Migrazioni e aree rurali: lo stato dell'arte
2.3 Migrazioni e nuove popolazioni rurali
il Codetras – Collectif de Défense des Travailleurs Etrangers Saisonniers dans l’Agri-culture-, rete che coordina l’azione di diversi sindacati e associazioni, ha conseguito dei successi nella tutela legale dei diritti dei lavoratori (Décosse 2016). Nel 2014, il collettivo di attivisti “Campagne in Lotta” in Italia ha organizzato delle proteste di fronte ai negozi Coop individuando le responsabilità delle condizioni di sfruttamen-to nella Gdo e per sensibilizzare i consumasfruttamen-tori rispetsfruttamen-to alla problematica dello sfrut-tamento in agricoltura. Nel 2016 Campagne in Lotta, insieme ai Sì Cobas nazionali hanno organizzato la mobilitazione congiunta di braccianti e lavoratori della logistica bloccando il trasporto di pomodoro all’industria di trasformazione Princes a Foggia.
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Stenbacka 2013) e in modo parziale in Italia (Membretti et al. 2017). In alcuni conte-sti, le istituzioni locali sono arrivate anche a promuovere iniziative specifiche per at-trarre popolazioni straniere, in modo da controbilanciare i processi di spopolamento.
In Spagna, risulta che tra la popolazione residente nelle aree rurali, i gruppi stra-nieri prevalenti siano marocchini, ecuadoriani e, come primi, romeni; si registra la concentrazione in fasce di età giovani, con effetti positivi in termini di rivitalizzazione della popolazione, ma uno squilibrio di genere, ovvero una mascolinizzazione (Ca-marero et al. 2013). Il contributo della migrazione all’arresto del declino demografico è, in un certo modo, collegato alla vicinanza a punti di accesso per gli immigrati e alla prosperità economica di una provincia (Collantes et al. 2014). La concentrazione in località medie, meglio collegate, con una economia più diversificata contribuisce a rendere più evidente, di contro, l’abbandono di zone più isolate (Bayona, Gil 2013).
Anche in Svezia si segnala il contributo dell’immigrazione straniera ad un ricam-bio demografico (demographic refill) nelle aree rurali (Hedberg, Haandrikman 2014;
Hedberg et al. 2012), tuttavia, pure in questo caso, non sono evidenti gli effetti di ribaltamento delle tendenze demografiche negative. Nei paesi scandinavi e, più di recente, in Italia e Germania, si sono promossi progetti di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo nelle aree rurali, interne e di montagna, con l’intento di promuovere processi di sviluppo e di rivitalizzazione (Corrado, D’Agostino 2018; Waldinger 2018;
Stewart 2011; Stewart, Shaffer 2015). Se pure sia difficile leggere gli esiti di lungo pe-riodo di simili progetti, anche constatando la costante mobilità dei soggetti coinvolti (anche per effetto delle politiche migratorie e di asilo), come vedremo nei prossimi paragrafi, sono comunque apprezzabili processi di rivitalizzazione territoriale e in-novazione sociale.
2.3.2 Multifunzionalità, diversificazione, imprenditorialità e innovazione Guardando all’occupazione dei migranti nelle aree rurali, alcuni studiosi hanno evidenziato il potenziale contributo al fine di stimolare una diversificazione econo-mica e una transizione multifunzionale, in particolare attraverso l’inserimento in im-prese manifatturiere e di trasformazione agro-alimentare, nei servizi e nel turismo (Kasimis, Papadopoulos, 2005; Kasimis et al. 2010; Lundmarket al. 2014).
In Spagna, ad esempio, tra i residenti stranieri, l’impiego in agricoltura non è par-ticolarmente rilevante, spesso lo si abbandona dopo un breve periodo in ragione del-le difficili condizioni. Gli uomini sono prevadel-lentemente impiegati nell’edilizia, invece
le donne si inseriscono nei servizi turistici e di pulizia, domestici e di cura, nella ristorazione e nel commercio (Soronellas et al. 2013). Si tratta di occupazioni che rappresentano spesso un avanzamento all’interno del progetto migratorio individua-le. Se in relazione all’attività agricola stagionale possono definirsi forme diverse di mobilità – dalla città alla campagna, tra aree di raccolta o anche con il paese di origi-ne – all’inverso, chi risiede in piccoli centri può spostarsi giornalmente per lavoro origi-nei centri urbani, come avviene nel caso di impieghi nei settori dell’edilizia o nei servizi domestici o per le imprese. Più di recente si è osservata anche una femminilizzazione delle migrazioni, non solo per effetto della selezione nel paese di origine (come ab-biamo detto), ma anche per una domanda di lavoro tradizionalmente associata alle donne nel paese di destinazione (Camarero et al. 2013). In generale, l’inserimento avviene in attività che non attraggono gli autoctoni; l’imprenditorialità (spesso nella forma di auto-impiego), ad esempio nell’edilizia e nella costruzione di seconde case, contribuisce in qualche modo alla rivitalizzazione dei paesi (Mancilla, et al. 2010;
Sánchez Flores et al. 2014; Soronellas et al. 2014).
In Svezia, l’impiego degli immigrati, in particolare provenienti dall’Asia, dal Me-dio Oriente e dall’Africa, oltre che nel settore agro-alimentare, è pure nelle “nuove industrie verdi”, ovvero nel commercio, nella ristorazione e nel settore alberghiero, dando così un contributo alla crescita dell’economia del turismo. Invece, gli est eu-ropei si inseriscono nelle imprese manifatturiere, nell’edilizia e nei trasporti (attra-verso l’auto-impiego). Si tratta sempre di lavori di bassa qualifica e remunerazione, anche quando gli immigrati sono in possesso di livelli relativamente alti di istruzione;
pertanto ci si interroga sulla portata di quella che viene definita “distruzione delle competenze” (skill destruction) degli immigrati (Collantes et al. 2014; Fonseca 2008;
Lundmarket al. 2014) e sul contributo reale alla rivitalizzazione delle aree rurali (He-dlund et al. 2017). Le imprese manifatturiere locali traggono vantaggi dalle migra-zioni internazionali, non solo in termini di approvvigionamento della forza lavoro, ma anche per le “dinamiche translocali” che possono coinvolgere l’azienda (in virtù di una maggiore apertura e creatività, o di collegamenti con il paese di origine dei migranti). Rispetto all’imprenditorialità sussistono, però, differenze relative all’origi-ne, alle reti transazionali, al tipo di attività o alla localizzazione della stessa. A volte i network transazionali supportano soprattutto i migranti non europei in aree remote (Hedberg et al. 2014).
Nelle Alpi piemontesi i migranti, prevalentemente romeni, si inseriscono nel set-tore turistico (ad esempio nella manutenzione e funzionamento delle stazioni
sciisti-Migrazioni e aree rurali: lo stato dell’arte
che), ma diversi hanno invece sviluppato attività economiche di tipo imprenditoriale (dalla ristorazione alle imprese di pulizie, all’edilizia e al commercio) (Membretti, Lucchini, 2017).
In alcuni contesti sono state promosse specifiche politiche di supporto. Nei paesi nordeuropei (Svezia, Finlandia, Islanda, Norvegia, Danimarca), a livello locale, sono state promosse iniziative specifiche per agevolare l’inserimento e la permanenza di lavoratori stranieri nell’economia locale (Barth, Zalkat 2019; Harbo et al. 2017), che possono contribuire alla “resilienza” delle aree rurali (Stenbacka 2016).
In Italia, nell’ambito della Strategie Nazionale per le Aree Interne (Snai)8, ad esem-pio, nell’area pilota Casentino-Valtiberina, constatato l’importate contributo di ru-meni e macedoni nel settore della selvicoltura e della cura alla persona, si sono pro-gettate delle azioni formative e per incentivare la costituzione di imprese cooperative.
Nell’area pilota Valle dei Comino, invece, giovani locali e stranieri rifugiati, destinata-ri di un intervento dedicato all’animazione terdestinata-ritodestinata-riale e all’agdestinata-ricoltura sociale, hanno costituito un’associazione, Rise Hub, che realizza piccole produzioni e partecipa a progetti europei (Luisi, Nori 2017). Altre esperienze promosse dal privato sociale hanno creato opportunità di lavoro per autoctoni e stranieri: a partire da progetti di accoglienza per rifugiati, come nel caso della cooperativa K-Pax, che ha promosso il recupero di alcune strutture alberghiere in Val Camonica (Semprebon 2017), della cooperativa agricola Maramao in provincia di Asti (Donatiello, Moiso 2019) o della cooperativa di comunità Germinale in Valle Stura (Corrado, Calo 2019).
La costruzione di reti agro-alimentari alternative e di collegamento con le città ha invece sostenuto la creazione di “mercati nidificati”, per assicurare la giusta remune-razione di piccoli produttori biologici e di lavoratori migranti, come nel caso di SOS Rosarno e della Cooperativa Mani e Terra in Calabria (Iocco et al. 2019). La rivita-lizzazione delle aree rurali, interne o marginali, si lega anche a forme di innovazione sociale e alla creazione di imprese sociali, capaci di promuovere forme di turismo solidale e di riutilizzare il patrimonio edilizio abbandonato, come a Riace o a Camini (Corrado, D’Agostino 2019), di welfare di comunità e agricoltura sociale (Membretti, Cutello 2019).
Nelle aree interne e di montagna, migranti e rifugiati contribuiscono pure alla salvaguardia del territorio, attraverso interventi di manutenzione e messa in sicurez-za – come nel caso del progetto Agape promosso dal comune di Chiusano d’Asti e dal
8 Un approfondimento del tema dei migranti nella Strategia Nazionale per le Aree Interne è sviluppato nel capitolo 6 di questo Volume.
consorzio Piam – e al recupero di terreni abbandonati, al mantenimento e alla ripro-duzione delle attività agro-silvo-pastorali. I lavoratori migranti risultano importanti anche per sostenere processi di transizione biologica e multifunzionale o produzioni di qualità, su cui fanno leva processi di sviluppo rurale –anche in virtù delle pressio-ni esercitate all’interno dei processi di integrazione verticale delle filiere, che spesso incidono negativamente sulle condizioni di lavoro (Corrado et al. 2018b). Pochi sono invece i casi rilevati di inserimento autonomo in agricoltura (per la Grecia, cfr. Veri-nis 2011), spesso a causa del difficile accesso alle risorse.
2.3.3 Inclusione sociale
La permanenza dei migranti nelle aree rurali si lega in genere, oltre che ad una sta-bilizzazione dal punto di vista lavorativo, a determinate strategie familiari, vincolate alle famiglie transnazionali e al matrimonio con autoctoni, e con una specializzazio-ne settoriale per gespecializzazio-nere. Queste strategie hanno rappresentato anche una risposta alla crisi economica ad esempio, in Spagna (Camarero et al. 2013; Gallego, Rioja 2016).
Le reti migratorie possono attrarre parenti e amici, agevolare le condizioni di inseri-mento e di socializzazione, nutrire un “senso di appartenenza” ai luoghi ma, secondo alcuni, possono configurarsi anche come “barriere” rispetto ai processi di socializza-zione a livello locale, quando si configurano come unico riferimento, anche a fronte delle difficoltà di inserimento (Aure et al. 2018).
Nelle aree rurali si apprezza la prossimità ai servizi, alle istituzioni e in generale ad attori chiave. La dimensione sociale ridotta e la vicinanza possono tradursi in un maggiore controllo, con risvolti normativi negativi, soprattutto in termini di genere, o positivi, ad esempio in termini di sicurezza per far crescere i propri figli (Stenbacka 2013). Tuttavia, le ricerche rilevano anche la capacità limitata dei servizi sociali nelle aree rurali, soprattutto a fronte dell’aumento di bisogni diversificati derivanti dall’im-migrazione, e allo stesso tempo l’apporto fondamentale delle organizzazioni della so-cietà civile e del volontariato (McAreavey 2016; Simard, Jentsch 2009).
Oltre al lavoro, la formazione e la casa rappresentano fattori strutturali di inclu-sione sociale importanti. L’apprendimento della lingua locale è giudicato fondamen-tale, soprattutto per interagire nella vita quotidiana, e spesso rientra tra le iniziative promosse dalle amministrazioni locali, che, però, possono risultare inconciliabili con i tempi di lavoro. La creazione di spazi di incontro e di partecipazione può ovviare a queste limitazioni ed offrire opportunità di socializzazione (Aure et al. 2018).
Tutta-Migrazioni e aree rurali: lo stato dell’arte
via, i gruppi neo-europei, in virtù di certi elementi – l’essere “bianchi”, il condividere culture e religioni simili – soffrono minori forme di discriminazione e sono più “ac-cettati” nelle comunità rurali (MacKrell, Pemberton 2018); ciò sembra confermare la produzione di diseguaglianze etniche a livello sociale oltre che all’interno delle relazioni di lavoro (McAreavey 2016).
La disponibilità di case e i costi bassi possono favorire la scelta di risiedere nelle aree rurali, come avvenuto durante gli anni della crisi economica (Boch et al. 2016;
Corrado, D’Agostino 2018). I rifugiati, invece, dopo una prima fase di accoglienza nelle aree rurali, scelgono spesso di spostarsi nei centri urbani, per raggiungere le reti comunitarie o perché in cerca di altre opportunità di vita e di lavoro. In alcuni casi fanno ritorno nelle aree rurali, solo per le difficoltà incontrate nell’accesso al lavoro;
la scelta di risiedere nelle aree rurali può infatti essere supportata da politiche locali di inclusione e dal ruolo di organizzazioni di volontariato e reti sociali. Bisogna te-nere in conto che le politiche di inclusione per i rifugiati in UK, Olanda e Germania vincolano l’accesso alla casa per i rifugiati privi di mezzi nelle località rurale, in cui si è trascorso il processo di asilo (Waldinger 2018; Stewart, Shaffer 2013; Bakker et al. 2016). In Austria e nei Paesi scandinavi, la politica regionale ha assunto un ruolo importante nel promuovere l’inclusione sociale di migranti e rifugiati nelle aree rurali (Harbo et al. 2017; Machold 2017).
In Italia, singoli comuni o reti di comuni, insieme con le prefetture – come in Val Camonica, in Val Susa o nell’Alto Bellunese (Membretti, Cutello 2019; cfr. Meme-bretti et al. 2017) – hanno favorito l’accoglienza diffusa di richiedenti asilo e rifugiati, in appartamenti e in centri urbani diversi, per facilitare l’inclusione ma anche per evitare conflitti con la popolazione locale.