IL NUOVO REGIME DELLA «LIBERA CIRCOLAZIONE» DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE ED EXTRAGIUDIZIAL
B) La «circolazione» degli effetti esecutivi delle decisioni straniere 1 L’abolizione dell’exequatur e l’equivalenza esecutiva
4. Il procedimento di accertamento dei motivi ostativi alla «circolazione» delle decisioni straniere
Nella sezione A del capitolo II si è esaminato il procedimento secondo il quale ciascuna parte interessata può esperire un’azione volta a far rilevare l’assenza di motivi ostativi al riconoscimento della decisione straniera (art. 36, par. 2).
Restano, ora da esaminare, l’azione volta a far dichiarare la non riconoscibilità (art. 45, par. 1), nonché l’azione volta a farne dichiarare la non esecutività (art. 46). Atteso che – come appena visto – i motivi ostativi del riconoscimento e dell’esecuzione sono i medesimi, la trattazione degli aspetti procedurali sarà congiunta.
La procedura per il diniego dell’esecuzione è disciplinata in larga parte dal diritto nazionale dello Stato richiesto, come precisato dall’art. 47, par. 2 del regolamento. Esso infatti pone solo alcune indicazioni di carattere generale, per le quali risulta necessaria l’integrazione da parte dei diritti processuali nazionali.
Ai sensi dell’art. 47, par. 1, la competenza a pronunciarsi sull’istanza di diniego dell’esecuzione e, quindi, sulla sussistenza di uno o più dei motivi di cui all’art. 45, è l’autorità giurisdizionale che ciascuno Stato membro ha provveduto a comunicare alla Commissione ex art. 75, lett. a) del regolamento. Per l’Italia si tratta dei Tribunali ordinari309. La competenza attribuita a tale autorità è una competenza funzionale ed esclusiva nello Stato membro richiesto. Oggetto del giudizio devoluto a dette autorità nazionali è, come detto, la valutazione della sussistenza degli eventuali motivi di diniego
309 Nel caso in cui i motivi di diniego siano fatti valere in opposizione all’esecuzione, il tribunale
territorialmente competente sarà quello del luogo dell’esecuzione. Nel caso in cui il creditore non ha eletto il domicilio nel circondario del tribunale competente per l’esecuzione, la competenza territoriale spetterà al tribunale del luogo di notificazione del precetto, a norma degli artt. 27 e 480, comma 3, c.p.c. Si ritiene che la competenza territoriale spetti a tale ultimo tribunale anche nell’ipotesi in cui la notifica del precetto avvenga successivamente a quella dell’attestato e della decisione. Ciò, a meno che il creditore procedente, nell’eseguire la predetta notifica, abbia eletto il domicilio nel circondario del tribunale competente per l’esecuzione. il terzo comma dell’art. 480 c.p.c. opera, dunque, anche quando vi sia stata notificazione dell’attestato e del titolo esecutivo estero, ma non ancora del precetto, in modo tale che il debitore possa subito opporsi all’esecuzione a norma dell’art. 46 del regolamento n. 1215/2012. Qualora, invece, la domanda di accertamento dei motivi di diniego sia proposta in via preventiva, al fine di far dichiarare la non riconoscibilità della sentenza straniera, la competenza territoriale dovrebbe spettare, come detto in precedenza, al tribunale del luogo di attuazione del provvedimento ai sensi dell’art. 30, par. 2 del d. lgs. n. 150/2011 al quale ci si deve rivolgere per la disciplina del giudizio in esame all’interno dell’ordinamento italiano. In tal senso S. M.CARBONE,C.E.TUO, Il nuovo spazio giudiziario europeo, op. cit., p. 340, in particolare nota 36.
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enucleati dall’art. 45 del Recast oltre che i riscontri dei requisiti oggettivi di applicazione di cui si è detto al paragrafo precedente.
La differenza con la disciplina previgente risiede appunto nel fatto che, in ragione dell’abolizione dell’exequatur, detta autorità (che per l’Italia era la Corte d’Appello) non è più chiamata a dichiarare, su istanza del creditore procedente, l’esecutività della sentenza straniera, bensì a pronunciarsi in via principale ex artt. 45-51 del regolamento n. 1215/2012, su istanza del debitore esecutando o esecutato, riguardo alla sussistenza di una o più delle ragioni di diniego dell’esecuzione (o del riconoscimento) di cui si è detto in precedenza.
Per quanto concerne i soggetti legittimati a proporre tale azione (avente ad oggetto sia la declaratoria di irriconoscibilità che di non eseguibilità della sentenza straniera) sono sia la parte a favore della quale detta sentenza è stata emessa, o che comunque è suscettibile di trarne un vantaggio giuridico (ex art. 36, par. 2), sia il soggetto nei cui confronti, sulla base di tale sentenza, potrebbe essere, o è stata, avviata l’esecuzione forzata nello Stato membro richiesto310.
Alla luce di ciò, eventuali soggetti terzi pregiudicati dalla sentenza straniera che sono rimasti estranei al procedimento, per far valere le loro ragioni, non potranno utilizzare i rimedi ivi previsti. Sarà loro facoltà, invece, poter agire, nell’ambito del procedimento esecutivo nello Stato richiesto, utilizzando i rimedi che l’ordinamento prevede per tali fattispecie311.
Come anticipato, fatte salve le poche disposizioni che si vedranno, la Refonte non disciplina la procedura di siffatto procedimento, rinviando, per tutti gli aspetti non specificamente trattati, alla legge dello Stato membro richiesto che è destinata a trovare applicazione in via suppletiva e sussidiaria rispetto alla normativa uniforme.
L’art. 47, par. 3 individua le formalità che l’istante deve espletare per avviare la procedura in commento. Innanzitutto, presso la competente autorità giurisdizionale dello Stato richiesto devono essere depositati copia delle decisione e una traduzione della stessa. Inoltre, al pari di quanto previsto per domandare l’esecuzione della sentenza straniera, ai sensi dell’art. 47, par. 4, l’istante non è tenuto ad avere nello Stato del foro un recapito postale né un rappresentante, a meno che la presenza di tale rappresentante non sia obbligatoria in base alla legislazione dello stesso Stato membro richiesto, indipendentemente dalla cittadinanza o dal domicilio della parte.
310 Rispettivamente nei casi di cui agli artt. 45, par. 4 e 46.
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Circa i termini per proporre tale domanda, mentre nel regime precedente per quanto riguarda l’opposizione all’exequatur essi erano stabiliti direttamente dalla disciplina uniforme, il nuovo regolamento non prevede nulla per il dies a quo. L’art. 46 richiede, infatti, che la domanda di diniego possa essere presentata dalla parte contro la quale viene richiesta l’esecuzione; pare dunque necessaria una prima iniziativa da parte del creditore, finalizzata all’esecuzione della decisione straniera, costituita dalla notifica dell’attestato ai sensi dell’art. 43, par. 1.
Alla stregua dell’ordinamento nazionale entro cui la sentenza straniera è chiamata a spiegare i propri effetti esecutivi deve stabilirsi il termine finale di presentazione dell’istanza di diniego quando l’esecuzione è già avviata. Bisogna precisare, però, che la pendenza del termine per la presentazione di tale istanza, a differenza del regolamento Bruxelles I, non è più preclusiva della procedibilità dell’esecuzione312. Inoltre, la presentazione della domanda di diniego dell’esecuzione non determina, di per sé, la sospensione dell’esecuzione. Essa, infatti, deve essere disposta, su istanza della parte esecutata, alternativamente ad altre misure limitative dell’esecuzione313.
Il Recast rimane silente anche per quanto riguarda le modalità di svolgimento della procedura di opposizione all’esecuzione, ad eccezione dell’art. 48 che prevede che l’autorità giurisdizionale debba statuire sulla domanda «senza indugio»314.
Nulla è previsto anche sul rispetto del principio del contraddittorio, anche se, alla luce dei principi sull’equo processo, aventi natura di ordine pubblico negli Stati dell’Unione europea, tale requisito deve considerarsi indefettibile.
Nell’ambito di tale contesto, la dottrina maggioritaria sostiene che il procedimento di cui agli artt. 46 ss. del regolamento n. 1215/2012 deve svolgersi, per quanto concerne l’ordinamento italiano, nelle forme del rito sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. 315. La natura di tale rito316 dovrebbe consentire alle competenti autorità
312 Considerando n. 31 del regolamento n. 1215/2012.
313 Si tratta di una innovazione volta ad assecondare il favor executionis sotteso al regolamento Bruxelles
I bis, in quanto specificamente rivolta ad evitare, o quanto meno a ridurre, l’utilizzo dilatorio della procedura di opposizione all’esecuzione.
314 Secondo H.GAUDEMET-TALLON, La refonte, op. cit., p. 453, questa circostanza è in grado di creare
difformità rilevanti tra i vari Stati membri.
315 Tra tutti si veda, C. CONSOLO, Il nuovo rito sommario (a cognizione piena) per il giudizio di
accertamento dell’efficacia delle sentenze straniere dopo il d. lgs. n. 150/2011, in Riv. dir. int. priv. proc.,
2012, pp. 513 ss.; si legga altresì, A.MALATESTA, La riforma del regolamento Bruxelles I, op. cit., p. 153, S. M.CARBONE,C.E.TUO, Il nuovo spazio giudiziario europeo, op. cit., p. 343.
316 Già utilizzato a seguito della riforma dell’art. 67 della legge n. 218/1995 (da parte dell’art. 30 del d.
lgs. n. 150/2011) ai fini del riconoscimento delle sentenze e dei provvedimenti di volontaria giurisdizione di origine extra-U.E. Quanto alla natura del rito, si tratta di un procedimento a cognizione piena, ma
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italiane di operare, appunto, «senza indugio» e nel rispetto del principio del contraddittorio.
Il regolamento assicura una doppia impugnazione della decisione sulla domanda di diniego dell’esecuzione. Ai sensi dell’art. 49, infatti, tale decisione può essere impugnata da ciascuna parte interessata, in Italia davanti alla Corte di Appello. Con una scelta diversa rispetto al regime precedente ed in apparente contrasto con la volontà di rendere le procedure esecutive più celeri, l’art. 50 prevede che anche la decisione emessa sull’impugnazione possa essere oggetto di ulteriore gravame davanti all’autorità nazionale indicata che, per l’Italia è la Corte di Cassazione317. In assenza di indicazioni da parte della Refonte, tali procedimenti sono interamente disciplinati dal diritto nazionale, anche per
quanto riguarda i termini di impugnazione previsti dai singoli ordinamenti.
Come si è visto, il giudizio di accertamento (positivo o negativo) dei motivi di diniego (e della successiva impugnazione delle relative decisioni ex artt. 49 e 50) può essere sospeso se la decisione straniera è oggetto di gravame «con un mezzo di impugnazione ordinario»318 nello Stato membro di origine ovvero se i termini per proporlo non sono ancora decorsi (art. 51). In quest’ultimo caso, l’autorità dello Stato membro richiesto può fissare, ex art. 51, par. 1, ultima frase, un termine entro il quale l’impugnazione deve essere presentata nello Stato membro di origine della sentenza.
In ultimo, si deve rilevare che, pur a fronte dell’abolizione dell’exequatur, l’accertamento dei motivi ostativi alla riconoscibilità o all’eseguibilità della sentenza straniera, ancora consentito dal nuovo regolamento, conduca a dichiarare la sua idoneità a spiegare, nell’ordinamento richiesto, solo parte degli effetti di giudicato od esecutivi che le sono propri. Ciò, ad esempio, può accadere qualora la sentenza straniera abbia deciso su più capi, di cui solo alcuni rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento, ovvero allorché i motivi di diniego di cui all’art. 45 ostino al riconoscimento solo di una parte dei capi in cui detta sentenza si articola.
Per altro verso, l’abolizione dell’exequatur e l’applicazione diretta delle norme nazionali sull’esecuzione delle sentenze anche alle sentenze provenienti da un altro Stato
caratterizzato da un’istruttoria informale e semplificata, che soddisfa le esigenze di celerità e di tutela. La domanda va presentata con ricorso e seguire le forme processuali indicate dalle citate norme.
317 Vi sono alcuni Stati che non hanno previsto l’impugnazione ai sensi dell’art. 50: Cipro, Croazia,
Lettonia, Regno Unito, Gibilterra.
318 Al fine di garantire un’applicazione uniforme di tali disposizioni, resta attuale l’interpretazione resa
dalla Corte di giustizia, secondo cui si considera «mezzo di impugnazione ordinario» quello da proporre necessariamente entro un termine che decorre dall’adozione della decisione ed il cui esito può comportarne l’annullamento o la modifica (Corte di giustizia, sentenza del 22 novembre 1977, causa 43/77, Industrial
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membro comporta una novità rispetto al passato. L’art. 41, par. 2 prevede che i motivi di diniego e di sospensione dell’esecuzione previsti dalla legge dello Stato membro richiesto si applicano alle sentenze straniere anche se solo nella misura in cui essi non siano incompatibili con quelli di cui all’art. 45319.
Si tratta, com’è evidente, di una ulteriore deroga alla equiparazione tra sentenze nazionali e sentenze straniere, anche se in tal caso, favorevole a quelle straniere. Il considerando n. 30 chiarisce che, mentre il riconoscimento, in virtù del suo carattere automatico, dovrebbe essere negato solo per i motivi contemplati nel regolamento, la parte che si oppone all’esecuzione di una decisione straniera dovrebbe poter invocare all’interno della stessa procedura, nei limiti del possibile e conformemente al sistema giuridico dello Stato richiesto, sia i motivi di diniego contemplati dal regolamento, sia quelli previsti dal diritto nazionale320. È evidente che, per non pregiudicare l’effetto utile della disciplina in esame, i motivi di diniego previsti dallo Stato richiesto non possono comportare l’accoglimento di una domanda di diniego in contrasto con i motivi dell’art. 45, qualora il loro esame sia favorevole all’esecuzione.
Per quanto concerne il nostro ordinamento, con la comunicazione ai sensi dell’art. 75, lett. a), l’Italia ha, come visto, indicato che l’autorità competente per il giudizio ex artt. 46 e ss. è il Tribunale ordinario. Non ha, quindi, effettuato distinzione tra il caso in cui il giudizio di accertamento è avviato per ottenere la declaratoria che la sentenza straniera è o non è riconoscibile (rispettivamente, ex art. 36, par. 2 e 45, par. 4) e il caso in cui tale giudizio è promosso per opporsi alla sua esecutività (ex artt. 46 e ss.); inoltre, l’Itala ha effettuato tale scelta prescindendo dai criteri di competenza relativi al processo esecutivo, alla stregua dei quali, entro i limiti di competenza per materia o per valore prefigurati dal codice di procedura civile, competente per l’opposizione all’esecuzione è, in alcuni casi, anche il giudice di pace che, ovviamente, è del tutto escluso dalla competenza per la procedura di cui agli artt. 46 e ss. del regolamento321.
319 La questione era già stata sollevata con riferimento al regolamento n. 44/2001. Nella sentenza Prism
Investments, cit., la Corte di giustizia aveva escluso la possibilità che il procedimento di opposizione
all’exequatur potesse estendersi a motivi ostativi diversi da quelli tassativamente previsti dal regolamento (parr. 40-43).
320 X.E.KRAMER, The Enforcement of Member State Judgments, in A.DICKINSON,E.LEIN (dir.), op. cit.,
p. 420.
321 Al contrario, Stati come ad esempio la Francia e l’Austria, hanno designato un’altra autorità, diversa
da quella incaricata del processo esecutivo, deputata a statuire sulla sussistenza dei motivi di diniego in relazione alle domande di riconoscibilità degli effetti della sentenza straniera diversi da quelli esecutivi. Tale soluzione appare più congeniale atteso che, come visto supra, l’accertamento (positivo o negativo) dei motivi di diniego del riconoscimento può essere richiesto, ai sensi del regolamento, anche prima ed prescindere dall’inizio dell’esecuzione forzata.
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Per come ha operato l’Italia nella designazione dell’autorità competente ai sensi dell’art. 47, par. 1 e dell’art. 75 del regolamento, l’accertamento, nel nostro ordinamento, dei motivi di diniego ex art. 45 si deve configurare necessariamente come unitario quanto alla procedura da seguire ed all’autorità che ne deve essere investita, indipendentemente dalla circostanza che l’istante agisca per far dichiarare che la sentenza straniera deve, o non deve, essere riconosciuta in Italia ovvero che non può ivi ricevere esecuzione in ragione della sussistenza di uno o più motivi di diniego. Si tratta, dunque, di un procedimento autonomo e sganciato dal processo esecutivo disciplinato dalle conferenti disposizioni del codice di rito, atteso che tale processo, nel caso di istanza preventiva per il riconoscimento, o il non riconoscimento, del giudicato estero, ben potrebbe non essere ancora stato avviato. Come autorevole dottrina ha evidenziato, una siffatta configurazione in termini unitari ed autonomi del procedimento volto ad accertare l’esistenza di motivi di diniego – proprio a fronte del contenuto del trentesimo considerando – comporta problemi non trascurabili di coordinamento con i giudizi interni nel cui ambito è possibile far valere motivi (di rito e/o di merito) che, a prescindere dal fatto che il titolo esecutivo si identifichi con una decisione straniera, siano non di meno idonei a fondare un’opposizione all’esecuzione per inesistenza del diritto a precedere all’esecuzione forzata322.