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I fondamenti teoretici degli esegeti scientifici e dei loro detrattor

1. Restrizionisti e moderati a confronto

1.2 Il timore delle tradizioni israelitiche

Rimanendo ancora sul tema dell’innovazione (bid‘ah), un altro fattore decisivo è il timore nutrito dai restrizionisti che i risultati dell’esegesi scientifica possano contravvenire alla dottrina tradizionale come si è verificato in passato quando, nei primi secoli dell’Islam, gli esegeti ricorrevano impropriamente alle “tradizioni israelitiche”, isrā’īliyyāt247. Essi, infatti, si avvalsero spesso di questo corpo di

245 Ibn Ḥanbal, Musnad, Faḍā’il al-ṣaḥābah, Aḫbār amīr al-mu’minīn ‘Alī b. Abī, Wa min faḍā’il ‘Alī,

n. 1649.

246 Al-Šāfi‘ī, Musnad, Wa min kitāb iğāb al-ğumu‘a, n. 860.

247 Le prime fonti d’informazione erano gli ebrei convertiti o gli arabi politeisti che, prima di aderire

all’Islam, avevano avuto contatti con gli ebrei e i cristiani che abitavano la penisola arabica. Tra questi si ricordano Ubayd b. Šarya al-Ğurhumī le cui narrazioni relative ai sovrani arabi e persiani e agli eventi biblici furono raccolte su ordine di Mu‘āwiya, ‘Abd Allāh b. Salām (m. 43/663-4), Ka‘b al-Aḫbār e Wahb b. Munabbih (m. 110/728 o 114/732), autore di Al-mubtada’, opera nota anche col titolo di Isrā’īliyyāt. Il ricorso alle tradizioni israelitiche nel corso della storia è stato severamente condannato. Già in Ta’wīl muḫtalif al-hadīth di Ibn Qutayba (m. 276/889) emerge il senso di sfiducia verso un patrimonio letterario che non offre garanzie sicure di autenticità. In tempi più recenti le narrazioni israelitiche sono state condannate da Ibn Kaṯīr e Ibn Taymiya. Cfr. George Vajda, «Isrā’īliyyāt», Encyclopaedia of Islam, Second Edition, http://referenceworks.brillonline.com/entries/encyclopaedia-of-islam-2/israiliyyat-SIM_3670, e

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narrazioni nato in seno alla tradizione giudeo-cristiana relativamente a personaggi ed eventi menzionati nelle scritture ebraiche, per interpretare alcuni passi coranici alla luce dell’Antico Testamento e, in particolare, del libro della Genesi248.

Le dinamiche della diffusione delle isrā’īliyyāt nel mondo arabo sono ben illustrate dallo storico tunisino Ibn Ḫaldūn (n. 732/1332, m. 808/1406) in un passo della sua Muqaddimah:

Gli Arabi non erano né dei luminari né degli uomini di scienza; la vita nomade (badāwah) e l’analfabetismo (ummiyah) predominavano. Essi desideravano conoscere ciò che tutti gli uomini desiderano conoscere: le circostanze della genesi del creato, l’inizio della creazione, i segreti dell’esistenza. Allora domandarono alla gente del Libro ‒ agli ebrei e ai cristiani ‒ vissuti prima di loro. Gli ebrei che in quell’epoca vivevano tra gli Arabi e che, come loro, erano nomadi, non conoscevano nulla di tutto ciò, a eccezione delle credenze popolari diffuse tra la gente del Libro. La maggior parte dei somari che seguivano la religione ebraica, dopo essersi convertiti all’Islam, continuarono ad attenersi a quanto avevano appreso in precedenza, che non aveva nulla a che vedere con le norme della

šarī‘ah249.

La somma delle dinamiche descritte condusse in passato alla nascita di un’esegesi sincretica250 nella quale convergevano più tradizioni. Un’esegesi oggi

Gautier H. A. Juynboll, The authenticity of the tradition literature, Brill, Leiden 1969, pp. 121-38.

248 Si veda Roberto Tottoli, I profeti biblici nella tradizione islamica, Paideia, Brescia 1999 e, dello

stesso autore, Origin and Use of the Term Isrā’īliyyāt in Muslim Literature, «Arabica», 46, 2 (1999) pp. 193-210, ora anche in Lloyd Ridgeon (ed.), Islam and Religious Diversity. Critical Concepts in

Islamic Studies, Routledge, London – New York, 2011, I, pp. 172-188.

249 La traduzione è condotta direttamente su Ibn Ḫaldūn, Tārīḫ Ibn Ḫaldūn - al-Muqaddimah, Dār

al-kutub al-‘ilmiyyah, Bayrūt 2010, vol. 1, p. 348.

250 È il fenomeno che la saggistica esegetica contemporanea definisce anche “devianza” (inḥirāf),

termine che sottintende l’alterazione del senso del Corano (taḥrīf). Oltre che al ricorso indebito alle

isrā’īliyyāt, tali “devianze” sarebbero imputabili ad altri tre fattori. Agli errori di valutazione che

inducono l’esegeta ad attribuire alle espressioni del Corano il significato che egli ritiene corretto, alla volontà di interpretare il Corano ricorrendo alle parole degli antichi in maniera acritica, vale a dire senza tener conto dell’obbiettivo di Colui che ha rivelato il Corano, Dio, né di Colui al quale fu rivelato, l’Inviato di Dio, né di coloro ai quali Esso è rivolto, gli uomini, e alla malafede degli esegeti: «L’asservimento del tafsīr coranico ai desideri personali e alle correnti di pensiero estremiste ha spalancato ai musulmani una porta molto pericolosa attraverso la quale sono entrati i nemici dell’Islam nell’intento di sfigurarne l’immagine e corromperne le dottrine. Similmente sono entrati gli innovatori (aṣḥāb al-bid‘ah) che dissimulano nei versetti dell’Altissimo la loro propaganda. Il tafsīr è stato messo a dura prova da quanti, coltivando i desideri più disparati e tendendo all’innovazione, nei commentari riportavano detti falsi attribuendoli all’Inviato di Dio o ad alcuni suoi compagni». Ḫālid ‘Abd al-Raḥmān al-‘Ak, Uṣūl al-tafsīr wa

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sotto accusa per gli errori d’interpretazione che si tende a imputare in parte allo stato di arretratezza nella quale versava la scienza in quell’epoca che ancora non aveva raggiunto un progresso tale da poter essere applicata all’indagine del Corano, in parte al fatto che il patrimonio straniero dal quale attingevano gli esegeti musulmani era riconducibile per lo più alla gente del Libro, spesso accusata di voler esercitare la propria autorità intellettuale sulla comunità musulmana.

Queste dunque le posizioni dei restrizionisti che tendono ad associare l’esegesi scientifica ad altre esegesi dubbie o eretiche (isrā’iliyyāt) per poterle unire in una stessa condanna.

Confutazione

Il riferimento alle tradizioni israelitiche, ribattono i moderati, sarebbe del tutto fuori luogo, essendo le isrā’īliyyāt il prodotto di un’epoca in cui la conoscenza era appena agli albori. Peraltro, fanno notare, oggi gli esegeti non hanno più alcun bisogno di avvalersi delle isrā’īliyyāt potendo ricorrere alla scienza che ha compiuto progressi notevoli in tutti i campi e raggiunto un livello di precisione ragguardevole tale da permettere agli specialisti di comprendere i riferimenti coranici al cosmo. Nelle parole del Profeta «le sue meraviglie non hanno fine e la sua recitazione frequente non lo logora»251, i fautori dell’esegesi scientifica leggono

una sorta di profezia del fatto che il Corano è capace di stare al passo con i tempi e aprire, nei secoli, nuove prospettive.

Se dunque per i moderati non si pone il problema delle isrā’īliyyāt, è pur vero che essi condividono la medesima avversione dei restrizionisti per questo patrimonio252. A questo proposito al-Nağğār spiega:

Nel momento in cui l’uomo iniziò a sentire il desiderio di conoscere i segreti di questa

251 Al-Tirmīḏī, Ğāmi‘, Kitāb faḍā’il al-Qur’ān, Bāb mā ğā’ fī faḍl al-Qur’ān, n. 2851.

252 Alcuni testi di saggistica araba ricordano tuttavia come il senso di rifiuto delle tradizioni

israelitiche non riguardi tutte le isrā’īliyyāt indistintamente. Occorre infatti operare una distinzione tra quelle generalmente accettate, quelle rifiutate e quelle che non raccolgono il consenso unanime. Nella prima categoria rientrano le tradizioni israelitiche che, per essere state citate anche dal Profeta, sono considerate attendibili; della seconda categoria fanno parte le tradizioni che contraddicono la legge religiosa islamica e, infine, la terza categoria comprende tutte quelle isrā’īliyyāt sulla cui attendibilità gli esegeti non si esprimono ma che possono essere menzionate in virtù del detto profetico che invita a «non credere e allo stesso tempo non smentire la gente del Libro». Ḫālid ‘Abd al-Raḥmān al-‘Ak, Uṣūl al-tafsīr wa qawā‘idu-hu, pp. 261-262.

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esistenza (wuğūd) e a interrogarsi sull’universo, sulla vita, sulla creazione e sugli altri segreti, cercò le risposte nell’imponente tradizione (turāṯ) nella quale, nel corso della storia, erano andati mescolandosi il vero e il falso, il reale e la fantasia, la scienza e la leggenda. Spesso chi aveva aspirato, nelle varie epoche, a questo genere di conoscenza erano proprio gli uomini di religione. Ai suoi albori, lo Stato islamico era circondato da numerose civiltà (ḥaḍārāt) ciascuna delle quali aveva sviluppato un proprio corpus di conoscenze. Dopo che lo Stato islamico ebbe inglobato le civiltà adiacenti e molte comunità si furono convertite alla religione di Dio, le loro tradizioni giunsero, per mezzo delle traduzioni, agli ‘ulamā’ musulmani. Alcuni esegeti musulmani beneficiarono di quelle tradizioni per spiegare i riferimenti al cosmo presenti nel nobile Corano, e questo fu un grande errore. Hanno sbagliato perché quella non era un’epoca di progresso scientifico come quella in cui viviamo ora, oltre al fatto che buona parte di quelle tradizioni proveniva dagli ebrei, celebri per distorcere la verità, rivisitare la storia e sottomettere i popoli ai quali si sentivano superiori e che essi definivano gentili (ummiyyūn)253.

Non si può non osservare – aggiungiamo noi – come il progresso scientifico sia visto da questi autori come una sorta di “miracolo”, simile in certo modo al Corano, che non possiede alcun antecedente storico. In realtà la scienza moderna si è formata proprio a partire dalle “tradizioni leggendarie” che questi autori stigmatizzano. Inoltre la diffusa avversione per il ricorso alle tradizioni israelitiche è un segno di come siano cambiati i tempi. Se in passato gli esegeti cercavano una spiegazione dei passi coranici che gli erano oscuri nella Bibbia, oggi la cercano nella scienza, la nuova bibbia del XX secolo.