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Capitolo Terzo

PROFILI INNOVATIVI DEL MODELLO ORGANIZZATIVO FINALIZZATO ALLA PREVENZIONE DEI REATI IN MATERIA DI SICUREZZA SUL

5. I modelli nelle piccole e medie imprese

Nel panorama italiano il 95% delle imprese è costituito imprese-famiglia con meno di 10 dipendenti63, eppure il legislatore, nel disciplinare i modelli, ha omesso qualsiasi differenziazione sulla base della dimensione, prevedendo solamente all’art. 6 comma 4 d.lgs. 231/2001 che negli enti di piccole dimensioni i compiti dell’Organismo di Vigilanza possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente. Ciò pone dei problemi di non poco contro.

Si potrebbe sostenere che l’adozione del Modello nelle PMI potrebbe non rivestire il ruolo centrale che assume, invece, in relazione alla responsabilità delle imprese di maggiori dimensioni. La presenza di una struttura meno articolata, indice di una minore disponibilità di risorse, è sintomatica del fatto che negli enti più piccoli talvolta è addirittura difficile escludere la volontà dell’ente quando si verifichino i reati presupposto, poiché è più raro che si riscontri una dissociazione tra la volontà dell’agente persona fisica e la volontà dell’ente, frequente, invece, negli enti di grandi dimensioni. Le Linee Guida di Confindustria64 sottolineano che la soglia dimensionale è “una problematica di tipo orizzontale, che riguarda ogni impresa, a prescindere dal settore in cui opera, e influisce sul livello di complessità dei modelli da adottare. È evidente che questioni concernenti l’organizzazione, le deleghe di funzioni e le comma 5 d.lgs. 81/2008 e con quanto previsto dall’art. 16 comma 3 d.lgs. 81/2008. V. anche T. GUERINI, Il ruolo del modello, cit., 107 s., che ammette che l’asseverazione può influire sulla valutazione dell’elemento soggettivo del reato.

61 Per le conseguenze sul piano della colpevolezza individuale, si rinvia a D. PULITANÒ, Sicurezza del lavoro, cit., 107.

62 Cfr. T. GUERINI, Il ruolo del modello, cit., 108. V. V. MASIA, Prospettive di riforma, cit., il quale

ritiene che l’asseverazione non sia un mezzo di formazione anticipato della prova, ma può al più essere considerato come un indicatore di liceità, liberamente valutabile dagli organi di vigilanza e dal giudice: “l’invadente sindacato del giudice, estromesso dalla porta, rientra dalla più classica delle finestre”.

63 Dati di Confcommercio risalenti al 2006, ma che si ritengono ancora attuali. V. P. MAGRI-A.

RACANO, Nuovi sviluppi applicativi per le PMI in materia di 231 e sicurezza sul lavoro, in Resp. amm.

soc. enti, 2014, 4, 152 s. Per la rilevanza delle PMI nel tessuto produttivo italiano, si rinvia a G.

BUBOLA-M. TIRABOSCHI, Il regime per le piccole e medie imprese, in AA.VV. (a cura di M. TIRABOSCHI-L.FANTINI), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs.

106/2009), Giuffrè, 2009, 272 ss.

procedure decisionali e operative sono destinate ad assumere un minor rilievo in una piccola impresa, nella quale la maggior parte delle funzioni è concentrata in capo a poche persone”.

La questione, tuttavia, si è posta in maniera ancora più accentuata con l’introduzione dell’art. 25 septies, perché in questo settore, molto più che in altri, le PMI non possono ritenersi estranee ai rischi che possono derivare dalla mancata adozione dei Modelli; tuttavia, quest’ultima, sebbene sulla carta solo facoltativa, può risultare eccessivamente onerosa per tali tipologie di imprese65. Dunque, si è posto il problema di individuare il contenuto del Modello negli enti di piccole e medie dimensioni.

Per ciò che attiene in generale la materia della responsabilità degli enti, l’assenza di qualsiasi indicazione legislativa è stata in qualche modo colmata dalle Linee guida Confindustria, le quali propongono la Costruzione di un Modello adeguato all’organizzazione delle PMI66, sicuramente più semplice rispetto a quella delle grandi

65 V. CONFINDUSTRIA, Linee guida, cit., 81 ss. Sul punto, v. anche A. MAZZERANGHI-R.

MARIANI-F. COUCOURDE, Un’architettura di modello organizzativo compatibile con l’organizzazione delle PMI nazionali, in Resp. amm. soc. enti, 2012, 2, 303, che evidenziano come le

piccole e medie imprese siano cresciute mantenendo un approccio snello e facendo della flessibilità la loro arma vincente sul mercato. Nella maggior parte dei casi,si tratta, inoltre, di aziende poco capitalizzate e che hanno fondato il loro successo su politiche di contenimento dei costi (soprattutto quelli indiretti). In queste realtà, una sovrastruttura di controllo, quale può essere il Modello 231, “nella migliore delle ipotesi rallenta tutti i processi, nella peggiore è un costo insostenibile”, anche alla luce del fatto che l’adozione e attuazione del modello non assicura di per sé la “funzione protettiva (assicurativa)” per cui il Modello stesso viene implementato.

66 Da notare che secondo le Linee Guida Confindustria il criterio di individuazione delle piccole imprese

in questa sede “va ricercata nella essenzialità della struttura interna gerarchica e funzionale, piuttosto che in parametri quantitativi”. Sulla questione, cfr. A. MAZZERANGHI-R. MARIANI-F. COUCOURDE,

Un’architettura, cit., 301 s., che sottolineano come i fattori definiti dalla legge per l’individuazione delle

grandi imprese, ovvero, principalmente, il numero di addetti e il fatturato, siano discutibili se utilizzati in relazione alla “sostenibilità” dei Modelli Organizzativi. Secondo gli Autori, “l’elemento che distingue le aziende in due o più gruppi omogenei in relazione all’implementazione dei Modelli Organizzativi è la complessità dell’organizzazione, definita prima di tutto dal numero di livelli che la compongono, dal top management sino agli operativi”. Dubbi sui criteri di distinzioni sono avanzati anche da F. VOLTAN,

Riflessioni sulla nomina dell’Organismo di Vigilanza nelle società di piccole dimensioni, in Resp. amm. soc. enti, 2013, 4, 161 s., che analizza due differenti teorie. Il primo orientamento fa riferimento alla

Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE; l’altro guarda alla essenzialità della struttura interna gerarchica e funzionale. Secondo l’Autore, è preferibile aderire al primo orientamento, per ancorare la distinzione a dati certi. V. G. BUBOLA-M. TIRABOSCHI, Il regime, cit., 271 s., secondo i quali per la definizione di piccole imprese ai fini del d.lgs. 81/2008 occorre far riferimento all’Allegato 1 del Regolamento CE n. 800/2008, che riprende l’Allegato 1 della Raccomandazione 2003/361/CE. Secondo tale normativa, sono tre i criteri che devono essere contemporaneamente soddisfatti ai fini della qualificazione come piccola o media impresa: quello del numero dei dipendenti, quello finanziario e quello dell’autonomia. Rientra nella definizione di PMI l’impresa che ha meno di 250 impiegati e con un fatturato annuale non superiore ai 50 milioni di euro e/o con un bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. Inoltre, l’impresa si considera autonoma se non è qualificabile come “associata” o “collegata”, secondo parametri che sono ulteriormente specificati nel DM 18 aprile 2005 del Ministero delle Attività Produttive (il quale può essere richiamato anche se fa riferimento alla Raccomandazione 2003/361/CE, in

imprese67, ma che comunque ricalca quanto previsto anche per gli enti di grandi dimensioni, seguendo la tripartizione: a) individuazione dei rischi e protocolli68; b) codice etico e sistema disciplinare69; c) Organismo di Vigilanza70.

In materia di salute e sicurezza del lavoro, tuttavia, il legislatore ha compiuto un passo avanti a favore delle piccole e medie imprese, prevedendo all’art. 30 comma 5 bis che ‹‹la commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora

procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure

quanto i criteri del Regolamento CE n. 800/2008 sono identici). Il problema definitorio è analizzato anche da S. BARTOLOMUCCI, Gestione antinfortunistica, cit., 56, secondo cui non ci sarebbe alcuna sinonimia tra quanto previsto dall’art. 6 d.lgs. 231/2001 e dall’art. 30 comma 5 bis d.lgs. 81/2008, alla luce delle differenti conseguenze connesse alla qualificazione. Infatti, nell’art. 6 d.lgs. 231/2001 il termine “dimensione” è riferito a qualsiasi ente collettivo e per questo rimanda a valutazioni circa la configurazione gerarchico-amministrativa. Questa sarebbe la ratio sottesa anche ad alcune disposizioni del TUS (come quella che consente al datore di lavoro di svolgere i compiti di prevenzione e protezione, cfr. art. 34), ma non anche all’art. 30. In quest’ultimo, infatti, l’etichetta di PMI presuppone un “parametro valutativo-dimensionale di rilievo dinamico e di natura economica-finanziaria-occupazionale, riferito alla (sola) impresa, e dunque si dovrebbero applicare i criteri previsti dalla succitata Raccomandazione CE. L’Autore sottolinea che si tratta, però, di concetti distonici che possono convivere, dando luogo a varie configurazioni. In ogni caso, secondo l’Autore, la soglia identificativa è volutamente indefinita, così da imporre una valutazione empirica caso per caso.

67È interessante rilevare che CONFINDUSTRIA, Linee guida, cit., 80 ss., propongono un Modello

semplificato anche in considerazione che le PMI potrebbero non essere familiari con alcuni concetti.

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Per l’individuazione dei rischi ed elaborazione dei relativi protocolli, le principali differenza attengono: a) l’analisi dei rischi, più o meno complessa in termini di numerosità e articolazione delle funzioni aziendali interessate e di casistiche di illecito; b) le modalità operative di gestione dei rischi, affidate all’organo dirigente, prevedendo eventualmente il supporto di professionisti esterni, e non di funzioni aziendali interne; c) i controlli preventivi. Secondo A. MAZZERANGHI-R. MARIANI-F. COUCOURDE, Un’architettura, cit., 304 ss., la mappatura dei rischi deve tenere conto di ciò che è realmente utile all’azienda, ammettendosi l’esclusione di fattispecie che non possono realizzarsi nella realtà degli enti in questione. Allo stesso modo, i protocolli operativi devono essere pensati per essere adattati ai processi aziendali e agli specifici modi di lavoro già in atto. Inoltre, se l’esperienza e la competenza consentono di operare in modo definito e ripetibile senza la necessità di regole scritte, si potrà evitare di appesantire il Modello con procedure o istruzioni operative superflue.

69 Sotto questo profilo, non si riscontrano particolari differenze rispetto a quanto previsto per gli enti di

maggiori dimensioni. Cfr. A. MAZZERANGHI-R. MARIANI-F. COUCOURDE, Un’architettura, cit., 303 s., secondo cui i principi etici dell’azienda e le regole di alto livello devono essere formulate in maniera sintetica, così da essere fruibili anche da chi non ha una cultura specifica, e devono svolgere per lo più una funzione di indirizzo generale, anche da richiedere nel tempo il minimo di revisioni possibile. In ogni caso, ricorda F. VOLTAN, Riflessioni, cit., 163, che anche in relazione alle PMI è fondamentale l’attività di formazione.

70 La configurazione dell’OdV presenta delle specificità, riconosciute dallo stesso legislatore, laddove le

piccole imprese, nelle quali potrebbe mancare una funzione con compiti di monitoraggio del sistema di controllo interno, potrebbero non essere in grado di sostenere l’onere derivante dall’istituzione di un organismo ad hoc. Le Linee Guida raccomandano, tuttavia, che l’organo dirigente, cui l’art. 6 comma 4 d.lgs. 231/2001 attribuisce la facoltà di svolgere le funzioni dell’OdV, si avvalga di professionisti esterni. Nello stesso senso, v. P. MAGRI-A. RACANO, Nuovi sviluppi applicativi, cit., 164 s., secondo cui, se è vero che lo svolgimento da parte del datore di lavoro dei compiti dell’OdV rappresenta una semplificazione dell’ottica del risparmio dei costi, tuttavia potrebbe determinare l’automatica responsabilità dell’ente, nel momento in cui l’organo dirigente non può assicurare l’autonomia dei controlli e della vigilanza. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia a F. VOLTAN, Riflessioni, cit., 157 ss.

sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali››. Tale riforma consente finalmente l’adozione di modelli più aderenti alle

esigenze dell’impresa: promuove, dunque, la personalizzazione del Modello a cui potrebbe finalmente corrispondere un’autentica personalizzazione del rimprovero. Ciò potrebbe auspicabilmente condurre alla definitiva affermazione di un concetto normativo di colpa di organizzazione incentrato sull’adozione e sulla efficace attuazione del modello antinfortunistico, superando il criterio anacronistico dell’”interesse”71. Un ulteriore e significativo strumento per incentivare le piccole e medie imprese a dotarsi di modelli di organizzazione e gestione è costituito dall’art. 30 comma 6 d.lgs. 81/2008, il quale stabilisce che ‹‹L’adozione del modello di organizzazione e di gestione

di cui al presente articolo nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell’articolo 11››.

Le attività finanziabili di cui all’art. 11 d.lgs. 81/200872 sono state previste dal legislatore proprio nella prospettiva di introdurre nel sistema sicurezza dei meccanismi

71

Cfr. V. MASIA, Prospettive di riforma, cit., 35. Plaude la riforma anche S. BARTOLOMUCCI,

Gestione antinfortunistica, cit., 55 ss., evidenziando come sia apprezzabile l’attenzione alle PMI,

tipicamente “refrattarie all’autorganizzazione”. Tuttavia, secondo l’Autore sarebbe stato opportuno un intervento più efficace, ad esempio limitato alle sole “micro-imprese”, dal momento che il riferimento alle piccole e medie imprese risulta disomogeneo e omnicomprensivo. Critico sulla scelta del legislatore T.E. ROMOLOTTI, Modello organizzativo, cit., 41, secondo cui le “procedure semplificate” rischiano di essere assimilate a una sorta di “patentino minimo” con cui l’impresa possa sfuggire alle proprie responsabilità. Secondo l’Autore, infatti, in materia di sicurezza, la semplificazione non costituisce automaticamente un vantaggio, né si può in qualche modo assumere che le piccole e medie imprese svolgano di per sé attività meno pericolose di quelle con un maggior numero di dipendenti. Condivide simili perplessità, D. PULITANÒ, Sicurezza del lavoro, cit., 108, secondo cui la riforma è sensata fintanto che la semplificazione non comporta una riduzione degli obblighi finali di sicurezza, in quanto i bisogni di sicurezza esigono uguale soddisfazione a eguale situazione di rischio. Infatti, il contenuto delle regole cautelari va individuato in relazione all’interesse da tutelare e non potrebbe ammettersi, invece, una differenziazione delle regole cautelari in funzione della capacità dei soggetti obbligati di rispettare gli

standard di sicurezza. Si ritiene così che il Decreto Ministeriale di adozione delle procedure semplificate,

non avendo forza di legge, non possa in alcun modo derogare gli obblighi di sicurezza imposti dalla legge.

72 Si riporta qui il testo dell’art. 11 d.lgs. 81/2008: ‹‹1. Nell’ambito della Commissione consultiva di cui all’articolo 6 sono definite, in coerenza con gli indirizzi individuati dal Comitato di cui all’articolo 5, le attività promozionali della cultura e delle azioni di prevenzione con riguardo in particolare a: a) finanziamento, da parte dell’INAIL e previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di progetti di investimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro da parte delle piccole, medie e micro imprese; per l’accesso a tali finanziamenti deve esse re garantita la semplicità delle procedure; b) finanziamento, da parte dell’INAIL e delle Regioni, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di progetti formativi specificamente dedicati alle piccole, medie e micro imprese, ivi compresi quelli di cui all’articolo 52, comma 1, lettera b); c) finanziamento, da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca., previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, delle attività degli istituti scolastici, universitari e di formazione professionale finalizzata all’inserimento in ogni attività scolastica ed universitaria, nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica e nei percorsi di istruzione e

formazione professionale di specifici percorsi formativi interdisciplinari alle diverse materie scolastiche volti a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e della sicurezza nel rispetto delle autonomie didattiche.

2. Ai finanziamenti di cui al comma 1 si provvede con oneri a carico delle risorse di cui all’articolo 1, comma 7-bis, della Legge 3 agosto 2007, n. 123, come introdotto dall’articolo 2, comma 533, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244. Con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, dell’istruzione e dell’università e della ricerca, acquisito il parere della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede al riparto annuale delle risorse tra le attività di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 e dell’articolo 52, comma 2, lettera d).

3. Le amministrazioni centrali e le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto delle proprie competenze, concorrono alla programmazione e realizzazione di progetti formativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, attraverso modalità operative da definirsi in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Alla realizzazione e allo sviluppo di quanto previsto nel periodo precedente possono altresì concorrere le parti sociali, anche mediante i fondi interprofessionali.

3-bis. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto delle proprie competenze e con l’utilizzo appropriato di risorse già disponibili, finanziano progetti diretti a favorire la diffusione di soluzioni tecnologiche o organizzative avanzate in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sulla base di specifici protocolli di intesa tra le parti sociali, o gli enti bilaterali, e l’INAIL. Ai fini della riduzione del tasso dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, ferma restando la verifica dei criteri di cui al comma 1 del predetto articolo 3, si tiene anche conto dell’adozione, da parte delle imprese, delle soluzioni tecnologiche o organizzative di cui al precedente periodo, verificate dall’INAIL.

4. Ai fini della promozione e divulgazione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro è facoltà degli istituti scolastici, universitari e di formazione professionale inserire in ogni attività scolastica ed universitaria nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica e nei percorsi di istruzione e formazione professionale, percorsi formativi interdisciplinari alle diverse materie scolastiche ulteriori rispetto a quelli disciplinati dal comma 1, lettera c) e volti alle medesime finalità. Tale attività è svolta nell’ambito e nei limiti delle risorse disponibili degli istituti.

5. L’INAIL finanzia, con risorse proprie, anche nell’ambito della bilateralità e di protocolli con le parti sociali e le associazioni nazionali di tutela degli invalidi del lavoro, progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivolti in particolare alle piccole, medie e micro imprese e progetti volti a sperimentare soluzioni innovative e strumenti di natura organizzativa e gestionale ispirati ai principi di responsabilità sociale delle imprese. Costituisce criterio di priorità per l’accesso al finanziamento l’adozione da parte delle imprese delle buone passi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera v). L’INAIL svolge tali compiti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

5-bis. Al fine di garantire il diritto degli infortunati e tecnopatici a tutte le cure necessarie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, l’INAIL può provvedere utilizzando servizi pubblici e privati, d’intesa con le regioni interessate. L’INAIL svolge tali compiti con le risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza incremento di oneri per le imprese.

6. Nell’ambito dei rispettivi compiti istituzionali, le amministrazioni pubbliche promuovono attività specificamente destinate ai lavoratori immigrati o alle lavoratrici, finalizzate a migliorare i livelli di tutela dei medesimi negli ambienti di lavoro.

7. In sede di prima applicazione, per il primo anno dall’entrata in vigore del presente decreto, le risorse di cui all’articolo 1, comma 7-bis, della Legge 3 agosto 2007, n. 123, come introdotto dall’articolo 2, comma 533, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono utilizzate, secondo le priorità, ivi compresa una campagna straordinaria di formazione, stabilite, entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, con Accordo adottato, previa consultazione delle parti sociali, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e la Province autonome di Trento e di Bolzano››.

differenziati per piccole e medie imprese, contemplando la devoluzione di fondi a favore di queste come incentivo alla attuazione della normativa antinfortunistica73. In questo senso, l’art. 11, come modificato dal d.lgs. 106/2009, prevede una serie di ‹‹Attività promozionali›› (così definite dalla rubrica dell’articolo) a sostegno del rispetto degli obblighi imposti dalla legge e della affermazione della salute e sicurezza come precisa politica d’impresa. Senza entrare nel merito delle singole previsioni, i soggetti pubblici erogatori sono l’INAIL e, per quanto riguarda i progetti formativi, anche le Regioni e il MIUR, previo trasferimento dei fondi da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Tra le attività finanziabili, grazie al rinvio operato dal già citato comma 6 dell’art. 30, rientra anche l’adozione dei Modelli nelle imprese sino a 50 lavoratori. Ciò dimostra che il legislatore ha preso atto dell’eccessivi oneri che la predisposizione dei Modelli comporta nelle PMI, anche con riguardo al fatto che le sanzioni previste per il reato di cui all’art. 25 septies d.lgs. 231/2001 possono mettere realmente in ginocchio imprese di piccole dimensioni74.

Tornando al tema che più rileva in questa sede, è opportuno analizzare l’art. 30 comma

5 bis d.lgs. 81/2008 e le procedure semplificate per l’adozione dei Modelli di

Organizzazione e Gestione nelle piccole e medie imprese.