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Note minime sul dissenso nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

CAPITOLO SECONDO

5. Note minime sul dissenso nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Muovendo verso altre esperienze sovranazionali, nell’ordinamento disegnato dalla Convenzione di Roma del 4 novembre 1950 – chiamato a tutelare i diritti fondamentali degli individui ricorrenti, a fronte della denuncia di presunte violazioni negli ordinamenti degli Stati di riferimento – lo strumento dell’opinione dissenziente merita un’analisi specifica, anche in forza del ruolo svolto della Corte

145 Cfr. J.P. COSTA, Les opinions séparées des juges: est-ce une bonne institution dans une

juridiction internationale?, in S. KATUOKA (a cura di), Law in the Changing Europe. Liber

Amicorum Pranas Küris, Vilnius, Mykolo Romerio universiteto Leidybos centras, 2008, 118-119.

146 Cfr. K.J. KEITH, The International Court of Justice: Primus Inter Pares?, in 5 Int. Organ. Law

Rev. 7 (2008), 17.

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Europea dei Diritti dell’Uomo (da alcuni ritenuta in parte equiparabile ad una Corte

costituzionale di dimensioni europee)148.

Sul piano storico, l’introduzione del dissent deriva dalla necessità di contemperare tradizioni giuridico-giurisdizionali, provenienze e formazioni culturali assai diverse tra loro, anche recependo l’esperienza degli Stati di common

law, nei quali il dissenso giudiziario (rectius, la manifestazione dell’opinione del

singolo giudice) era una realtà ampiamente consolidata149.

In parallelo, la pregnante dimensione “sociale” delle pronunce del Giudice di Strasburgo può altresì essere letta come una conferma nel merito dell’utilità di siffatto strumento, essendo «la sua disciplina […] adeguata alla materia oggetto della decisione, che può dar adito a differenti opinioni e rendere opportuna una continua evoluzione per proteggere diritti fondamentali nuovi, via via emergenti e ricollegabili a quelli contemplati nella Convenzione attraverso l’esegesi di nozioni

vaghe ed indeterminate»150.

In quest’ultimo senso, si ricordino ad esempio le opinioni dissenzienti dei

giudici Ryssdal ed Evrigenis in Schiesser v. Switzerland (1979)151. In particolare, il

Giudice di Strasburgo aveva ritenuto che non violasse l’art. 5.3 CEDU una previsione della legislazione elvetica che rimetteva in capo ad un Avvocato

148 Secondo A. ANZON, Forma delle sentenze, cit., 179, l’esperienza della Corte di Strasburgo «[…] è quella che, con le dovute distinzioni, appare la meglio raffrontabile con quella delle Corti [costituzionali nazionali], dal momento che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non dirime controversie tra Stati, ma giudica di lesioni di diritti individuali». Per A. WILDHABER, Constitutional Future for the European Court of Human Rights?, in 23 Human Rights Law J. 161 (2002), 161,

«whether the European Court of Human Rights is itself a ‘Constitutional Court’ is largely a question of semantics. We can always call it a quasi-Constitutional Court, sui generis».

149 Cfr. E. CRIVELLI, L’opinione dissenziente nella prassi della Corte di Strasburgo, in Scritti in onore di Gaetano Silvestri, vol. I, Torino, Giappichelli, 2016, 676 e L. LUATTI, Profili costituzionali,

cit., 40.

150 F. NOVARESE, «Dissenting opinion» e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in A.ANZON,

L’opinione dissenziente, cit., 367-368. Sull’argomento insiste anche E. CRIVELLI, L’opinione dissenziente, cit., 678-683, in relazione all’evoluzione della giurisprudenza convenzionale in merito

all’art. 8 CEDU (rispetto della vita privata e familiare). Per una giurisprudenza analoga in materia religiosa – attraverso il mezzo dell’opinione dissenziente – cfr. M. DURANTE, Le opinioni

dissenzienti della Corte di Strasburgo e la tutela della libertà religiosa: un capovolgimento di prospettiva, in Rivista del Gruppo di Pisa, 2, 2020, 170-189.

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distrettuale (e non a un giudice) la possibilità di decidere sulle limitazioni provvisorie della libertà personale di persone indiziate di reato.

Le opinioni dissenzienti indicate ritenevano, invece, che qualsiasi privazione della libertà personale affidata ad una persona che non fosse qualificabile come “giudice” – in quanto priva dei necessari requisiti di indipendenza ed imparzialità – fosse in contrasto con la normativa CEDU.

Tali posizioni minoritarie diverranno poi lentamente giurisprudenza

maggioritaria152, per essere infine consacrate nella sentenza della Grande Camera

Huber v. Switzerland (1990)153.

Allo stesso modo, anche le opinioni concorrenti possono contribuire a rendere maggiormente chiara la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In questo senso, le opinioni concorrenti pronunciate in Yoh-Ekale Mwanje v.

Belgium (2011)154 sono state decisive per favorire una revisione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo a proposito dell’espulsione da paesi dell’Unione di persone affette da gravi patologie mediche.

In concreto, i limiti stringenti sanciti nel leading case N. v. United Kingdom

(2008)155 sono stati reinterpretati in forma estensiva a partire dal caso Paposhvili v.

Belgium (2016), ove la Grande Camera ha ritenuto che l’art. 3 CEDU – divieto di

trattamenti inumani e degradanti – fosse violato non solo in situazioni di immediato pericolo di morte, bensì anche in contesti nei quali il rimpatrio della persona interessata avrebbe ragionevolmente determinato una seria compromissione di

condizioni di salute già di per sé precarie156.

152 Cfr. ECHR, Duinhof and Duijf v. The Netherlands, 9626/81 e 9736/82, 22-05-1984; Skoogström

v. Sweden, 8582/79, 2-10-1984 e Pauwels v. Belgium, 10208/82, 26-05-1988.

153 ECHR, Huber v. Switzerland, 12794/87, 23-10-1990.

154 ECHR, Yoh-Ekale Mwanje v. Belgium, 10486/10, 20-12-2011. Cfr. l’opinione parzialmente concorrente dei giudici Tulkens, Jočienė, Popović, Karakaş, Raimondi e Pinto De Albuquerque, §6. 155 Secondo cui «aliens who are subject to expulsion cannot in principle claim any entitlement to remain in the territory of a Contracting State in order to continue to benefit from medical, social or other forms of assistance and services provided by the expelling State. The fact that the applicant’s circumstances, including his life expectancy, would be significantly reduced if he were to be removed from the Contracting State is not sufficient in itself to give rise to breach of Article 3» (ECHR, N. v. the United Kingdom, no. 26565/05, 22-05-2008, §42).

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A livello di diritto positivo, la regolamentazione del dissenso “europeo” è contenuta negli artt. 45.2 della Convenzione stessa e 74.2 del Regolamento di procedura. Nel primo caso, si allude in termini generali (e neutri) alla possibile adozione di una separate opinion/opinion séparée, mentre nella normativa procedurale si parla di «separate opinion, concurring with or dissenting from that judgment» ed anche di un atipico «bare statement of dissent», il che sembrerebbe forse legittimare la possibilità di un dissent immotivato.

In tale contesto, a fronte di ricostruzioni statistico-valutative nelle quali il mero dato quantitativo delle opinioni non maggioritarie è stato letto in relazione alla formazione culturale dei singoli giudici, allo Stato di provenienza e perfino al

contenuto delle stesse opinioni separate157, è ora possibile soffermarsi su alcune

conclusioni all’uopo proposte dalla dottrina.

Dalla pronuncia della sua sentenza inaugurale, nel 1960158 e sino al 1992, la

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva adottato 326 sentenze, con 158 opinioni

“non maggioritarie” (48,5% del totale)159.

Estendendo poi tale termine di un quindicennio, sino a giungere al giugno del 2006 (data di istituzione della Quinta Sezione) risulta che la stessa aveva reso 6749

157 In questo senso, si è anche operata una dettagliata distinzione (R.C.A. WHITE, I. BOUSSIAKOU,

Separate Opinions in the European Court of Human Rights, in 9 Human Rights Law Rev. 37, 2009,

45) «between opinions addressing the foundations of the reasoning of the judgment of the Court and those addressing criticisms of consistency in the Court’s case law; between opinions concerned with admissibility issues and fact-finding and opinions concerned with substantive rights; and between those motivated by different approaches to the interpretation of the Convention, broadly a close textual approach versus a broader purposive interpretation».

158 ECHR, Lawless v. Ireland, 332/57, 14-11-1960.

159 F. NOVARESE, «Dissenting opinion», cit., 377. Si potrebbero qui indicare anche i dati suggeriti

da R.C.A. WHITE, I. BOUSSIAKOU, Separate Opinions, cit., 47-48 (tratti da F. RIVIÈRE, Les opinions

séparées des juges de la Cour européenne des droits de l’Homme, Brussels, Bruylant, 2004, 25),

ove si allude alla presenza di 908 opinioni separate nel periodo 1960-1998 su un totale complessivo di 837 sentenze, variamente caratterizzate quali dissenting opinions (413) concurring opinions (204), partially dissenting opinions (170) separate opinions (95) e declarations (26). L’assenza del numero di provvedimenti dotati di opinioni non maggioritarie, tuttavia, non consente di estrapolare alcuna indicazione significativa in ordine al rapporto tra pronunce totali e dissents, risultando pertanto detta elencazione in certo modo superflua (fors’anche ambigua, visto che il maggior numero di opinioni dissenzienti/concorrenti rispetto al totale delle sentenze adottate suggerisce che diverse pronunce contengono una pluralità di voti particolari).

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pronunce, dei quali 900 (13,3%) presentavano almeno un’opinione non

maggioritaria160.

A titolo di specificazione ulteriore, tra il 1° gennaio 1999 ed il 31 dicembre 2007 la Grande Camera ha pronunciato 166 sentenze, di cui solo 24 (14,5%) sono

state adottate all’unanimità161.

È qui doveroso rendere conto di un dato: la prima finestra temporale evocata (1960-1992) presenta, infatti, una soglia di dissenso notevolmente elevata rispetto a quanto invece si registra nell’arco di tempo posteriore (1960-2006).

Ciò si spiega in ragione dell’incremento notevole di ricorsi di cui è stata investita la Corte a partire dall’entrata in vigore del Protocollo n. 11 nel 1998 (art. 34), che ha ristrutturato il meccanismo dei ricorsi al giudice di Strasburgo,

garantendo ai cittadini europei la possibilità di proporre ricorso in forma diretta162.

Più recentemente, si è sottolineato che «dal 1° gennaio 2008 al 30 giugno 2018, delle 9841 sentenze di camera e di Grande Camera, solo 1596 pronunce recano opinioni separate (173 di Grande Camera e 1423 di Camera), pari a una percentuale del 16,22%, mentre ben 8245 sentenze (pari all’83,78%) non recano

tali opinioni»163.

160 E. VOETEN, The Politics of International Judicial Appointments: Evidence from the European Court of Human Rights, in 61 International Organization 669 (2007), 684.

161 Il dato è confermato, a contrario, dalla lettura di R.C.A. WHITE, I. BOUSSIAKOU, Separate

Opinions, cit., 52, per i quali « the number of judgments of the Grand Chamber between 1999 and

2007 which found a violation of some Convention provision is 111 (67 percent)».

162 Cfr. i dati in https://www.echr.coe.int/Documents/Facts_Figures_1959_2009_ENG.pdf, 5, ove si afferma che «barely ten years after the reform, the Court has delivered its 10,000th judgment. Its output is such that more than 90% of the Court’s judgments since its creation in 1959 have been delivered between 1998 and 2009».

163 P. PINTO DE ALBUQUERQUE, D. CARDAMONE, Efficacia della «dissenting opinion», in F. BUFFA, M.G. CIVININI (a cura di), La Corte di Strasburgo. Gli speciali di “Questione Giustizia”, aprile 2019, 149. Tra i Giudici maggiormente dissenzienti in seno al Tribunale di Strasburgo si deve necessariamente menzionare lo stesso P. Pinto de Albuquerque (Giudice di designazione portoghese dal 2011), come rivela la pubblicazione di due lavori monografici a partire dalle sue dissenting

opinions: cfr. P.PINTO DE ALBUQUERQUE, C.H. PRECIADO DOMÈNECH, Hablemos de Derechos

Humanos. La doctrina del TEDH y su aplicación en España desde los votos particulares del Juez Paulo Pinto de Alburquerque, Valencia, Tirant lo Blanch, 2020 e P. PINTO DE ALBUQUERQUE, D. GALLIANI (a cura di), I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni concorrenti e dissenzienti

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Tale considerazione, peraltro, è da legare anche al processo di riforma della giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, soprattutto in ragione di quanto stabilito nella Conferenza di Brighton del 2012 e nel corrispondente Protocollo n. 15, il quale ha cercato di circoscrivere il raggio d’azione del Giudice europeo dei diritti attraverso la formalizzazione delle categorie della sussidiarietà e

del margine di apprezzamento dei singoli Stati164.

Volendo ora traguardare i risultati complessivi derivanti dalla pronuncia di opinioni dissenzienti con le modalità di composizione della Corte ed il carattere inter-statuale ed inter-culturale della stessa, si può osservare quanto segue.

In ordine al primo dei profili sopra evocati (formazione culturale e provenienza nazionale), è stato suggerito che «while the link between the ideologies of governments and judges seems obvious from an U.S. perspective, judicial appointments may be much less motivated by political considerations in many

European countries»165.

In questo senso, il fatto che ogni (Governo di ogni) Stato membro del Consiglio d’Europa proceda alla selezione di una terna di giudici – al cui interno l’Assemblea parlamentare del Consiglio stesso provvederà ad indicare il candidato ritenuto più idoneo a ricoprire tale carica – sembrerebbe “diluire” la possibilità di un penetrante controllo politico “nazionale” sull’organo entro i confini di una struttura particolarmente ampia dell’organo (ad oggi, quarantasette componenti).

In merito, poi, a possibili condizionamenti derivanti dall’essere un giudice nominato da uno Stato che potrebbe essere oggetto di una futura controversia, invece, appare difficile estrapolare una presunzione di carenza di imparzialità dalle

modalità di selezione o anche solo da un’analisi statistica166I n ogni caso, resta

164 Si veda M.R. MADSEN, Rebalancing European Human Rights: Has the Brighton Declaration Engendered a New Deal on Human Rights in Europe?, in J. Int. Dispute Settl., 9, 2018, 199-222.

165 E. VOETEN, The Politics, cit., 679-680. Contra, J.F. FLAUSS, La Cour européenne des Droits de l’Homme est-elle une Cour constitutionnelle?, in Revue française de droit constitutionnelle, 1998,

711 ss., il quale afferma che «le processus de sélection est totalement clandestin. En d’outre termes, les choix sont souvent déterminés par le cabinet ministeriel, à partir de considérations qui privilègent l’appartenence partisane et/ou la fidélité politique».

166 Cfr. E. VOETEN, The Impartiality of International Judges: Evidence from the European Court of

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fermo che, confermando ab absurdo tale ipotesi, il voto “viziato” andrebbe ad essere “contro-bilanciato” e superato da quello dei restanti componenti del Collegio

giudicante167.

Tuttavia, occorre anche considerare il fatto che l’incidenza (indiretta) delle pronunce della Corte di Strasburgo sulla legislazione ed il sistema giudiziario dei diversi Stati membri ha sollevato diversi interrogativi in ordine sulle modalità di esercizio, da parte della Corte stessa, delle proprie funzioni giurisdizionali.

In tal senso, infatti, il Giudice convenzionale ha spesso oscillato tra i poli opposti del judicial activism, da un lato e del judicial restraint, dall’altro. Ne è derivato che i giudici nominati da parte di Stati sostenitori del processo di integrazione europea sembrerebbero avere meno remore nell’emettere pronunce di condanna nei confronti degli stessi, al contrario di coloro i quali provengono da

realtà statali maggiormente scettiche in proposito168.

In ogni caso, si tenga presente l’ineliminabilità di una naturale e fisiologica “politicità” insita nel modus interpretandi et iudicandi della Corte di Strasburgo, anche alla luce delle motivazioni storiche e culturali che ne portarono alla creazione.

decisions to make inferences about what motivates judges stems largely from data limitations. Either dissenting opinions, the primary data source in studies of judicial behaviour, are not publicly available, or courts have too few judgments to allow for viable statistical inquiries that can discriminate between motivations».

167 Cfr. F.J. BRUINSMA, The Room at the Top: Separate Opinions in the Grand Chambers of the

ECHR (1998‐2006), in Ancilla Iuris, 2008, 37-38 (richiamando le parole di Christos Rozakis,

giudice greco presso la CEDU nel periodo 1998-2011): «the Court has proved to be very independent, without any liability to the States. This is partly due to the fact that the judges almost live in a vacuum and work in abstracto, far from their home countries in a detached environment. You forget the country you come from. Judges feel themselves assessed by their colleagues, they create their self‐image in the eyes of their colleagues, and they run the risk of losing their respectability in their immediate environment if they pay too much attention to the interests of their home country».

168 Così E. VOETEN, The politics, cit., 693. Un’eccezione potrebbe essere quella evocata dal medesimo A., The Impartiality, cit., 428, per il quale «judges from former socialist countries were about 20% more likely to vote against their own governments than were other judges. This corroborates the anecdotal evidence that these judges were particularly keen on demonstrating their independence from the government and rectifying deficiencies in their domestic human rights situations».

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In questo senso, «ECtHR judges are politically motivated actors in the sense that they have policy preferences on how to best apply abstract human rights in concrete cases, not in the sense that they are using their judicial power to settle

geopolitical scores»169.

Da ultimo, è da rimarcare il fatto che il connubio tra differenti tradizioni giuridiche non solo pare aver contribuito alla creazione, in tema di protezione dei diritti fondamentali, di una disciplina giuridica sempre più unitaria in seno all’ordinamento CEDU (come tale, esportabile verso ordinamenti statali tra loro

eterogenei)170 ma, allo stesso tempo, potrebbe inserirsi nella cornice di una

«crescente richiesta verso la pubblicizzazione dei voti contrari presente nei sistemi improntati al principio della segretezza delle decisioni giudiziarie, tradizionalmente non favorevoli – a parte alcune esperienze storiche peculiari e ad ogni modo non riferibili ad organi di giustizia costituzionale – alla formalizzazione delle opinioni

dissenzienti»171.

6. Il (non) dissent presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea ed il ruolo

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