Qualche esempio di esegesi scientifica del Corano, tra classicità e modernità
2.5 Sura del Discernimento, v 53 – commento secondo al-Rāzī
«Egli è Colui che ha lasciato confluire i due mari, dolce e fresco l’uno, salmastro e amaro l’altro, e ha messo una barriera a dividerli, un muro invalicabile» (25:53).
Questo è il quarto segno dell’unicità di Dio. “Marağa al-baḥrayn”, «ha lasciato confluire i due mari», li ha lasciati liberi di incontrarsi. Si dice: ha lasciato il bestiame libero di pascolare. Il significato profondo di “marağ” è “lasciar libero di mescolarsi” (irsāl wa ḫalaṭ), come si deduce dal versetto: «La loro vicenda è ingarbugliata (marīğ)» (50:5). Le due vaste e copiose distese d’acqua sono definite “i due mari” (baḥrayn). Ibn ‘Abbās disse: «Ha lasciato confluire i due mari», cioè li ha lasciati liberi di scorrere nei loro alvei (mağārī-humā). Come i cavalli sono lasciati liberi di pascolare (marağ), così i due mari sono lasciati liberi di confluire. «Dolce e fresco (‘aḏab) l’uno, salmastro e amaro l’altro»: Dio, sia gloria a Lui, con la Sua onnipotenza li separa e impedisce loro di mescolarsi creando una barriera (barzāḫ).
A questo proposito sorgono alcune domande. In primo luogo, che cosa s’intende con «muro invalicabile (ḥiğr maḥğūr)»? Essa è l’espressione usata da chi cerca
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protezione (muta‘awwūḏ), come abbiamo già spiegato. In questa sede l’espressione è utilizzata in senso figurato, come se uno dei due mari cercasse protezione dall’altro, perciò si dice un «muro invalicabile». […]
In secondo luogo, non esiste alcun mare di acqua dolce. Perché dunque Iddio l’Altissimo l’ha definito in tal modo? È risaputo che esistono due interpretazioni. [L’espressione] potrebbe riferirsi ai grandi fiumi come il Nilo e il Ghicon383, o forse
al fatto che Dio ha fatto una parte del mare salato e l’altra dolce. Noi però diciamo che la prima interpretazione è debole perché in questi fiumi non vi è sale e nei mari non vi è acqua dolce. Anche la seconda interpretazione è debole perché non è dimostrabile. Noi diciamo che il mare di acqua dolce corrisponde a quei fiumi mentre le acque salate corrispondono ai grandi mari. Li divide una barriera, cioè un muro di terra. In questo caso la dimostrazione è evidente poiché se la salinità e la dolcezza delle acque dipendessero dalla natura di quest’ultime o dalla natura della terra, i valori sarebbero uniformi. Ma se non è così, allora deve esistere un sapiente onnipotente che attribuisce a ciascun corpo delle proprietà specifiche. 2.6 Sura del Creatore, v. 12 – commento secondo al-Rāzī
«Non sono uguali i due mari, uno d’acqua buona, dolce e piacevole a bersi, l’altro salato e amaro; però dall’uno come dall’altro voi prendete carne fresca e monili che indossate» (35:12).
La maggior parte degli esegeti ritiene che il versetto sia un’allusione alla miscredenza (kufr) e alla fede o al miscredente e al credente. Nel contribuire al bene, la fede non è uguale alla miscredenza proprio come le acque dolci non sono uguali alle acque salate. Poi però l’espressione «dall’uno come dall’altro voi prendete carne fresca e monili che indossate» dimostra come la condizione del miscredente e del credente o della miscredenza e della fede non abbia nulla a che vedere con la condizione dei due mari dal momento che sia le acque salate sia le acque dolci contribuiscono in misura uguale al bene: la carne fresca e i monili
383 Ghicon è il nome di uno dei quattro fiumi menzionati nel secondo capitolo della Genesi,
insieme al Tigri, all’Eufrate e al Pison. Secondo la tradizione questi fiumi sono le diramazioni di un fiume unico proveniente dall’Eden. Mentre i primi due sono molto noti e sfociano sui monti dell’Armenia, il Pison e il Ghicon sono sconosciuti. Il Ghicon è descritto nella Bibbia come il fiume che circonda il Paese di Kush, nome spesso associato all’Etiopia. Questa collocazione geografica sembra però inverosimile dal momento che il Tigri e l’Eufrate sfociano in Mesopotamia e secondo la tradizione i quattro fiumi dovrebbero provenire tutti dalla medesima fonte. Edward Ullendorff, Ethiopia and the Bible, University Press for the British Academy, Oxford 1968, p. 2.
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provengono dalle une come dalle altre e le navi le solcano entrambe. Viceversa nella miscredenza e nel miscredente non vi è alcun bene, secondo quanto afferma l’Altissimo: «sono come il bestiame, e ancora più smarriti»; «i vostri cuori si sono induriti, come pietre, anzi, più duri ancora. Vi sono pietre dalle quali sgorgano i fiumi e altre che si spaccano» (2:74).
È evidente che l’intento del versetto è portare un’altra prova dell’onnipotenza di Dio: i due mari sono uguali nell’aspetto ma la loro acqua è diversa, uno d’acqua dolce, l’altro d’acqua salata. A rigor di logica, due cose uguali non dovrebbero presentare differenze. Tuttavia per quanto differenti, i mari sono accomunati da alcuni aspetti: la carne fresca è presente in entrambi e così anche i monili. Colui che genera delle differenze nell’unità e l’unità nelle differenze non può che decretarle liberamente. […]
2.7 Sura della Formica, v. 61 – commento secondo al-Rāzī
«Divise i mari con una barriera» (27:61).
Il versetto significa che le acque dolci, pur mescolandosi, non si contaminano e si giovano di quella barriera (ḥāğiz), e che nel cuore del credente sono presenti due mari: il mare della fede e della sapienza, e il mare della ribellione a Dio (ṭuġyān) e della passione (šahwah). Il credente, con l’aiuto di Dio, erige una barriera tra questi due mari perché l’uno non contamini l’altro. […]
Esegesi scientifica contemporanea: commento secondo Zaġlūl al-Nağğār L’esegesi scientifica del Novecento ravvisa nei versetti coranici che descrivono i «due mari divisi da una barriera» un’allusione a due mari veri e propri dalle proprietà chimiche differenti. Questa interpretazione sarebbe la più plausibile essenzialmente per le tre ragioni che Zaġlūl al-Nağğār indica nel suo studio384.
La prima ragione è una considerazione sull’uso linguistico del termine “baḥr” che in arabo generalmente indica l’acqua marina, e solo se seguito da un termine di specificazione può indicare l’acqua dolce (come nel caso dei versetti 25:53 e 35:12).
384 Zaġlūl al-Nağğār, Madḫal ilà dirāsat al-i‘ğāz al-‘ilmī, pp. 203-213. Sullo stesso tema si ricorda
Muṣṭafà Muḥammad al-Ğamāl, Al-baḥrayn wa al-ḥāğiz bayna humā, «Al-i‘ğāz al-‘ilmī», 35 (2010) pp. 4-8.
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La seconda ragione considera le ricorrenze coraniche delle due accezioni del termine “baḥr”. Il termine “baḥr” senza specificazione ricorre 39 volte di cui 33 al singolare, 3 al duale e 3 al plurale; mentre in soli due casi la parola è seguita da un termine di specificazione a indicare l’acqua dolce. In generale la maggior frequenza con cui ricorre la radice b-ḥ-r nel senso di acque salate farebbe pensare che la «barriera» divida due distese di acqua salata. Nello specifico, la sura del Creatore menziona «due mari, uno d’acqua buona, dolce e piacevole a bersi, l’altro salato e amaro» similmente alla sura del Discernimento che menziona «due mari, dolce e fresco l’uno, salmastro e amaro l’altro», in ovvio riferimento alle acque dolci dei fiumi e alle acque salate dei mari. Quanto invece ai riferimenti presenti nella sura della Formica che menziona semplicemente i due mari senza specificarne la natura delle acque, sarebbero da intendersi in riferimento esclusivo alle acque marine.
La terza ragione considera l’habitat ideale delle “perle e dei coralli” (55:22) che all’epoca della rivelazione erano i principali ornamenti ricavati dal mare. L’espressione coranica farebbe riferimento alle perle e ai coralli di acqua salata, e non alle perle coltivate artificialmente in acqua dolce che all’epoca in cui visse il Profeta non esistevano.
Partendo da queste considerazioni l’interpretazione scientifica individua la barriera (barzaḫ) o il muro invalicabile (ḥiğz maḥğūr) nella massa d’acqua che divide verticalmente due mari confinanti, la cui esistenza fu scoperta dall’oceanologia alla fine del XIX secolo. L’inimitabilità scientifica di questi passi coranici risiederebbe nel fatto che il Corano avrebbe annunciato l’esistenza di questa barriera d’acqua dodici secoli prima che fosse scoperta dalla spedizione inglese nota come The Challenger Expedition, che fu impegnata in una lunga serie di studi sugli oceani tra il 1872 e il 1876. In quell’occasione, sei scienziati guidati dal biologo britannico Charles Wyville Thomson analizzando le proprietà delle acque marine scoprirono che laddove due mari s’incontrano le acque si mischiano solo in parte, senza unirsi mai del tutto nonostante l’azione intensa delle correnti marine. Il risultato è la formazione di una fascia d’acqua che acquisisce le proprietà (la temperatura, la percentuale di salinità, la percentuale di ossigeno,…) dell’uno e dell’altro mare e funge da linea spartiacque (il barzaḫ degli esegeti) (fig. 5).
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[Fig. 5 Linea di separazione tra le due masse d’acqua]
Secondo Zaġlūl al-Nağğār questo fenomeno sarebbe piuttosto evidente presso lo stretto di Gibilterra dove il Mediterraneo incontra l’Atlantico, presso Bāb al- Mandib, punto d’incontro tra il Mar Rosso e le acque del golfo di Aden, nello stretto di Hormuz dove il golfo Persico si unisce al golfo di Oman, e nel Bosforo punto in cui il mar Nero si congiunge al mar di Marmara.