redistribuzione in corso, il numero di stranieri resta, proporzionalmente, più elevato a Parigi che in banlieue”249. Per quanto riguarda i luoghi di culto, è soprattutto l’affermazione di

247 Vieillard-Baron Hervé, 2004, “De la difficulté a cerner les territoires du religieux: le cas de l’islam

en France”, Annales de Géographie, n. 640, p. 566 (trad. mia)

248

Ivi, p. 569

un’immigrazione di popolamento, non più quindi legata a motivazioni solo lavorative, e di lunga prospettiva che aumenta la richiesta di posti decorosi. La localizzazione dei nuovi luoghi di culto non obbedisce sempre a un criterio di prossimità, ma dipende anche da scelte amministrative, giuridiche e politiche, quando si trattava ad esempio di fare i conti con l’opposizione delle associazioni di quartiere. È interessante anche notare un altro punto che Vieillard-Baron mette in luce, cioè che in questo processo talvolta sono state le istituzioni locali cristiane a favorire l’insediamento delle comunità musulmane, dando in uso locali delle parrocchie o anche cappelle in disuso. Cosa che avviene per inciso anche in Italia, ad esempio a Milano, dove alcune preghiere del venerdì si svolgono in locali dati in prestito dalle chiese locali, o anche in altre città d’Italia in cui chiese sconsacrate sono divenute moschee250.

Vieillard-Baron prende in analisi il caso del dipartimento di Seine-Saint-Denis traendone alcuni aspetti emblematici interessanti. Si tratta di un dipartimento con un’alta percentuale di musulmani, caratterizzata da forte differenziazione di provenienza, che si è riflessa anche in una molteplicità di appartenenze religiose. A partire dagli anni ’30, questo territorio ha conosciuto un aumento progressivo dei luoghi di culto islamico, che però, a tutt’oggi, sono ancora situati per la grande maggioranza nei foyer dei laboratori, in magazzini, in cantine o in edifici collettivi. Fino alla metà degli anni 2000, nonostante questo fosse il dipartimento con la più alta presenza di musulmani in Francia, “non esistevano grandi moschee dotate di un minareto elevato”251. I cambiamenti socio-demografici avvenuti tra le popolazioni di immigrati hanno portato a una crescente domanda di moschee, dovuta allo stabilirsi di famiglie e all’avvicendarsi delle nuove generazioni “che vogliono essere pienamente riconosciute nello spazio urbano allo stesso tempo come francesi e come musulmane”252. È effettivamente, però, solo dai primi anni 2000 che vedono la luce nuovi progetti di moschee, prima a Bobigny e poi in diversi altri comuni del dipartimento. Questi progetti trovano l’accordo delle amministrazioni locali che concedono terreni in disuso in affitto canone enfiteutico.

250

Come ad esempio a Palermo

251

Ivi, p. 579

Vieillard-Baron esamina infine l’insediamento dei musulmani su scala metropolitana, a Lione, desumendo quattro logiche che agiscono “nella strutturazione del campo religioso musulmano”253:

una logica di prossimità legata all’insediamento residenziale dei musulmani, una logica etnica che dipende dall’origine dei praticanti, una logica finanziaria legata ai sussidi offerti da diverse organizzazioni francesi o straniere e infine una logica comunitaria fondata su delle solidarietà attive e su un impegno intellettuale.254

In questo quadro, i conflitti tra diverse generazioni intervengono a modificare molto le cose. Il dinamismo dei giovani, che proprio nella banlieue lionese hanno fondato, nel 1987, l’Union des jeunes musulmans, “la cui ambizione è quella di costruire un islam dei giovani sul terreno della militanza sociale”255, segue una logica in parziale contraddizione con quanto appena detto, mirando a creare “un movimento di rete fondato su associazioni che si affrancano dal territorio”256.

A conclusione della sua attenta analisi territoriale dell’insediamento dell’islam in Francia, Vieillard-Baron sottolinea l’interesse e la difficoltà di affrontare la questione a partire da uno spazio come quello delle banlieue. Per farlo, è innanzitutto fondamentale uscire dal quadro delle rappresentazioni generiche e superficiali, restituendo in primis una necessaria prospettiva temporale “sufficientemente lunga per non essere imprigionata dal sentimento mediatizzato di un’«invasione» del religioso”257, poi anche la dovuta considerazione delle diversità che caratterizzano i comuni delle banlieue dal punto di vista della popolazione e socio-economico. Secondariamente, da un punto di vista spaziale, i territori in cui vi sono delle specificità in rapporto all’islam, più che le banlieue, sono i vecchi quartieri operai dei centri o gli edifici popolari costruiti negli anni ’60-’70. Vieillard-Baron sostiene, infatti, che “marginalizzazione spaziale e discriminazione sociale, in un contesto di crisi economica, vi si coniugano alimentando un discorso sul «ghetto» appiattito sui musulmani, discorsi la cui ripetizione e il carattere fantasmatico segnano gli

253 Ivi, p. 580 254 Ivi, p. 581 255 Ibid. 256 Ibid. 257 Ivi, p. 584

immaginari”258. Un altro dato che emerge dalla ricerca è un sostanziale sfasamento tra il discorso pubblico allarmista e stigmatizzante e l’effettivo inserimento dei musulmani nello spazio urbano. “Le pratiche musulmane – nota ancora Vieillard- Baron – sono percepite come legittime nella maggior parte dei comuni e numerosi politici locali danno prova di pragmatismo che li conduce a soluzioni negoziate”259. Dunque al cuore del problema si trovano le rappresentazioni collettive che

oscillano tra l’immagine di un islam retrogrado che sarebbe fondato su comunità chiuse e autosufficienti e quelle di un islam minaccioso che sarebbe totalmente sottomesso a degli ordini esterni contrari ai principi repubblicani.

Oltre ai numerosi elementi di comparazione per un’analisi territoriale dell’insediamento dell’islam, il ruolo delle rappresentazioni collettive negative che “inquinano” il dibattito e pesano aprioristicamente sui musulmani è un elemento che si ritrova pienamente in essere anche nel contesto italiano.

Un’altra ricerca geografica che offre interessanti spunti di analisi è quella sulle moschee delle comunità turche in Olanda, condotta da Es, che ammonisce dal concentrarsi esclusivamente sul processo di visibilizzazione. Il rischio, secondo Es, è quello di “ridurre il significato dei progetti delle moschee alla sola espressione spaziale della presenza di musulmani nello spazio pubblico”260. Ciò rischia di far passare inosservate le espressioni meno visibili, come le attività quotidiane delle moschee, che invece contribuiscono in modo importante alla costruzione di soggettività delle popolazioni musulmane. È dunque importante, nota ancora Es, concepire un approccio “relazionale” delle moschee, allo scopo di analizzare simultaneamente la produzione simbolica, materiale e cognitiva degli spazi delle moschee in quanto spazi sociali, piuttosto che privilegiare la rappresentazione come livello principale di analisi”261. Ne deriva la concezione di spazi vivi, “costantemente in processo di accordarsi con le percezioni, gli immaginari e le pratiche di un numero

258 Ibid. 260

Es Murat, op. cit., p. 257

di attori sociali che li sostengono o li contestano”262. Le moschee sono dunque luoghi multiformi e multifunzionali di azione, sedi di varie pratiche.

Göle, invece, ragiona sui dibattiti attorno alle moschee attraverso la loro visibilità nello spazio pubblico europeo263. Sottolinea il fatto che i dibattiti sulle moschee nascono soprattutto in relazione a un’acquisizione di visibilità, che avviene attraverso la manifestazione di alcuni segni distintivi, come ad esempio la cupola e il minareto per le moschee, “che singolarizzano la differenza culturale dell’islam nei centri cittadini, creando problemi al pubblico”264. La visibilità in questione, però, è quella che ha luogo negli spazi centrali e non nelle periferie. I conflitti sulle moschee, infatti, evidenziano nella città “una gerarchia degli spazi che dipende dalla loro prossimità e dalla loro distanza rispetto al centro, che è il sito di produzione dei valori, della ricchezza e del potere governato dalle élites”265. Le gerarchie non emergono solo all’interno delle città, ma tra città provinciali e globali, città che su uno stesso territorio nazionale rivestono un’importanza diversa. Infine, un altro aspetto da prendere in considerazione nell’analisi di Göle, utile anch’essa a un confronto con il contesto italiano, è il fatto che l’autrice rileva la disobbedienza della visibilità dei simboli islamici “nei confronti delle norme secolari”266, ovvero la loro trasgressione rispetto alla connotazione laica dello spazio europeo. Sono dunque diverse le modalità tramite cui l’islam attraversa i confini visibili o immaginari della sfera pubblica europea.

Un’altra ricerca che fornisce elementi utili al presente lavoro è quello di Ruez, geografo che analizza il dibattito attorno al progetto di realizzare un centro islamico nei pressi di Ground Zero a New York267. Le controversie nate attorno alle moschee devono essere inserite e comprese, secondo l’autore, nel contesto attuale di islamofobia che caratterizza, ad esempio, Europa e Stati Uniti. Questo aspetto è ancora meglio comprensibile se analizzato attraverso le “coordinate spaziali” tramite

262

Ibid.

263 Cfr. parte II capitolo 2.2 della presente tesi 264 Göle Nilüfer, 2012, op. cit., p. 80

265 Ibid. 266

Göle Nilüfer, 2011, “The public visibility of Islam and European politics of resentment: The minarets-mosques debate”, Philosophy Social Criticism, vol. 37, n. 383, p. 387 (trad. mia)

cui le politiche anti-islamiche sono prodotte, chiaramente identificabili nelle controversie attorno alle moschee. Dietro alle frequenti motivazioni di opposizione che afferiscono a questioni di tipo urbanistico si celano, infatti, motivazioni più profonde. Esse si appoggiano sullo sviluppo di stereotipi o ritratti negativi dei musulmani e dell’islam, che motivano l’insieme di discorsi circa l’essere “fuori posto” delle moschee268 e rimandano a un altrove, non meglio definito, dove sarebbe più opportuno costruirle. Come visto poc’anzi, i conflitti sulle moschee vanno compresi, in generale, “come scontri sulle condizioni di appartenenza a una comunità e, in senso più ampio, come conflitti riguardo al genere di comunità in cui i residenti immaginano di vivere”269. Proprio per questo, secondo Ruez il fallimento di chi ha sostenuto la realizzazione del centro islamico sta nel non aver messo in discussione con le sue argomentazioni la “partizione del sensibile”, che, nella definizione del filosofo Rancière,

si riferisce al modo in cui una relazione tra ciò che è comune e condiviso e la distribuzione delle parti esclusive è determinata nell’esperienza sensibile. Quest’ultima forma di distribuzione delle parti e delle condivisioni presuppone di per sé la suddivisione degli spazi e dei tempi, dei ruoli e delle identità, del visibile e dell’invisibile, di cosa può essere sentito e cosa no.270

Al posto di contestare e tentare di riconfigurare quella definizione implicita e il “regime estetico”, cioè la maniera in cui le pratiche e le forme di visibilità che intervengono esse stesse nella partizione del sensibile, in cui l’islamofobia ha senso, i sostenitori del progetto hanno utilizzato motivazioni che rimanevano conformi a quello stesso sistema.

Venendo all’ambito italiano, uno dei primi lavori ad aver affrontato il rapporto tra islam e città è il volume a cura di Siggillino L’islam nelle città, contenente una serie di saggi pluridisciplinari di autori legati in diverso modo al mondo islamico italiano, o perché ne sono studiosi o perché sono figure musulmane di spicco nel panorama

268

Ivi, p. 1131

269

Ibid. (trad. mia)

italiano271. Quello che ne emerge è un primo quadro della presenza islamica in Italia, che agli inizi degli anni 2000 era ormai consolidata. In particolare, nel suo saggio sulla visibilità dell’islam Soravia raffigura nuove pratiche, tempi e spazi che si sono andati affermando nelle principali città italiane272. L’autore parla di uno sguardo esotico, e tutto sommato ancora benevolo, che accoglie la crescita della visibilità dei musulmani da parte della società italiana. Sottolinea, però, alcuni nodi problematici che si presentano: innanzitutto la contestazione di alcune moschee, soprattutto nei centri urbani del nord Italia alla fine degli anni ’90 da parte di componenti della Lega Nord; in secondo luogo, parla anche della costruzione dell’immagine dell’islam da parte dei media “tutt’altro che benevola e oggettiva”273, stereotipata e poco informata.

Allievi, invece, pubblica un volume dedicato all’islam italiano, un viaggio lungo tutta la penisola che cerca di restituire un affresco delle diversità che lo caratterizzano, per divulgare una conoscenza più approfondita di una realtà ancora poco conosciuta ma molto discussa, e temuta, soprattutto dopo l’11 settembre. Delinea così una geografia composita, che si snoda, tramite brevi descrizioni, tra città e campagne, da nord a sud, isole comprese, tra edifici ufficiali e interstizi urbani, ma soprattutto tra persone e fatti sociali, restituendo in tal modo la varietà, seppur in modo frammentario, della realtà dell’islam e dei luoghi di culto musulmani italiani.

In uno dei contributi contenuti nel numero del Journal of Ethnic and Migration

Studies curato da Cesari e già citato274, Saint-Blancat e Schmidt di Friedberg analizzano il conflitto nato in seguito alla proposta di realizzazione di una moschea a Lodi. Ritornerò sull’analisi della controversia in sé più avanti, ma mi interessa qui