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1.5 Le forme della moda sostenibile

1.5.1 La moda ecosostenibile

Nel paragrafo 1.2 sono riportati alcuni dati che evidenziano come la moda di per sé non è sostenibile per i numerosi impatti negativi che causa sull’ambiente. Alternati- ve che eliminano o almeno riducono l’inquinamento ambientale però esistono. Per quanto riguarda le fibre, le aziende potrebbero utilizzare20:

• quelle biologiche naturali come il cotone;

• quelle naturali vegetali biodegradabili provenienti da risorse rinnovabili come il lino, la canapa, la iuta e l’ortica;

• quelle naturali riciclate;

• quelle naturali biodegradabili di origine animale come la lana, la seta, il cash- mere, l’angora, l’alpaca;

• quelle artificiali biodegradabili provenienti da risorse rinnovabili;

• quelle a base di cellulosa che hanno il vantaggio di avere un processo produtti- vo a basso impatto ambientale e di essere facilmente biodegradabili ma hanno lo svantaggio della tintura;

• quelle sintetiche riciclate come il poliestere.

Quelle appena elencate sono fibre naturali e non naturali realizzate o ottenute tramite processi a basso impatto ambientale.

Una fibra che si sta particolarmente diffondendo negli ultimi anni è il cotone biologico (o organico). Come accennato nel paragrafo 1.2, il 3% delle terre coltivate sono destinate alla produzione di cotone. Il cotone è la fibra tessile più utilizzata e i due Paesi principali produttori sono India e Cina. E’ diffusa l’idea che sia una fibra naturale che faccia bene all’ambiente ma in realtà non è così. Per la coltivazio- ne delle piante vengono utilizzate grandi quantità di pesticidi chimici e fertilizzanti per uccidere i parassiti e gli insetti, velocizzare la crescita e aumentare le rese del terreno. Questo però va a danneggiare l’ambiente compromettendo la biodiversi- tà e la salute non solo di chi lavora nei campi ma anche delle comunità limitrofe. Con il tempo, inoltre, i terreni si impoveriscono e saranno necessarie delle maggiori quantità di prodotti chimici per soddisfare la domanda. La coltivazione del cotone

19Rinaldi F.R., Testa S., op. cit., p.54. 20Ivi, pp.55-56.

richiede anche molta acqua. Si stimano necessari 1.500 litri d’acqua per la produzio- ne del cotone che occorre per la realizzazione di una t-shirt e 6.800 litri d’acqua per quella di un paio di jeans. L’International Cotton Advisory Committee ha stimato una crescita del 5% del cotone per la stagione 2018/201921. L’alternativa che permette di risolvere in parte i danni causati dalla produzione di cotone è quella del cotone biologico. Come suggerisce la parola, quello bio è un cotone ottenuto da processi più naturali e a più basso impatto ambientale e sociale. La produzione di cotone biologico prevede l’utilizzo di fertilizzanti di origine naturale o di insetti antagoni- sti per eliminare i parassiti. La rimozione delle erbe infestanti deve avvenire a mano e si devono utilizzare semenze che almeno da quattro generazioni non abbiano su- bito trattamenti chimici. Infine si devono ruotare le colture per mantenere la fertilità del terreno e rendere più difficile l’insediamento dei parassiti. Il cotone biologico permette di ridurre i consumi di acqua del 71% e quelli di energia del 62%22. La domanda di cotone organico negli ultimi anni sta crescendo soprattutto grazie alle multinazionali del fast fashion che, di fronte a consumatori sempre più esigenti su ciò che indossano, hanno iniziato ad utilizzarlo nelle loro produzioni. Ad incenti- vare la conversione verso tecniche più naturali c’è la Better Cotton Initiative (BCI)23, un’associazione nata nel 2005 e che oggi opera in ben 21 Paesi24. Il suo obiettivo è quello di promuovere una coltivazione sostenibile che rispetti l’ambiente e che sia meno pericolosa per la salute degli agricoltori. La BCI impone dei limiti più strin- genti sulle quantità utilizzabili di pesticidi pericolosi, contribuisce ad una gestione più efficiente dell’acqua, incoraggia una migliore gestione dei nutrienti con l’obbli- go di analisi periodiche dei terreni e aiuta gli agricoltori a ridurre le emissioni di gas serra25. Da un punto di vista sociale, favorisce l’uguaglianza di genere, vieta il lavo- ro forzato e quello minorile, prevede l’assistenza sanitaria obbligatoria, garantisce la parità di retribuzione nonché un salario adeguato. Nella stagione 2016-2017 sono stati 1.3 milioni gli agricoltori che hanno aderito all’iniziativa con una produzione di cotone biologico pari al 14% di quella globale.

Un’altra fase altamente inquinante è quella della tintura, asciugatura e fissaggio. In questa fase della produzione, si utilizzano prodotti chimici e, oltre al grande con- sumo di acqua ed energia, si creano anche rifiuti non biodegradabili e sottoprodotti che rischiano di inquinare le acque. Anche in questo caso le alternative per rende- re questo step più in armonia con l’ambiente sono molte. Le aziende possono per

21International Cotton Advisory Committee, https://www.icac.org/Press-Release/2018-(1)/PR-

15-2018-Tight-Cotton-Markets,-Uncertain-Trade-P, (25/08/2018).

22Textile Exchange, http://aboutorganiccotton.org, (25/08/2018). 23BCI, https://bettercotton.org

24Australia, Brazil, Burkina Faso, Cameroon, China, Cote d’Ivoire, Ghana, India, Israel, Kazakh-

stan, Madagascar, Mozambique, Pakistan, South Africa, Tajikistan, Tanzania, Turkey, Uganda, USA, Zambia and Zimbabwe.

esempio utilizzare colori naturali di origine vegetale come quelli provenienti dalla lavorazione del caffè, della barbabietola e delle ciliegie. Interessante è il programma Recycrom dell’azienda italiana Officina+3926. Grazie ad un sofisticato processo che fa uso solamente di sostanze naturali, l’azienda è in grado di trasformare gli abiti usati in una polvere fine utilizzabile per colorare qualsiasi tipo di tessuto.

Anche l’inquinamento ambientale causato dal trasporto può essere ridotto in va- ri modi. Le aziende possono per esempio cercare di coinvolgere nella propria supply chain partner locali in modo tale da ridurre la distanza degli spostamenti. Un’altra soluzione è quella di scegliere modalità di trasporto meno inquinanti come quella via mare o su rotaia. Un’altra soluzione ancora è quella di rivedere il packaging dei prodotti per far sì che in un carico (per esempio in un container) si riescano a trasportare più pezzi alla volta. In questo modo si aumenta l’efficienza e si riduce il numero di trasferimenti necessari per trasportare la stessa quantità di merce.

Come già riportato nel paragrafo 1.2, a contribuire all’insostenibilità della moda sono anche i consumatori con i comportamenti che adottano. Il lavaggio, l’asciuga- tura e la stiratura generano un elevato consumo di energia. In preda alla moda e al bisogno di sfoggiare sempre qualcosa di nuovo, comprano nuovi abiti anche quan- do non ne hanno bisogno e una grande quantità di quelli "vecchi" (usati) finiscono nelle discariche. Per ridurre gli impatti ambientali di un consumo non responsabile le aziende dovrebbero sensibilizzare i loro clienti ed educarli per dei comportamen- ti più responsabili. Per esempio, si può dire loro di lavare i capi a temperature più basse, di ridurre la frequenza dei lavaggi, di preferire lo stendibiancheria all’asciu- gatrice. Le aziende potrebbero fornire ai loro clienti anche dei pezzi di ricambio (come bottoni, perle, etc), indicazioni utili per la manutenzione del capo oppure of- frire un servizio per la riparazione. Queste iniziative aumenterebbero la vita utile dei capi ma per risolvere il problema dell’inquinamento generato con l’utilizzo, è fondamentale anche un cambiamento delle abitudini delle persone.

L’ultima fase della vita di un capo è tradizionalmente associata al suo smalti- mento. Ogni anno milioni di capi usati vengono cestinati contribuendo a riempire le discariche e ad inquinare il pianeta. In realtà a quegli abiti può essere data una nuova vita rimettendoli in circolo. Questa è quella che viene definita circular econo- my (economia circolare)27. L’attuale sistema di produzione è lineare e a senso unico in quanto le risorse vengono estratte, lavorate, trasformate in prodotto, vendute e infine eliminate in discarica ("take-make-dispose")28. Questo processo viene spesso chiamato "from cradle to grave" (dalla culla alla tomba). Adottando un sistema di

26Recycrom, https://recycrom.com/tech-explained/, (25/08/2018).

27Ellen MacArthur Foundation, https://www.ellenmacarthurfoundation.org/circular-economy,

(25/08/2018).

economia circolare, invece, si va a creare un ciclo chiuso che piuttosto di terminare con la dismissione, considera il rifiuto il punto di partenza per un altro ciclo. Que- sto sistema viene anche chiamato "from cradle to cradle" (dalla culla alla culla). Si tratta dunque di un’economia volta a rigenerarsi dove i materiali di origine natu- rale vengono reintegrati nella biosfera mentre quelli tecnici vengono rivalorizzati. E’ un’economia "a zero rifiuti" in quanto ogni prodotto viene realizzato, consumato e smaltito senza lasciare traccia. Per adottare un approccio circolare le aziende de- vono rivedere tutte le fasi della catena del valore e fare attenzione a tutta la supply chain. Sono 5 i principi che le aziende devono seguire e rispettare per adottare un modello di circular economy29:

1. Eco-progettazione. I prodotti devono essere progettati in modo da rendere possibile il recupero delle fibre e degli eventuali accessori.

2. Modularità e versatilità. Puntare alla modularità, versatilità e adattabilità per far sì che il capo possa essere adattato al cambiamento delle condizioni esterne. 3. Energie rinnovabili. Utilizzare le fonti di energia rinnovabile al posto di quelle

fossili.

4. Approccio eco-sistemico. Adottare un approccio olistico considerando l’in- tero sistema e le relazioni causa-effetto esistenti tra le varie componenti del prodotto.

5. Recupero dei materiali. Utilizzare materie prime secondarie (di recupero) piut- tosto di quelle vergini.

L’economia circolare rappresenta una grande opportunità per le imprese stimo- landole a collaborare per la realizzazione di soluzioni innovative che consentano di ridurre gli attuali impatti negativi che l’industria della moda genera sull’ambiente.