Le iliere agro-alimentari in Italia fra spinte competitive, innovazione e
3.2 Gli squilibri interni alle filiere agro-alimentari e le riper- riper-cussioni sul settore primario
Uno dei punti deboli del settore agro-alimentare italiano è lo scarso potere con-trattuale del settore primario, dovuto ad elementi strutturali propri del sistema agri-colo (imprese di piccole dimensioni, frammentazione, scarsa innovazione, ecc.), alla difficoltà di programmare a priori i risultati produttivi e all’incertezza di mercato di per sé complicata, rispetto agli altri settori, dalla rigidità del processo produttivo e dalla natura dei prodotti (Giacomini, 2016).
Le filiere agro-alimentari in italia fra spinte competitive, innovazione e processi inclusivi
Gli studi sulla filiera agro-alimentare, soprattutto negli ultimi anni, si sono con-centrati sulla distribuzione della catena del valore evidenziando le distorsioni della stessa a favore delle fasi a valle (in particolare, distribuzione e commercio). Una filie-ra organizzata può giocare un ruolo importante nel migliofilie-ramento della redditività delle produzioni agricole e garantire una distribuzione più equa e pertinente tra gli attori della filiera (Nucera, 2016). La mancata organizzazione della filiera si traduce in inefficienze del sistema che incidono sia in termini di costi di produzione sia sul-la capacità contrattuale dei settori a monte delsul-la catena produttiva, i quali, invece, tendono a subire la posizione dei fornitori di beni e servizi e quella degli acquirenti (commercianti e distributori).
Figura 3.1 – I comparti e i numeri core della filiera agro-alimentare. Dati 2017
Fonte: The European House – Ambrosetti (2019).
Il concetto di filiera agro-alimentare è assai variabile. Nella definizione più clas-sica (Malassis e Ghersi, 1995) rappresenta l’insieme degli agenti (imprese e ammini-strazioni) e delle operazioni (di produzione, di ripartizione, di finanziamento) che concorrono alla formazione e al trasferimento di un prodotto (o di un gruppo di prodotti) allo stadio finale di utilizzazione, insieme che include i meccanismi di re-golazione del flusso di prodotti e fattori di produzione lungo la filiera e nel suo stadio finale. L’assunzione che sta dietro il concetto di filiera conduce ad approfondire una
Agricoltura
· 1,5 milioni di imprese
· 911 mila occupa
· 57 mila imprese
· 471,5 mila occupa
· 274mila imprese
· 1,1 milioni di occupa
Intermediazione
· 91 imprese
· 312 mila occupa
Distribuzione
· 182 mila imprese
· 752 mila occupa
Industria di trasformazione
Distribuzione intermediazione
Ristorazione
pluralità di aspetti connessi con i meccanismi di formazione del valore finale del pro-dotto alimentare, con il funzionamento dei canali distributivi e con l’entità dei flussi in valore e in quantità che circolano tra i diversi stadi. Non a caso, oggi l’idea di filiera si è ampliata (Figura 3.1) arrivando a comprendere anche l’anello della ristorazione, che rappresenta la frontiera più avanzata di distribuzione al consumatore finale e che sintetizza i più recenti cambiamenti nell’accesso al cibo2.
L’agro-alimentare italiano risente particolarmente di filiere ancora poco organiz-zate, nonostante i numerosi strumenti di politica a sostegno della collaborazione tra le diverse parti impegnate nel processo produttivo. All’ancora insufficiente capacità organizzativa del sistema si aggiunge la debolezza di alcuni anelli della catena nel definire il proprio ruolo e i propri margini di utile.
La filiera agro-alimentare, secondo le stime Ambrosetti, nel suo complesso, gene-ra un fattugene-rato di oltre 538 miliardi di euro e un valore aggiunto di 119 miliardi, di quest’ultimo solo il 5,1% si traduce in guadagni per gli attori della filiera, il resto va a remunerare soggetti esterni al sistema (la cosiddetta filiera allargata con soggetti/
comparti non direttamente coinvolti nel processo produttivo: fornitori di energia, tasse e imposte e via dicendo). Poco meno della metà dell’utile è assorbito dalle at-tività di lavorazione e, soprattutto, di trasformazione agro-alimentare, le operazioni di commercializzazione, raccolgono oltre il 30% dell’utile generato dalla filiera. La quota di utile che rimane al settore agricolo è pari al 17,7% con un peggioramento rispetto al 2011 di -1,8% (Figura 3.2).
Figura 3.2 – La ripartizione degli utili nella filiera agro-alimentare. Dati 20173
Fonte: The European House – Ambrosetti (2019).
Fatti e numeri dimostrano quanto sia complesso il sistema dell’approvvigiona-mento agro-alimentare e come non sempre risulti facile ricostruire i passaggi che
2 Diversi sono gli esercizi di scomposizione dell’utile lungo la filiera. Nel nostro caso, nella Figura 3.1 abbiamo riportato il più recente degli esercizi, constatando che i risultati sono in linea con quelli di altre ricerche (Nomisma 2009 e 2014; Zaghi A. e Bono P., 2011; Finizia A. e Merciai S., 2012) e che le differenze che emergono sono, perlopiù, dovute all’assunzione di base del concetto di filiera, ai dati utilizzati e alla metodologia di calcolo.
Agricoltura 17,7% Industria
alimentare 43,1% Intermediazione
19,6% Distribuzione
11,8% Ristorazione 7,8%
Le filiere agro-alimentari in italia fra spinte competitive, innovazione e processi inclusivi
portano il cibo dal campo alla tavola. Il commercio di tipo tradizionale (ingrosso e dettaglio) è caratterizzato dalla presenza di numerosi soggetti che erodono l’utile netto dei produttori agricoli. Dal campo dove è coltivato al piatto dove è consumato, il cibo può seguire diverse strade, che sono per lo più ignorate dal consumatore. In linea generale, i prodotti possono arrivare ai mercati o ai punti vendita secondo quel-lo che comunemente viene chiamato “canale lungo tradizionale”; oppure essere ven-duti dalla grande distribuzione organizzata (Gdo), che può avvalersi di canali corti (rapporto diretto con il produttore) o più lunghi (presenza di uno o più operatori intermedi). Lungo questi canali di distribuzione si sviluppa un universo parallelo di merci, lavoratori, aziende, broker, che ne determinano l’andamento e che si complica ulteriormente qualora il prodotto venga processato o lavorato. Il complesso reticolo di intermediari è poco conosciuto, si avvale di soggetti diversi, delegati all’interme-diazione agricola, a quella industriale e distributiva. Il ruolo degli intermediari lungo la filiera è in continua crescita, negli ultimi anni ha registrato processi di concentra-zione che ne hanno favorito l’organizzaconcentra-zione e la relativa crescita di fatturato (+2,7%
rispetto al 2011, come riportato in The European House – Ambrosetti, 2019). Gli in-termediari polarizzano circa il 20% dell’utile di filiera (+8,9% rispetto al 2011), a sua volta così ripartito tra le differenti componenti: 5,1% per l’intermediazione agricola, 5,9% per quella industriale e 8,6% per quella commerciale.
L’organizzazione della filiera favorirebbe la trasparenza nei rapporti tra diversi soggetti, l’assunzione di responsabilità, il rispetto di regole condivise a monte. Ove questa organizzazione manca, si creano posizioni dominati deai soggetti con maggio-re potemaggio-re contrattuale. La scarsa capacità delle impmaggio-rese di darsi una organizzazione di filiera con regole precise e condivise, la mancanza di infrastrutture adeguate e l’incapacità di valorizzare i propri prodotti d’eccellenza priva gli operatori agricoli di potere contrattuale di fronte agli attori più forti della filiera – in particolare la gran-de distribuzione organizzata (Gdo), che ha conosciuto negli ultimi anni importanti processi di concentrazione conquistando rilevanti quote di mercato a svantaggio dei piccoli negozi di prossimità e dei mercati tradizionali. Fuori da logiche di economia di contratto che, di fatto, trovano ancora molta difficoltà a concretizzarsi lungo la fi-liera, gli attori a valle della stessa tendono ad imporre i prezzi a seconda delle proprie esigenze commerciali e in una posizione in cui essi hanno un peso negoziale maggio-re - i buyers delle impmaggio-rese di trasformazione o della Gdo sono quelli che sostanzial-mente fanno il prezzo anche attraverso centrali di acquisto internazionali (Corrado, 2018). È in questo contesto che sono maturate numerose pratiche illegali tra le quali
le aste al doppio ribasso denunciate da diversi produttori (Ciconte e Liberti, 2018)4. Il settore primario è in posizione di debolezza in numerose filiere ma è indub-bio che il problema si accentua nei comparti produttivi dove il consumo del fattore produttivo lavoro è più alto. È il caso delle filiere legate alla catena del fresco come ortofrutta e prodotti lattiero-caseari, la cui necessità di arrivare alla trasformazione e alla distribuzione in tempi legati ad una rigida logistica determina picchi di lavoro in alcuni periodi dell’anno, per alcune fasi delle produzioni e necessita di alti livelli di produttività per singolo lavoratore. Sul piano pratico, i prezzi determinati unilateral-mente spesso non coprono i costi di produzione e questo imprescindibilunilateral-mente incide sul costo del lavoro, in particolare dei braccianti, a cui vengono pagate cifre al di sotto di quelle previste dai contratti provinciali.