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PARTE SECONDA

3. Il procedimento per il riconoscimento delle decisioni di scioglimento del vincolo matrimoniale

3.1. Motivi ostativi al riconoscimento delle decisioni matrimonial

I motivi di non riconoscimento si differenziano a seconda che riguardino decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio (art. 22), o, invece, decisioni relative alla responsabilità genitoriale (art. 23). Tali motivi, ad ogni modo, hanno carattere esclusivo, non potendosi addurre motivi diversi da quelli previsti espressamente dal regolamento, sicché l’elencazione degli stessi contenuta negli artt. 22 e 23 ha natura tassativa e non già esemplificativa.

Qualora la decisione concerna unicamente gli effetti del matrimonio, il diniego del riconoscimento è limitato dall’articolo 22 del reg. 2201/2003 a quattro requisiti: a) la manifesta contrarietà del riconoscimento all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto;

b) il fatto che, quando la decisione sia stata resa in contumacia, la domanda giudiziale o un

atto equivalente non sia stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto abbia accettato inequivocabilmente la decisione; c) l’incompatibilità tra la decisione e una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; d) l’incompatibilità della decisione con una decisione anteriore avente le stesse parti, resa in un altro Stato membro o in un paese terzo, purché la decisione anteriore soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto.

Come visto anche per il regolamento Bruxelles I-bis, l’ipotesi principale e di più difficile interpretazione è certamente quella individuata dalla lett. a).

Si tratta del limite classico che il diritto internazionale privato ha elaborato con riferimento all’efficacia extraterritoriale delle sentenze straniere (e del diritto applicabile) ed è stato generalmente individuato come il nucleo dei principi essenziali (etico, politici, economici e sociali) ed irrinunciabili di un ordinamento nazionale in un determinato periodo storico. La delimitazione del concetto di ordine pubblico è sempre stata rimessa

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all’apprezzamento di ciascun ordinamento nazionale; ogni ordinamento, infatti, ne ha elaborato il contenuto alla luce dei propri principi e dei propri valori fondanti.

Esso non opera in maniera automatica nei confronti delle sentenze straniere, ma presuppone una verifica in concreto del risultato della loro applicazione, alla luce dei principi accolti nell’ordinamento del giudice adito, ed interviene solo in caso di manifesta incompatibilità della sentenza pronunciata all’estero rispetto ai principi fondamentali dello Stato membro nel quale il riconoscimento è richiesto389.

Nell’ambito dei diritti indisponibili, l’ordine pubblico costituisce un limite insuperabile posto come baluardo di garanzia dei principi che caratterizzano la struttura della comunità nazionale, posti a fondamento del sistema giuridico di uno Stato membro, non derogabili da una norma o da una sentenza straniera la cui applicazione porti a risultati con essi incompatibili. In tal caso viene in rilievo l’ordine pubblico internazionale il cui ambito di operatività è più ristretto rispetto alla nozione di ordine pubblico interno390.

Ritornando più strettamente al regolamento, secondo l’art. 22, lett. a), una decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non è riconosciuta «se il

riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto». La valutazione riguarda non la decisione straniera in sé e tanto meno il diritto

materiale su cui si fonda, ma il suo riconoscimento. Il «manifestamente» indica che il ricorso al limite dell’ordine pubblico deve essere eccezionale e venire adeguatamente motivato391. Ciò significa che un semplice contrasto tra il contenuto della decisione

straniera e una norma nazionale non può bloccare il fenomeno di «circolazione» delle

389 A tal proposito si deve ricordare la precisazione effettuata dalla Corte di giustizia nel caso Hoffmann,

cit., a proposito dell’applicazione solo in casi eccezionali del limite dell’ordine pubblico.

390 Sul punto, copiosa è stata la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana: sentenza del 1° marzo

1983, n. 1539; sentenza del 24 novembre 1989, n. 5074; sentenza del 28 maggio 1993, n. 5954; SS.UU. del 7 luglio 1993, n. 7447; sentenza del 18 dicembre 2006, n. 27592; sentenza del 25 novembre 2010, n. 23933. Si veda,altresì, Corte costituzionale, sentenza del 2 febbraio 1982, n. 18. Come si è avuto modo di precisare nella prima parte di questo lavoro, l’ordine pubblico «esprime i valori cogenti del comune sentire, come

emergenti dall’insieme delle norme costituzionali ed ordinarie e delle loro modifiche nel tempo» (Cass.,

SS.UU., sentenza del 18 luglio2008, n. 19809). «L’ordine pubblico non si identifica automaticamente con le

disposizioni costituzionali, le quali riguardano anche elementi dell’organizzazione interna dello Stato che non possono essere trasposti in altri Paesi» (Cass. Civ., sentenza dell’8 febbraio 2012, n.1781, in particolare

in relazione ad una sentenza proveniente dagli USA e priva di motivazione). Ai fini del riconoscimento delle sentenze straniere, la valutazione dell’ordine pubblico in internazionale non coincide esattamente con quella richiesta per verificare la possibilità di applicazione del diritto straniero designato dalle norme di conflitto (art. 16, legge 218/1995), dato che la costituzione di nuovi rapporti giuridici, in applicazione di norme straniere che possano produrre risultati contrari all’ordine pubblico, deve essere soggetta ad un giudizio più rigoroso rispetto a quello sotteso al riconoscimento di un provvedimento straniero, i cui effetti si sono già prodotti all’estero e continuano a sussistere indipendentemente dal riconoscimento. Sul concetto di ordine pubblico internazionale, di notevole interesse è la sentenza della corte di cassazione del 9 maggio 2013, n. 11021.

391 F.MOSCONI,C.CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e contratti,

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decisioni nell’ambito comunitario: tale contrasto, per essere rilevante nell’economia dello spazio giudiziario europeo, deve riguardare un principio fondamentale dell’ordinamento interno, la cui lesione può pregiudicare l’identità stessa di tale ordinamento392.

Inoltre, la giurisprudenza comunitaria, pur non entrando nel merito del riservato dominio degli Stati membri, ha svolto un’opera di controllo esterno, verificando la congruità del limite opposto rispetto agli obiettivi dello Spazio giudiziario europeo. In più occasioni la Corte di Giustizia ha sottolineato che il limite dell’ordine pubblico deve essere interpretato restrittivamente in quanto rappresenta un’eccezione al principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere393.

In altri casi la Corte si è spinta oltre e ha cercato di individuare disposizioni e principi comuni di natura comunitaria che potessero portare alla realizzazione di un concetto di “ordine pubblico comunitario”; la Corte si è adoperata in tal senso soprattutto per mettere in rilievo quei principi in materia di equo processo che costituiscono un rilevante fattore di integrazione.

Un’ulteriore limitazione della clausola in questione è data, infine, dall’art. 25: la divergenza fra le leggi circa i fattori idonei a determinare la separazione, il divorzio o l’invalidità del matrimonio non può costituire motivo di diniego del riconoscimento. Ci si può chiede, però, se tale disposizione permetta il controllo sul rispetto delle norme di conflitto dello Stato richiesto. La formulazione letterale della disposizione non sembra favorevole alla soluzione affermativa, che era, invece, esplicitamente prevista nell’originaria formulazione della Convenzione di Bruxelles. La carenza del dato normativo e soprattutto lo spirito di reciproca fiducia che pervade il Regolamento inducono ad escludere un simile controllo394.

Invero, la disposizione di cui alla lett. a) costituisce una clausola di salvaguardia di carattere generale che tocca la sensibilità degli Stati membri, soprattutto in relazione ad una materia così delicata come il diritto di famiglia. Per la particolarità della materia, un ausilio interpretativo è fornito dalle disposizioni del medesimo regolamento n. 2201/2003 che hanno espressamente individuato dei limiti all’utilizzo di detta clausola, per evitarne un uso eccessivo e distorto che potrebbe vanificare gli scopi stessi della disciplina regolamentare.

392 Corte di giustizia, sentenza dell’11 maggio 2000, causa C-38/98, Renault, par. 28.

393 Corte di giustizia, sentenza del 2 giugno 1994, causa C-414/92, Solo Kleinmotoren. In dottrina si veda:

H.MUIR-WATT, commento alla sentenza della Cour de cassation del 30 giugno 2004, in Rev. crit. dr. Int.

priv., 2004, pp. 818 ss.

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La disposizione, infatti, deve essere esaminata congiuntamente con quelle contenute negli artt. 24 e 26 del medesimo regolamento che stabiliscono, rispettivamente, che lo Stato richiesto non possa procedere al riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro che ha pronunciato la decisione riconoscenda e che il criterio dell’ordine pubblico non possa essere applicato alle norme sulla competenza (art. 24) e che, in nessun caso, la decisione possa formare oggetto di riesame nel merito (art.26). La lettura coordinata di dette disposizioni esclude che possa determinare un contrasto con l’ordine pubblico interno dello Stato richiesto sia la valutazione sulla competenza giurisdizionale, ritenuta esistente dal giudice dello Stato membro che ha pronunciato, sia il merito della decisione assunta, essendo precluso qualsiasi riesame su tali aspetti395.

Nella limitazione della facoltà di utilizzo di siffatto limite concorre anche il contenuto dell’art. 25, secondo il quale il riconoscimento di una decisione non possa essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non prevede, per i medesimi fatti, il divorzio, la separazione personale e l’annullamento del matrimonio396. Ciò comporta

l’impossibilità di invocare la clausola di salvaguardia dell’ordine pubblico internazionale rispetto alla sentenza straniera pur se questa ha sciolto il matrimonio per motivi non previsti o meno rigorosi di quelli previsti dal diritto interno dello Stato richiesto del riconoscimento, Stato del quale addirittura entrambi i coniugi potrebbero essere cittadini e/o residenti397.

Occorre precisare, però, che una cosa è il problema delle differenze fra le legislazioni per quanto concerne i fatti costitutivi che possono dare luogo alla separazione coniugale, al divorzio ed all’annullamento del matrimonio, altra cosa è il problema del riconoscimento di differenti forme di matrimonio e di unioni fra persone. La possibilità del riconoscimento di pronunce riguardanti matrimoni tra persone dello stesso sesso ed unioni civili registrate o coppie di fatto costituisce, certamente, il problema più delicato connesso alla possibile manifesta contrarietà all’ordine pubblico dello Stato italiano398.

395 S.SCARAFONI, Il regolamento n. 2201/2003, op. cit., pp. 361 e 362.

396 Tali circostanze afferiscono al c.d. ordine pubblico sostanziale. Per quanto concerne l’ordine pubblico

processuale, la cui definizione è rinvenibile nella sentenza Krombach, si rinvia a quanto detto, in proposito, nel secondo capitolo della prima parte del presente studio.

397 In giurisprudenza, la Corte di cassazione con la sentenza del 25 luglio 2006, n. 16978, ha ritenuto non

contrastare con l’ordine pubblico italiano la decisione del giudice straniero di scioglimento del matrimonio fondata su un periodo di separazione legale minore di quello previsto dall’ordinamento italiano. Sulla non trascrivibilità in Italia nei registri dello stato civile di matrimoni same sex e delle unioni civili registrate all’estero, si veda Corte di cassazione del 15 marzo 2012, n. 4184.

398F.MOSCONI, Europa, famiglia e diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., n. 2/2008, p. 347, il

quale si pone l’interrogativo se il clima di reciproca fiducia e solidarietà fra ordinamenti, che accompagna la «libera circolazione» delle decisioni in materia matrimoniale, non dovesse sottendere anche la «libera

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Sebbene l’inserimento di tale norma è di estrema importanza nel settore del diritto matrimoniale, proprio per la sussistenza di notevoli differenze tra gli ordinamenti degli Stati membri in relazione alle regole per ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale, è necessario, però, evitare un uso distorto del meccanismo del riconoscimento reciproco ed evitare, altresì, il fenomeno del divorce shopping, cioè una situazione in cui la richiesta di scioglimento del matrimonio è preordinata dalla sola intenzione di bypassare la rigidità della propria normativa nazionale in tema di divorzio, in quanto ciò andrebbe contro quello che è il fine del Regolamento. Per questo motivo, l’art. 25 impedisce l’utilizzo fraudolento delle normative di altri Stati membri e costituisce una sorta di completamento del principio secondo cui le differenze legislative non possono rilevare ai fini del riconoscimento.

Questo l’unico presupposto comune ed inderogabile delle varie ipotesi previste dall’art. 3 della legge sul divorzio, mentre è ormai pacifico che non contrasta con l’ordine pubblico la decisione straniera che disponga il divorzio senza che vi sia stato un periodo di separazione o senza regolamentare le questioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli.

La lett. b) dell’art. 22 del Regolamento contempla come motivo di rifiuto del riconoscimento il fatto che la decisione straniera sia stata resa in contumacia ovvero che «la domanda giudiziale o l’atto equivalente» non siano stati notificati o comunicati al convenuto rimasto contumace «in tempo utile e in modo tale da metterlo in condizione di

presentare le proprie difese». Questa previsione va coordinata con quella della lett. a) in

quanto il mancato rispetto dei diritti della difesa nel giudizio di origine può giustificare che venga invocato il limite dell’ordine pubblico nei confronti di una decisione resa in uno altro Stato contraente399.

Anche il requisito sul rispetto dei diritti della difesa appare concepito in modo da ridurre le ipotesi di non riconoscimento. La sua rilevanza, dunque, è subordinata a tre condizioni: che la decisione sia stata resa in contumacia; che l’atto introduttivo del procedimento non sia stato notificato in tempo utile; che il convenuto non abbia accettato

ex post inequivocabilmente la decisione. Ne consegue che i diritti della difesa devono

reputarsi garantiti se il convenuto abbia tenuto un comportamento processuale consistente nella comparizione in giudizio e nel far valere le proprie ragioni, ancorché non abbia

circolazione» delle sottostanti tipologie di matrimoni. Tuttavia, è lo stesso autore a rilevare come il legislatore europeo sembri dare una risposta negativa a tale interrogativo, non prefiggendosi lo scopo di armonizzare fra i vari Stati membri il diritto sostanziale in materia di famiglia, bensì prevedendo misure di carattere sostanziale solo se necessarie come misure d’accompagnamento al reciproco riconoscimento delle decisioni ed alla cooperazione giudiziaria in materia civile.

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ricevuto le dovute comunicazioni in tempo utile, ovvero un comportamento, anche di tipo concludente, che a posteriori dimostri la sua volontà di accertare la decisione. Data la presunzione di regolarità che deve giocare a favore delle decisioni rese negli altri Stati membri, è da ritenere che l’onere di provare il mancato rispetto del proprio diritto a difendersi in giudizio gravi sulla parte che contesta la riconoscibilità della decisione emessa nel procedimento in cui è rimasta contumace. Al riconoscimento potrà, tuttavia, farsi luogo ugualmente ove l’altra parte riesca a provare che, nonostante la irregolarità del procedimento, «il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione» 400.

È necessario precisare che – rispetto a quanto si legge nella versione italiana dell’art. 22, lett. b), del regolamento – il termine «ovvero» deve essere inteso come «se»401,

nel senso che solo quando il convenuto rimane contumace vi è la necessità di verificare se la domanda giudiziale sia stata notificata in tempo utile per permettere la presentazione delle difese, mentre la costituzione del convenuto sana l’eventuale vizio della notifica: la contumacia, in sé considerata, non è quindi un motivo sufficiente ad impedire il riconoscimento e solo se la verifica della regolarità della notificazione ha esito negativo la decisione resa in contumacia non potrà essere riconosciuta402.

La lett. c) dell’art. 22 disciplina le conseguenze dell’eventuale contrasto fra la decisione da riconoscere e una decisione resa nello Stato richiesto «tra le medesime parti». Questo terzo motivo di non riconoscimento è volto a salvaguardare l’armonia interna dello Stato richiesto, il quale non può tollerare che una persona possa essere destinataria di due decisioni antinomiche.

In questo caso, a differenza di quanto avviene nel caso di contrasto con la decisione resa in un altro Stato membro o in un Paese terzo, per il quale vige il principio di prevenienza di cui alla successiva lettera d), prevale comunque la decisione resa nello Stato richiesto, anche se pronunciata solo dopo la decisione straniera e non ancora passata in giudicato. Conseguenza immediata è che gli effetti della sentenza straniera emessa in uno Stato membro e per prima riconoscibile nel territorio nazionale sono destinati a cessare nel momento in cui la decisione nazionale contrastante acquista efficacia.

400 I.QUEIROLO,L.SCHIANO DI PEPE, Lezioni di diritto dell’Unione europea, op. cit., p. 261. Si veda in

giurisprudenza: Corte di cassazione, SS.UU., sentenza del 12 febbraio 2013, n. 3268.

401 Il testo inglese dell’art. 22, lett. b) del regolamento n. 2201/2003 è il seguente: «A judgement relating

to a divorce, legal separation or marriage annualmente shall not be recognisend: b) where it was given in default of appearance, if the respondent was not served with the document which instituted the proceedings (…)». Sul punto si è espresso G. BIAGIONI, Il nuovo regolamento comunitario sulla giurisdizione e

sull’efficacia delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori. Commento al Reg. CE 2201/2003, in Riv. dir. int., 2004, p. 1029.

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Quanto alla nozione di incompatibilità da impiegarsi ai fini del motivo di rifiuto del riconoscimento, giova rilevare che essa non implica che debba trattarsi di identità di titolo ed oggetto, quanto piuttosto del verificarsi di effetti giuridici che si escludono reciprocamente. Ne consegue che è possibile il riconoscimento di una sentenza matrimoniale straniera che produca sullo status effetti più ampi di quelli già stabiliti con altra decisione nello Stato richiesto403.

Determinante è la circostanza che le decisioni producano effetti giuridici che si escludono reciprocamente. La circostanza, però, che fra le due decisioni debba esservi contrasto induce a pensare che un provvedimento di divorzio possa essere riconosciuto nello Stato nel quale sia già stata pronunciata la separazione personale, poiché fra le due decisioni non vi è inconciliabilità, mentre l’antinomia sembra profilarsi nell’ipotesi inversa404. Nell’ipotesi, invece, in cui la pronuncia di divorzio sia anteriore alla sentenza di nullità matrimoniale da riconoscere, la natura degli effetti è diversa; in realtà, può soltanto ragionevolmente ritenersi che la prima decisione, resa nello Stato, contenga una statuizione implicita sulla validità del matrimonio, limitata al divorzio stesso.

Una questione ulteriore è se l’effetto preclusivo valga anche per le decisioni di rigetto, se, cioè, il rigetto di una domanda di divorzio da parte di un giudice italiano impedisca il riconoscimento di una pronuncia di divorzio proveniente da un altro Stato membro. Nonostante la questione sia oggetto di interpretazioni diverse, l’orientamento prevalente ritiene che la decisione straniera di accoglimento della domanda di scioglimento, pur riconosciuta in virtù del Regolamento in tutti gli altri Stati membri, non potrebbe essere riconosciuta nello Stato in cui è stata resa tra le medesime parti una sentenza di rigetto, sempre che l’effetto preclusivo non sia venuto meno a seguito di un mutamento delle circostanze. Questa tesi che riconosce un ampio effetto preclusivo alla decisione di rigetto, solleva forti perplessità, in quanto finisce per condizionare il riconoscimento del divorzio straniero al rispetto di una delle condizioni poste dal diritto materiale interno, quasi che si trattasse di una sorta di limite dell’ordine pubblico “a tempo”, quando è convincimento comune che il mancato decorso del periodo di separazione non può costituire di per sé ostacolo al riconoscimento di una decisione straniera di divorzio nel frattempo intervenuta.

403 Sentenza Hoffman, cit.

404 Relazione Borrás, cit, par. 71. L’incompatibilità tra decisioni, quale motivo ostativo al riconoscimento,

non presuppone l’identità di titolo ed oggetto, bensì il verificarsi di effetti giuridici che si escludono reciprocamente.

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L’art. 22, lett. d), infine, stabilisce che non è riconoscibile la decisione resa in uno Stato membro che risulti incompatibile con una decisione anteriore tra le medesime parti, «resa in un altro Stato membro o in un Paese terzo, purchè la decisione anteriore soddisfi

le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto». A tal

proposito, per chiarire la questione, la Relazione Borràs pone un esempio: si pensi alla pronuncia di divorzio resa in uno Stato non membro, che presenti i requisiti per essere riconosciuta in uno Stato membro (per noi l’Italia). Successivamente in un altro Stato membro interviene una decisione di separazione tra gli stessi coniugi, decisione di cui si richiede il riconoscimento nel primo Stato membro (nel nostro esempio l’Italia). Il giudice di quest’ultimo Stato (Italia) rifiuterà il riconoscimento in quanto la decisione di

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