I. I NTRODUZIONE
I.2 Status quaestionis e limiti della ricerca
2.5. Le risonanze dell’avvento di Antonino imperatore in Asia
Il regno di Antonino Pio, superata l’iniziale crisi in senato288, seguita alla morte di Adriano, iniziò sotto i migliori auspici; egli divenne imperatore in età tale da aver maturato una profonda conoscenza degli imperi di Traiano e Adriano; a ciò andavano aggiungendosi le qualità personali dell’aristocratico colto dell’epoca e le condizioni di benessere in cui versava l’impero, ragion per cui la sua attività di governo difficilmente si sarebbe potuta discostare da quella che fu nei fatti.
La stessa adozione ebbe immediata risonanza in Asia e, in particolare, a Efeso, di cui rimane testimonianza in un decreto del koinón dei greci d’Asia e della città di Efeso, ascrivibile al 138 d.C. per i festeggiamenti per il genetliaco del neo-imperatore, esaltato come salvatore del genere umano, πολλῶ[ν καὶ µεγίστων] ἀγαθῶν αἴτιος289 e, se si propende ad accettare una collocazione cronologica alta290, l’evento trovò il suo contraltare
del discorso di Galba al momento dell’adozione di Pisone riportato da Tacito (Hist., I, 15-16), in cui si fa riferimento a Traiano come optimus princeps, si fa uso dell’espressione, relativamente al principato antonino, di Adoptivkaiser; grande enfasi si conferisce al momento dell’adozione, un espediente giuridico che sarebbe stato messo in atto, in assenza di eredi maschi, per scegliere il miglior imperatore, che sapesse coniugare gli interessi del Senato e gli interessi della casa imperiale. Demistificano questa visione il già più volte citato
CHAUSSON, Variétés Généalogiques - IV, pp. 161-163.
288 cfr. Dio Cass., 69, 2, 6; HA, Hadr. 7, 2-3; 9, 3; G.MIGLIORATI, Cassio Dione e l’impero romani da Nerva ad
Antonino Pio, Alla luce dei nuovi documenti, Milano 2003, pp. 378-379; GALIMBERTI, Adriano e l’ideologia del
principato, pp. 50-59.
289 IEphesos, 21, ll. 23-25 (T80).
290 Occorre segnalare che non è unanime né la datazione del monumento, né l’identificazione dei personaggi
che da essa dipende. Cfr. a tal proposito P.LIVERANI, Il monumento antonino di Efeso, RIA 3 (1996-97), pp. 153- 174, che propende per una datazione alta, ascrivibile ai primi anni del regno di Antonino Pio; così pure F.
CHAUSSON, Antonin le Pieux, les Parthes et Éphèse, in W. SEIPEL (ed.), Das Partherdenkmal von Ephesos, Akten des
Kolloquiums Wiens, 27-28. April 2003, Vienne 2006, p. 32-69. La bibliografia sull’argomento è alquanto vasta, ci
limitiamo a ricordare i lavori più recenti contenuti negli atti del colloquio tenutosi a Vienna nel 2003, cfr.
W. SEIPEL (ed.), Das Partherdenkmal von Ephesos, Akten des Kolloquiums Wiens, 27-28. April 2003, Vienne 2006.
iconografico nel Monumento Antonino di Efeso, anche conosciuto come Partherdenkmal. Il complesso monumentale, costituito da cinque fregi, ospiterebbe, nel pannello più famoso, la scena dell’adrogatio, di Antonino Pio, avvenuta il 25 febbraio 138 d.C., da parte di Adriano, e della doppia adozione di Lucio Vero e Marco Aurelio, del 26 aprile dello stesso anno. Nelle restanti parti del pannello gli studiosi intravedrebbero le figure di Sabina, già defunta al momento dell’adozione, e Faustina Maior, raffigurata stante con cornucopia in mano, personificata nella dea Concordia. La presenza sul pannello dei protagonisti della successione ad Adriano, comprese le due Auguste, importanti come già visto nel meccanismo di successione, suffraggavano la legittimità e la continuità del potere imperiale291, un riconoscimento che, come nel caso degli omina imperii, proveniva ancora una volta dall’Asia. Una seconda ipotesi, che va incontro ad alcune difficoltà figurative (non si spiega ad esempio perché Faustina Maior dovesse essere nel 138 d.C., al momento dell’adrogatio-adoptio, rappresentata sub specie deae292), vorrebbe nel pannello il momento in cui si celebrava un sacrificio comune, la nuncupatio votorum, in cui era comunque assai forte la connotazione ideologica della successione dinastica, all’interno di un programma di propaganda imperiale all’insegna della Concordia. Faustina era figura chiave della concordia, al centro della domus divina, era infatti il perno di raccordo fra i protagonisti maschili del potere: cognata di Adriano, zia di Marco Aurelio, moglie di Antonino e futura suocera di L. Vero.
pp. 143-183, a favore di una datazione più tarda, il 147 d.C., anno dei Ludi Saeculares; M. FUCHS, Ein
panegyrisches Denkmal-oder: zur Historizität ds Parthermonuments von Ephesos, Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 124 (2009), pp. 347-378, che propone una datazione coeva al regno di Marco Aurelio.
291 LIVERANI,Il monumento antonino di Efeso,p. 155.
292 T.MICKOCKI, Sub Specie Deae. Les Impératrices etprincesses romaines assimilées à des déesses, Etude iconologique,
Sin dal 138 d.C. l’impero viveva infatti in una situazione di pace e concordia, tale da favorire le argomentazioni contenute in un panegirico e da farle apparire naturali e per nulla artefatte. Il discorso, conosciuto con il titolo di Εἰς Ρώµην293, fu pronunciato a Roma da Elio Aristide, con ogni probabilità nel 144 d.C nell’Athenaeum, fatto costruire in precedenza da Adriano come centro di promozione della cultura greca294; Rostovzev definì l’opera “il miglior quadro generale dell’impero romano nel secondo secolo, il più particolareggiato e il più completo che possediamo295”.
Per lungo tempo il discorso aristideo è rimasto nell’ombra e non è stato oggetto di adeguate attenzioni né da parte degli storici della letteratura greca, né di coloro che hanno indirizzato gli studi sulle vicende dell’impero romano, pena in parte il fatto di essere imbevuto di echi classici nella disquisizione delle fondamentali idee politiche, derivate da fonti imponenti quali Isocrate, Plutarco, Dionigi di Alicarnasso, Dione di Prusa, ma, soprattutto, Polibio, tali da sembrare poco genuino.
Soltanto la storiografia moderna, che vede fra i più recenti esponenti Schiavone296, Oliver297 e Behr298, ha valorizzato i contenuti storici e politici delle opere aristidee e in particolare dell’orazione, esaltandone la veridicità e l’efficacia di un “capolavoro di profonda e sana analisi politica299” e mettendone in luce anche i limiti; non si tratterebbe in definitiva di un mero esercizio retorico, ma di un dettagliato quadro, per quanto potesse apparire tale agli occhi di un intellettuale greco del tempo, della struttura dell’impero romano del II secolo, ritratto nei suoi vari aspetti: economico, sociale e soprattutto, nella mentalità politica e amministrativa.
Nell’orazione sono certamente da distinguere il fondamento reale dei fatti dall’esagerazione retorica, tipica del genere, la costruzione di un ideale politico artificioso dall’apprezzamento di strutture esistenti, ma, come tra l’altro sosteneva Rostovzev, in un encomio non bisogna aspettarsi certo un giudizio obiettivo e critico sull’impero: compito dell’oratore era quello di far risaltare gli aspetti positivi senza adulazioni ed esagerazioni
293 Cfr. n. 18.
294 Oggi non rimane traccia dell’edificio, esso doveva sorgere con molta probabilità vicino al foro traianeo.
seguendo per la cronologia i risultati delle analisi dei dati prodotte dagli studiosi Pernot (L.PERNOT, Éloges
grecs de Rome, Paris 1997, pp. 163-170) e Boulanger (A. BOULANGER, Aelius Aristide et la sophistique dans la
province d’Asie au II siècle de notre ère, Paris 1923, p. 124, p. 161) e non, come sosteneva invece il Rostovzev, nel
154 d.C.; altri studiosi ipotizzano invece che il discorso sia stato pronunciato nel 143, cfr. J.M. CORTÈS
COPETE, Elio Aristides. Un sofista griego en el Imperio Romano, Madrid 1995.
295ROSTOVZEV, Storia economica e sociale, p. 151.
296 A.SCHIAVONE, La storia spezzata, Roma antica e Occidente moderno, Bari 2002.
297 OLIVER,The Ruling Power; OLIVER,Marcus Aurelius.
298 BEHR,Aristides;BEHR,Studies.
smodate300, non certo di indagare sui fattori che minavano, anche in tempi di pace, la prosperità dell’impero301.
La presenza romana in Oriente aveva del resto contribuito a promuovere e ad accrescere le città, ponendole al centro di un sistema di potere mondiale e affidando loro compiti significativi. Questi centri, assimilati negli equilibri di un’organizzazione capillare, costituivano la “spina dorsale dell’impero” 302 , con un serbatoio di disponibilità economiche, competenze amministrative e politiche, di produttività e accumulazione di ricchezze considerevoli.
Elio Aristide interpretava l’impero romano come una dilatazione della città egemone, Roma, che da cellula originaria si era moltiplicata in forma reticolare fino a inglobare entità politiche cittadine eterogenee e autonome già esistenti, assicurando loro la sopravvivenza senza alterare la struttura, realizzando una “macrostruttura ecumenica”, con a capo un governo centrale addetto agli affari militari, amministrativi e burocratici di stato, efficiente soprattutto nelle relazioni con l’estero.
L’impero romano affascinava l’intellettuale asiano, “occhi greci sull’impero di Roma303”, che lodava il fatto che, dopo secoli di dure lotte, l’edificio imperiale fosse ancora saldo e all’apparenza incrollabile: i principali artefici erano stati proprio gli imperatori romani del II secolo, iniziando da Traiano e Adriano, fino ad arrivare ad Antonino Pio, sotto il governo mite e fermo del quale sembrava realizzarsi il seculum aureum.
L’orazione aristidea condensa il sentire delle città provinciali e le immagini del potere promulgate dal centro verso la periferia, un patrimonio di idee ed esperienze che costituivano il tessuto mentale delle classi dirigenti dall’Oriente all’Occidente.