La concezione della misurazione nell’approccio realista empirico di Joel Michell è vicina a quella classica adottata nell’alveo delle scienze fisiche, come si è già avuto mo- do di illustrare all’inizio del primo capitolo, quando si è incontrato per la prima volta l’autore nei panni di sostenitore e commentatore di questa visione. In generale, volendo semplificare al massimo, si può dire che la differenza cruciale e paradigmatica tra la teoria rappresentazionale difesa da Kyngdon e il realismo empirico riguarda il ruolo dei
numeri. Infatti, per Michell i numeri non sono elementi astratti, esterni allo spazio e al
tempo, entità insiemistiche pure senza contenuto empirico, bensì sono parte della realtà stessa delle cose [Sherry 2011]: i numeri si trovano in re, sotto forma di rapporti tra
grandezze della stessa quantità. Come chiarisce Michell [2008b, 120]
poiché la teoria rappresentazionale richiede che i numeri entrino nella misurazione attraverso una mappatura tra sistemi naturali, da una par- te, e strutture numeriche logicamente indipendenti, dall’altra, essa ri- chiede che i numeri siano logicamente distinti da quei sistemi naturali. Il problema è che nel paradigma della misurazione (ossia la fisica) i relativi sistemi naturali (cioè gli attributi della scienza fisica, come la distanza, la massa e il tempo) esemplificano già i numeri reali come rapporti di grandezze. Quindi, i numeri sono intrinseci ai sistemi natu- rali misurati e non, come sostiene la teoria rappresentazionale, estrin- seci.
La misurazione è una descrizione di tali rapporti e, non a caso, nel linguaggio rea- lista empirico a essa ci si riferisce come al tentativo di scoprire e stimare i rapporti tra le grandezze [Michell 1997]: inutile far notare che si può “scoprire” solo qualcosa che già esiste. Nelle parole di Michell [ibidem, 356] troviamo riassunto il suo punto di vista:
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Nella scienza quantitativa gli attributi (come la velocità, la temperatu- ra, la lunghezza ecc.) sono assunti come misurabili. Cioè, si teorizza che un attributo, come la lunghezza, abbia un tipo distintivo di struttu- ra interna, cioè una struttura quantitativa. Gli attributi che hanno que- sto tipo di struttura sono chiamati quantità. Seguendo un uso consoli- dato, le istanze specifiche di una quantità sono chiamate grandezze di quella quantità (es. la lunghezza di questa pagina è una grandezza del- la quantità lunghezza). Le grandezze di una quantità sono misurabili perché, in virtù della struttura quantitativa, si pongono in relazioni (rapporti) l’una con l’altra che possono essere espresse come numeri reali.
In pratica, se le varie realizzazioni di un certo attributo possono essere rapportate tra loro ottenendo dei numeri reali (cioè, se possono essere misurate), allora esse sono grandezze dell’attributo, il quale a sua volta è quantitativo. I numeri reali, così intesi, si troverebbero già nella struttura dell’attributo quantitativo, indipendentemente dal fatto che un misuratore esterno si disponga o no a rilevare il rapporto tra due grandezze spe- cifiche130. Da questo si evince anche un altro aspetto fondamentale: che un attributo sia
quantitativo e misurabile sarebbe un fatto testabile, cioè un’ipotesi da sottoporre a con- trollo empirico, che può dare esito positivo o negativo. E, ancora, la misurazione come stima del rapporto di una grandezza di un attributo quantitativo rispetto a un’altra dello stesso attributo (definita come unità di misura) non sarebbe un concetto scientifico a- teorico ma richiederebbe, al contrario, una teoria sottostante che riguardi le più generali ipotesi empiricamente testabili sulle relazioni tra attributi [Michell 1997].
Orbene, secondo Michell una scienza quantitativa ha due mandati131 (tasks) cui as-
solvere: il mandato scientifico e il mandato strumentale. Il mandato scientifico riguarda il compito di investigare e accertare empiricamente la natura quantitativa degli attributi;
130 Questo snodo è fondamentale per comprendere una differenza profonda tra il realismo à la Mi-
chell e l’operazionismo abbracciato da Stevens: per il primo l’oggetto della misurazione è indipendente dall’osservatore, per il secondo l’oggetto è definito dalle procedure del ricercatore.
131 Si utilizza qui la traduzione “mandato” per l’inglese “task”, piuttosto che un termine come “com-
pito” o “funzione”, per sottolineare il carattere di marcata obbligatorietà che questi aspetti rivestono nel quadro teorico di Michell.
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il mandato strumentale concerne invece il compito di elaborare e costruire, una volta as- sodata la natura quantitativa di un attributo, le procedure e gli strumenti per misurare le sue grandezze [Michell 1997; 2000].
Gli attributi psicologici non sono direttamente definibili su un oggetto e manipo- labili come quelli estensivi (es. la lunghezza o il peso): ciò che osserviamo sono le ri- sposte a certi item. Nella pratica diffusa di ricerca, sostiene Michell, parallelamente a ciò si suppone che gli attributi teorici influenzino le risposte e s’ipotizza che la relazione tra punteggi e attributi sia una relazione tra quantità. La critica che l’autore avanza alla pratica delle scienze psico-sociali è definita, come abbiamo già scritto nel capitolo 8, dal concetto di “scienza patologica”. A questo punto possiamo inserirlo in un quadro più generale. Infatti, il motivo per cui le scienze che ruotano attorno alle tecniche psicome- triche sarebbero “patologiche” è, in definitiva, il tradimento del loro mandato scientifi- co: verrebbero meno al dovere di dimostrare l’ipotesi empirica che gli attributi che stu- diano siano quantitativi, il che solo potrebbe giustificare l’utilizzo legittimo dei modelli di misurazione, la cui costruzione ricade nel mandato strumentale.
Tale “tradizione” di rimozione avrebbe le sue radici in un’impostazione che Mi- chell definisce “pitagorismo”132, introdotta in ambito psicometrico dai pionieri della di-
sciplina, in particolare Fechner. La tesi della misurabilità (gli attributi psicologici, o al- meno alcuni di essi, sono misurabili) avrebbe sconfitto a tavolino l’obiezione della
quantità (per cui nessun attributo psicologico è quantitativo e misurabile) [Sherry 2011]
perché sarebbe stata accettata fin da subito la tesi “pitagorica” che tutto sia quantità e che quindi ogni cosa sia misurabile purché si individui la procedura per trasformare le osservazioni in numeri. Questo s’intende come effetto del pitagorismo: il rifiuto a priori dell’obiezione della quantità e l’idea, logicamente conseguente, che non esisterebbe in ultima istanza nessun mandato scientifico (nel lessico michelliano) ma solo uno stru- mentale volto a costruire modelli numerici per misurare gli attributi psicologici [Michell 1997]. Lo stesso accadrebbe con la definizione di misurazione di Stevens, che si con- centra sulla regola di assegnazione dei numeri agli oggetti, ignorando il mandato scien- tifico di chiarire prima la natura degli attributi. Allo stesso modo, se un modello si adat-
132 Da Pitagora, il grande filosofo e matematico greco del VI sec. a.C., il motto della cui scuola si di-
ce fosse “Tutto è Numero”, intendendo il numero come costitutivo della realtà stessa e dell’armonia di tutte le cose.
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ta ai dati, questi sarebbero automaticamente considerati come frutto di attributi quantita- tivi, ignorando che quest’ultima è un’ipotesi che in quel modo non è ancora stata per niente testata.