Islam, scienza moderna ed esegesi scientifica
5. Muḥammad ‘Abduh (n 1265/1849 ca, m 1322/1905)
Considerato il massimo rappresentante del riformismo in Egitto, Muḥammad ‘Abduh78 ha promosso l’Islam come la religione per eccellenza della ragione e, al
pari dei suoi contemporanei, proclamava la necessità di riformare il sistema d’istruzione egiziano al fine di ridurre il divario che era venuto a crearsi tra l’Occidente e il Vicino Oriente. Tra i maestri che ne segnarono profondamente il pensiero, Ğamāl al-Dīn al-Afġānī, che lo istruì sui problemi dell’Egitto e del mondo islamico, e sulle acquisizioni scientifiche e tecnologiche conseguite dall’Occidente. L’impegno politico per il suo Paese, che valse ad ‘Abduh diverse condanne di espulsione ed esilio dall’Egitto – per aver rifiutato l’intervento straniero nel suo Paese prima, e per aver sostenuto la rivolta anti-britannica cappeggiata da ‘Urābī Pasha poi –, non gli impedì di essere insignito della carica di gran Muftì d’Egitto, che mantenne dal1889 fino alla morte.
77 ‘Abd al-Raḥmān al-Kawākibī, Umm al-Qurà, «Mağallah al-manār al-islāmiyyah», 5 (1320) p. 23. 78 Si vedano Albert Hourani, Arabic Thought in the Liberal Age, 1798–1939, pp. 130-160, e Elie
Kedourie, Afghani and ‘Abduh: An Essay on Religious Unbelief and Political Activism in Modern
Islam, Routledge, London 2007, Maher Al-Charif, Sabrina Mervin, Modernités Islamiques. Actes du colloque organize à Alep à l’occasion du centenaire de la disparition de l’imam Muḥammad ‘Abduh,
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Arrivato alla conclusione che i musulmani erano afflitti essenzialmente da due mali, l’ignoranza dei veri fondamenti della religione islamica e il despotismo di governanti musulmani ingiusti, ‘Abduh invitava i suoi correligionari a unirsi sotto l’egida dell’Islam, ignorando i confini territoriali e le nazioni, al fine di respingere la dominazione europea. Nel suo discorso, ‘Abduh non entra mai nel merito delle questioni di natura teologica poiché sa che nel clima conservatore egiziano questo provocherebbe una risoluta levata di scudi. La sua dottrina in sostanza rimane fedele a quella della tradizione, ciò che contraddistingue il suo lavoro è principalmente il metodo di analisi razionale che ricorda in parte quello mu‘tazilita. Il ricorso a tale metodo gli valse il titolo di padre del Neo-mu‘tazilismo, un’espressione che si riferisce al suo tentativo di ripensare il rapporto tra fede e ragione, sapere religioso e profano, attribuendo alla ragione un ruolo prioritario79.
Del resto, come faceva notare Caspar già nel 1957, l’obiettivo del maestro era «riformare l’Islam nelle consuetudini più che nella dottrina, per permettere ai popoli musulmani di liberarsi»80, risvegliando le élite musulmane che si erano
assopite nel clima di austerità dell’università al-Azhar. Come spiega nella Risālat al-tawḥīd [L’epistola sull’unicità], ‘Abduh si prefiggeva di ridimensionare la portata del taqlīd a favore della libera interpretazione, limitare la visione fatalista di cui era imbevuto l’Islam e riconsiderare il rapporto tra libero arbitrio dell’individuo e onnipotenza divina, ciò che significava rivedere anche quello tra fede e ragione81. Allo scopo di liberare l’Islam dall’immobilismo della tradizione
egli esortava gli intellettuali a rifarsi esclusivamente al Corano, agli hadīṯ riconosciuti “autentici” e alla ragione, liberando le menti da tutta la produzione degli ‘ulamā’ del passato con la conseguente riapertura dell’iğtihād. La sua idea di base era che la fede è la guida suprema dell’uomo e l’Islam, contrariamente al Cristianesimo, è la religione della ragione.
79 Cfr. Sabine Schmidtke, Theological Rationalism in the Medieval World of Islam, «Al-‘Uṣūr al-
wusṭā», 20.1 (aprile 2008) pp. 17-29; Thomas Hildebrandt, Neo-Mu‘tazilismus? Intention und
Kontext in modernen arabischen Umgang mit dem rationalistischen Erbe des Islam, Brill, Leiden
2007; Richard C. Martin, Mark R. Woodward, Dwi S. Atmaja, Defenders of Reason In Islam:
Mu‘tazilism from medieval school to modern symbol, Oneworld Publications, London 1997; Robert
Caspar, Un aspect de la pensée musulmane moderne: le renouveau du mo‘tazilisme, «MIDEO», 4 (1957) pp. 141-201.
80 Robert Caspar, Un aspect de la pensée musulmane moderne: le renouveau du mo‘tazilisme, p.
160.
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La posizione dell’autore in merito alle prerogative che devono essere attribuite alla ragione tuttavia non è sempre chiara e lineare. Nella Risālat al-tawḥīd egli tende a porre l’accento sui limiti della ragione umana e sulla sua incapacità di giungere alla verità, mentre in Al-islām wa al-naṣrāniyyah ma‘a al-‘ilm wa al-madaniyyah [L’Islam e il Cristianesimo tra conoscenza e civiltà] afferma la superiorità della ragione sulla tradizione. Tale incongruenza si spiega probabilmente con la natura diversa dei due testi e il pubblico a cui erano destinati. L’Epistola è una raccolta delle lezioni che ‘Abduh tenne a Beirut durante l’esilio. Ben conoscendo il conservatorismo degli studenti, presta attenzione a non oltrepassare i confini della tradizione consolidata e, pur invitando a usare la ragione, non la eleva mai a criterio di verità. È nelle opere di carattere apologetico come L’Islam e il Cristianesimo, una raccolta di sei risposte a un articolo su Ibn Rušd scritto dal libanese cristiano Faraḥ Anṭūn (n. 1290/1874, m. 1340/1922), in cui ‘Abduh tenta di dimostrare la tesi secondo la quale l’Islam è la religione della ragione che non ostacola le scienze.
Nell’Epistola, ‘Abduh riconosce l’importanza di riflettere razionalmente sul creato ma ammette ugualmente l’impossibilità umana di penetrare l’essenza profonda del Creatore. L’uomo è chiamato a riflettere sul creato in virtù della facoltà di conoscere che Dio gli ha dispensato. Il Creatore, spiega ‘Abduh, elargisce una parte della Sua perfezione agli esseri esistenziati, ma la Sua conoscenza è «tanto superiore a quella degli esseri contingenti (mawğūdāt mumkinah) quanto la Sua esistenza in rapporto alla loro esistenza»82. La conoscenza divina abbraccia tutto il
conoscibile, è eterna e autosufficiente, a differenza del sapere generato dalla ragione umana che necessità di strumenti di osservazione e della pratica del ragionamento. Il riformista egiziano individua delle prove dell’esistenza di Dio nell’ordine saggio e nell’armonia delle contingenze, nel fatto che ogni cosa stia al proprio posto, e che ogni essere contingente trovi accanto a sé ciò di cui ha bisogno per la propria esistenza (wuğūdu-hu) e sussistenza (baqā’u-hu)83.
Ovviamente, nella rassegna dei fenomeni che testimoniano la presenza e onniscienza di Dio non poteva mancare il riferimento alla formazione
82 Muḥammad ‘Abduh, Risālat al-tawḥīd, p. 64. 83 Ivi, p. 35.
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dell’embrione, tema ampiamente sviluppato dall’esegesi scientifica del XX secolo:
Dio conosce lo stato dell’embrione (ğanīn) quando è una goccia di liquido (nuṭfah) e poi un grumo di sangue (‘alaqah) e conosce ciò di cui esso ha bisogno, conosce il momento in cui esso è completamente formato, e ne fa un essere vivente indipendente nelle proprie azioni (al-mustaqill fī ‘amali-hi)84.
Tuttavia, come anticipato, nella Risālat l’autore tende a limitare il ruolo della ragione umana, affermando che
non le è dato di penetrare la vera essenza (kunh ḥaqīqi) delle cose poiché non si può conoscere ciò che è composto se non conoscendo gli elementi che lo compongono, non conoscibili per necessità (bi-l-ḍarūrah). Tutto ciò che è possibile conoscere sono gli accidenti (‘awāri ) e gli effetti (aṯār)85.
E aggiunge, poche pagine dopo, che
tendere verso uno scopo che oltrepassa le facoltà umane è opera vana e rischiosa. Vana […], e rischiosa perché il tentativo di definire ciò che sta sopra ogni definizione e limitare ciò che supera ogni limite si ripercuote sulla fede (i‘tiqād)86;
come a dire che Dio non ha posto nell’uomo il bisogno di conoscere l’essenza delle cose, ma solo quello di conoscerne i caratteri esteriori.
Il rapporto fede-ragione è ripreso più esplicitamente nell’opera apologetica L’Islam e il Cristianesimo. Del resto, che il ragionamento razionale sia superiore alla tradizione, ‘Abduh lo annuncia già nel titolo del paragrafo di quello che lui considera il secondo fondamento dell’Islam, ovvero “la priorità della ragione sul senso letterale della legge religiosa (ẓāhir al-šar‘) in caso di contraddizione”. L’autore non esita ad affermare che
se la ragione (‘aql) e la tradizione (naql) si contraddicono, i musulmani, ad eccezione di una minoranza trascurabile, convengono nello scegliere la conclusione a cui è giunta la ragione. Per quanto riguarda la tradizione, la scelta è tra due metodi: ammettere la veridicità di ciò che è stato trasmesso, riconoscendo l’incapacità di comprenderlo e
84 Ibidem. 85 Ivi, p. 45. 86 Ivi, p. 47.
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rimettendosi a Dio e alla Sua scienza, oppure interpretare (ta’wīl) la tradizione secondo le regole della lingua, cosicché il significato si accordi con ciò che la ragione ha stabilito87. Ma come si declinano la scelta del metodo d’interpretazione razionale e la concezione di ragione scientifica nel suo commento al Corano?
Com’è noto ‘Abduh è stato uno dei massimi esegeti della seconda metà dell’Ottocento. Il suo Tafsīr al-Manār88, opera lasciata incompiuta e proseguita da
Rašīd Riḍā (n. 1281/1865, m. 1353/1935) dalla sura 4:125 alla sura 12:107, è uno dei commentari che più hanno inciso nella storia dell’esegesi coranica del XX secolo.
Il Tafsīr al-Manār è stato una risposta a chi faceva esegesi secondo il proprio giudizio (mufassirūn bi-l-ra’y), ai sufi, ai batiniti e agli innovatori (ahl al-bid‘ah), come spiega nella sua analisi dell’autore il contemporaneo al-Mawṣilī:
Ha purificato i commentari coranici dalle isrā’īliyyāt e dalle informazioni dubbie che hanno compromesso le verità della religione (ḥaqā’iq al-dīn) e le leggi della vita (qawānīn
al-ḥayāh), contribuendo a formare negli esegeti una mentalità superstiziosa che crede
incondizionatamente, senza ricercare e approfondire, contrariamente a quanto prevede l’Islam, che invita alla riflessione e all’osservazione89.
Per ‘Abduh il Corano è in primo luogo fonte di valori etico-morali e guida spirituale, secondo quanto affermava peraltro Riḍā nell’introduzione al primo volume del commentario90. La sua esegesi si caratterizza per l’esitazione ad
accettare materiale esegetico di provenienza esterna al Corano e la tendenza a spiegare i passi coranici oscuri che il Corano stesso lascia inspiegati. ‘Abduh – spiega ancora Riḍā sempre nell’introduzione – disapprova l’operato di tutti quegli esegeti che, trascurando la funzione coranica di guida spirituale,
si sono dedicati solo all’i‘rāb, alle norme grammaticali e alla retorica, che hanno dedotto
87 Muḥammad ‘Abduh, Al-islām wa al-naṣrāniyyah ma‘a al-‘ilm wa al-madaniyyah, Dār al-ḥadāṯah,
1988III, p. 70.
88 Sul metodo esegetico di ‘Abduh si sono consultati Jacques Jomier, Le commentaire coranique du
Manâr. Tendances modernes de l’exégèse coranique en Égypte, A. Maisonneuve, Paris 1954, e
Hans Jansen, The Interpretation of the Koran in Modern Egypt, pp. 18-34.
89 Sāmī Aḥmad al-Mawṣilī, Al-i‘ğāz al-‘ilmī fī al-Qur’ān. Ta’ṣīl fikrī wa tārīḫ wa manhağ, p. 33. 90 Rašīd Ridā e Muḥammad ‘Abduh, Tafsīr al-Manār, Dār al-Manār, al-Qāhirah 1366/1947II, vol.
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norme giuridiche, interpretato i sensi nascosti, attinto al patrimonio di ḥadīṯ dubbi e dalle tradizioni israelitiche per spiegare i significati coranici, e addirittura hanno dedotto le scienze matematiche e naturali (‘ulūm riyāḍiyyah wa ṭabī‘iyyah) dal Libro sacro91. In quest’ultima critica, riferita specificamente a Faḫr al-Dīn al-Rāzī, alcuni studiosi92 leggono in realtà un rimprovero all’esegeta Ṭanṭāwī Jawharī93, che nel
1923 aveva iniziato la stesura del suo commentario scientifico. Nonostante l’iniziale disappunto per l’esegesi scientifica, le successive pagine del commentario testimoniano come in realtà ‘Abduh praticasse questo metodo esegetico con una certa assiduità. Il passo nel quale afferma che
il Corano contiene la spiegazione di molti “segni” di Iddio l’Altissimo relativi alle specie esistenziate, animate e inanimate, tra cui le piante, gli animali e l’uomo. Esso descrive la creazione dei cieli, del sole e della luna, le loro orbite, le stelle, la terra, il cielo, le nubi, l’acqua dei mari e dei fiumi94,
non è che il preludio di alcuni parti del Tafsīr al-manār divenute celebri per i contenuti “scientifici”. Dunque, contrariamente a quanto aveva affermato Renan – l’inconciliabilità dell’Islam con la scienza moderna – e sulla scia di al-Afġānī, ‘Abduh vuole dimostrare la convergenza tra scienza e religione, rinvenendo nel Corano alcune allusioni alle moderne conoscenze scientifiche.
Celebri sono i passaggi in cui l’esegeta suggerisce che i ğinn menzionati dal Libro siano i microbi, e che il bagliore emesso dai fulmini sia da intendersi in relazione all’elettricità, che alimenta il telegrafo, il telefono e il tram. Nel primo caso ‘Abduh spiega:
Si può affermare che i corpi vivi e leggeri, noti come microbi (mīkrūbāt) e scoperti per mezzo delle osservazioni coi microscopi, sono una specie di ğinn. È stato confermato che tali microbi guariscono da alcune malattie95.
91 Ibidem
92 Cfr. Charles C. Adams, Islam and Modernism in Egypt, Routledge, London 1933, p. 55. 93 Si tratterà diffusamente di questo autore nel capitolo quinto.
94 Muḥammad ‘Abduh, Tafsīr al-Manār, vol. 1, p. 207. 95 Ivi, vol. 3, p. 96.
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Nel secondo caso, egli afferma che
i fenomeni del lampo (barq), del tuono (ra‘ad) e del fulmine (ṣā‘iqah) e le ragioni per cui essi si manifestano non sono tanto oggetto di studio della ricerca coranica quanto delle scienze della natura. Essi sono fenomeni atmosferici (ḥawādiṯ al-ğaww) che gli uomini possono comprendere con uno sforzo di interpretazione personale indipendentemente dalla rivelazione. Il Corano ricorda le manifestazioni naturali per favorire la riflessione (i‘tibār), lo sforzo di deduzione (istidlāl) e la ricerca razionale che vivifica la comprensione e la religione. La conoscenza del cosmo, più o meno profonda, varia da persona a persona, e nel tempo. In alcuni periodi gli uomini hanno creduto che i fulmini fossero dei corpi tangibili, poiché dopo la loro caduta essi percepivano un odore di zolfo (kibrīt) e di altre sostanze. Successivamente si sono ricreduti, notando come quell’odore non fosse una costante dopo la caduta dei fulmini. In quest’epoca si è scoperto che i fulmini generano la corrente (sayyāl). Definita corrente elettrica (kahrubā’), essa alimenta il telegrafo, il telefono e il tram96.
Questi riferimenti – spiega l’esegeta egiziano – non sarebbero da intendersi come l’unico e profondo significato del Corano volto a insegnare concretamente la scienza agli uomini, come vogliono invece alcuni esegeti scientifici, ma sarebbero da interpretarsi come il segno della grandezza del Corano, «troppo elevato per poter essere contraddetto dalla scienza»97.