Capitolo 2 – Dalla cable agli over-the-top
2.2 Le serie TV nella post-network era
2.2.2 Le strategie formali dei network: franchise e high concept
Se la quality television è, in un certo senso, la reazione della pay alla seconda Golden Age della broadcast, i quattro network si ritrovano, nel corso degli anni Duemila, a dover fronteggiare la HBO way, che si va sempre più affermando come standard qualitativo contro cui competere. Come sappiamo, però, i player della broadcast television devono rispettare le restrizioni della FCC sui contenuti, così come le esigenze narrative e formali derivanti dalla presenza di interruzioni pubblicitarie e, quindi, dalla stretta relazione con gli inserzionisti pubblicitari. Pertanto, mentre la televisione via cavo sviluppa una sua estetica a partire da vantaggi competitivi quali le entrate derivanti dalle sottoscrizioni, così come l'assenza di interferenze della FCC e degli eventuali sponsor, i network cercano un'alternativa che sfrutti al meglio una situazione fatta di interferenze esterne e restrizioni. Così, nella network television degli anni Duemila, sembrano proliferare due principali macro-categorie di serie: da una parte, i generi e i formati più tradizionali (seppur con qualche aggiornamento); dall'altra, le serie high concept. In entrambi i casi, fidelizzazione ed engagement sembrano diventare le parole chiave per le strategie di produzione, di racconto e di messa in scena.
Per quanto riguarda la prima categoria, prodotti come Ally McBeal (FOX, 1997-2002) e Grey's Anatomy (ABC, 2005-) propongono, rispettivamente, un aggiornamento dei tradizionali l e g a l e medical drama, proseguendo sull'onda delle tendenze alla serializzazione delle serie e all'ibridazione dei generi (dramedy nel primo caso, soap opera e drama nel secondo) che caratterizzano la seconda Golden Age. Alcuni procedurali, pur mantenendo un formato piuttosto tradizionale in cui la trama episodica (case-of-the-week) rimane preponderante sulla trama stagionale, adottano al contempo delle strategie di creazione di universi narrativi che assumono la forma di franchise – si pensi al celebre caso di Law & Order (NBC, 1990-2010), da cui derivano Law & Order: SVU, Law & Order: Criminal Intent (NBC, 2001-2007; USA Network 2007-
2011), Law & Order: Trial by Jury (NBC 2005; Court TV 2006) e Law & Order: LA (NBC, 2010-2011); a CSI: Crime Scene Investigation (CBS, 2000-2015), da cui derivano gli spin-off CSI: Miami (CBS, 2002-2012), CSI: NY (CBS, 2004-2013) e CSI: Cyber (2015-); o ancora JAG (NBC, 1995-1996; CBS 1997-2005) con lo spin-off NCIS (CBS, 2003-), che a sua volta dà vita a NCIS: Los Angeles (CBS, 2009-) e NCIS: New Orleans (CBS, 2014-). L'utilizzo degli spin-off come strategia di abbassamento dei rischi connessi al lancio di un nuovo prodotto non è certo una novità, così come l'impiego dei crossover per il lancio di questi prodotti, creando al contempo l'aura dell'evento televisivo. In questi casi, però, i franchise non si basano sull'estrazione di un personaggio della serie originale e la costruzione di uno show intorno ad esso, bensì su dei concept e dei format piuttosto standard e replicabili, ma allo stesso tempo espandibili e modificabili. Delle caratteristiche, queste, amplificate e portate all'estremo dalle serie high concept.
L'espressione, mutuata da Justin Wyatt,34 fa riferimento a oggetti seriali caratterizzati da
un'alta vendibilità, da look riconoscibili e da una struttura modulare e parcellizzabile su differenti piattaforme mediali e contesti d'intrattenimento, permettendo così modalità di consumo variegate e personalizzabili.35 Il già citato caso di 24 e della Ford, per esempio,
è emblematico poiché l'adattamento della serie al formato del branded entertainment è facilitato dalle caratteristiche narrative e formali dello show che permettono la sua frammentazione e riproposizione, con assoluta fedeltà estetica e stilistica, in un formato non televisivo. Dal punto di vista narrativo, la complessità introdotta nel corso della seconda Golden Age è accentuata e trova ulteriore espressione nei giochi con la temporalità, nella costruzione multistrato dei personaggi, nella frammentazione cross- mediale di quelli che Jason Mittel definisce engaging storyworlds, dei mondi coinvolgenti che vanno oltre lo storytelling lineare per espandersi, in varie forme, su diversi media.36 Potremmo quindi dire che se la televisione via cavo punta a una
progressione orizzontale delle storie con un alto grado di continuity, la broadcast punta invece a uno sviluppo reticolare e modulabile che, a partire dalle economie di scala e di scopo permesse dalla convergenza industriale (§ 3.1), impiega i concept delle serie 34 Cfr. J. Wyatt, High Concept. Movies and Marketing in Hollywood, University of Texas Press, Austin
1994.
35 V. Innocenti, G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva, cit., pp. 42-43.
36 J. Mittel, Complex TV. The Poetics of Contemporary Television Storytelling, Media Commons Press, 2014, http://mcpress.media-commons.org/complextelevision/, ultimo accesso 13 marzo 2016.
come matrici di franchise che assumono la forma di universi in espansione. In entrambi i casi, parliamo di strategie di fidelizzazione del telespettatore: da una parte, nel caso della quality television, attraverso l'“aggancio” dello spettatore a una narrazione altamente serializzata e continuativa. Dall'altra, nel caso della broadcast television, attraverso l'“aggancio” dello spettatore non solo alla narrazione televisiva settimanale, ma anche al brand cross-mediale della serie che, in un periodo in cui il thirty-seconds advertisement model è sempre meno efficiente, deve produrre valore in nuove modalità. Se nella televisione pay è l'emittente a incarnare un brand, nella televisione free-to-air, in cui il pubblico è quello di massa, ogni show deve rappresentare un marchio a sé, costruendo una horizontal diversity of exposure,37 una programmazione orizzontale e
diversificata. Qui, alcune tipologie di prodotto sono concepite come brand espandibili, modulabili, declinabili e il marchio diventa quindi «terreno di costruzione di forme di fedeltà e di 'esperienza' analoghe a quelle già ampiamente sperimentate nei mercati dei beni di consumo.»38
Prendiamo l'esempio dell'high concept degli anni Duemila per eccellenza, Lost (ABC, 2004-2010), anche esemplificativo del filone dei mainstream cult.39 Come commentano
Roberta Pearson e Sara Gwellian-Jones, attraverso «interconnected storylines, both realized and implied», Lost «extend far beyond any single episode to become a metatext that structures production, diegesis, and reception.»40 La serie impiega infatti un
mythology approach, costruisce cioè una mitologia che estende l'universo diegetico anche al di fuori del medium televisivo, per essere “esplorato” e “vissuto” dai suoi utenti in modalità diversificate.41 Se da una parte la narrazione televisiva in sé,
altamente serializzata e multilineare, alimenta un'attenta visione e ri-visione (anche 37 Cfr. P. M. Napoli, “Deconstructing the Diversity Principle”, in Journal of Communication, 49:4,
1999, pp. 7-34.
38 M. Scaglioni, A. Sfardini, op. cit., p. 59.
39 Di particolare rilevanza sono anche i casi di The X-Files, Buffy e Heroes (NBC, 2006-2010). I primi due, che raggiungono il successo televisivo fra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila, costruiscono una mitologia high-concept nel corso di diverso tempo. Il successo del terzo va esaurendosi a partire dalla seconda stagione, anche se il suo universo viene riportato in vita nel 2015 con la miniserie Heroes Reborn (NBC, 2015). Lost costruisce invece un mythology approach e una progettualità high-concept in breve tempo e riesce a mantenere costante l'engagement del pubblico, diventando simbolo (e modello imitabile) di un filone sci-fi/drama che domina il primo decennio degli anni Duemila – si pensi ai tentativi d'imitazione falliti di FlashForward (ABC, 2009-2010) o The
Event (NBC, 2010).
40 R. Pearson, S. Gwellian-Jones (eds.), Cult Television, University of Minneapolis Press, Minneapolis 2004, p. XII.
41 M. Hurwitz, “Hooked: Crafting the Serialized Storylines That Keep Audiences Begging and New Viewers Caught Up”, in Written By, 2006.
attraverso i cofanetti DVD che, come abbiamo visto in precedenza, rappresentano una fonte di guadagno importante in questo periodo), agli episodi settimanali si aggiungono prodotti tie-in42 che ampliano ulteriormente lo storyworld e stimolano un consumo
partecipativo, che tende anche a sfociare nella costituzione di un fandom e nella produzione, da parte di questo, di materiali integranti per l'orientamento nella narrazione complessa – uno su tutti, la user-generated Lostpedia. Mescolando sci-fi e melodramma in una «high concept appropriation of cult material,»43 la serie cancella quindi le
divisioni spaziali e temporali, estendendo gli elementi della sua narrazione «not just across media platforms, but also in the spaces and experiences of everyday life.»44 Lost
sembra infatti incarnare tutte le caratteristiche che, secondo Ugo Volli, fanno di uno show televisivo un cult: possiede un alto tasso di fidelizzazione che stimola un tipo un consumo attivo e affettivo che si stacca dai modelli tradizionali; produce degli effetti di realtà interni alla finzione, creando quindi un doppio regime di riferimento per i suoi “fedeli”, che si raccolgono in comunità perlopiù virtuali; crea un piacere di visione derivante dalla sua natura complessa e trans-generica.45 Volli precisa anche che
difficilmente una trasmissione di culto nasce come fenomeno di massa. Questo però non è il caso di Lost, che debutta anche come prodotto mainstream. Ne è dimostrazione il fatto che sia stato «carefully marketed and strategically structured so as to appeal to as wide an audience as possible.»46Il livello di coinvolgimento precedentemente attribuito
solo a un pubblico di nicchia è qui unito a strategie di promozione, distribuzione e programmazione rese possibili dalle tecnologie digitali che, nello scenario della convergenza mediale, favoriscono l'engagement diretto del fandom, facendo di Lost ciò che Matt Hills definirebbe un mainstream cult:
the subcultural languages and viewpoints of cult TV fans are evidently being adopted and appropriated by “mainstream” consumer culture, in order for attenuated subcultural “authenticity” to be sold back to a niche market of fans. Cult and mainstream are hence not always clearly or singularly opposed in these sort of
42 I tie-in prodotti da ABC includono siti, novellizzazioni, un forum ufficiale (The Fuselage), mobisodes, podcast, un magazine ufficiale e un ARG (The Lost Experience).
43 S. Abbott, “How Lost Found Its Audience: the Making of a Cult Blockbuster”, in R. Pearson (ed.), in
Reading Lost. Perspectives on a Hit Television Show, IB Tauris, London/New York 2009, p. 12.
44 D. Johnson, “The Fictional Institution of Lost: World Building, Reality and the Economic Possibilities of Narrative Divergence”, in R. Pearson (ed.), op. cit., p. 34.
45 U. Volli (a cura di), Culti TV. Il tubo catodico e i suoi adepti, Sperling & Kupfer, Milano 2002, pp. 39-46.
processes, and they may interpenetrate.47
Il tipo di successo raggiunto da Lost esemplifica allora quello che Aldo Grasso definisce “successo convergente”, posizionato tra il successo generalista e quello di nicchia, un successo fortemente alimentato dai “rimbalzi”, cioè dalle espansioni e dalle rielaborazioni del materiale già esistente.48 In un contesto in cui un universo narrativo
può essere scomposto in molteplici frammenti cross-mediali, la fruizione non si esaurisce nella visione settimanale del singolo episodio: il consumo, come il prodotto, diventa durevole. I pubblici delle serie high concept sono infatti chiamati a un engagement diretto e interattivo in cui i singoli episodi, così come le estensioni tie-in, diventano interfacce che facilitano la “navigazione” dell'utente all'interno dell'architettura complessa del prodotto.49