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Opinione dissenziente e motivazione della sentenza: rottura o integrazione?

CAPITOLO PRIMO

2. Le ragioni favorevoli e contrarie all’introduzione della dissenting opinion: un quadro teorico

2.1. Opinione dissenziente e motivazione della sentenza: rottura o integrazione?

In primo luogo, l’esistenza pubblica e formale di un voto difforme da quello della maggioranza rivela uno scostamento dalla soluzione finale che ha posto termine ad

una determinata controversia39.

A tal proposito, è stato sostenuto che l’introduzione del dissent potrebbe causare un indebolimento della auctoritas della pronuncia giudiziaria in quanto, squarciando il velo (formale) dell’unità decisoria, porterebbe alla luce l’esistenza (sostanziale) di contrasti e conflitti tra gli stessi componenti dell’organo

decidente40.

Ne deriva, pertanto, che la sentenza non sarebbe più una sintesi perfetta e monolitica delle diverse sensibilità interne ad un collegio – e come tale allo stesso imputabile in forma “istituzionale” – bensì si trasformerebbe in un prodotto partigiano, frutto esclusivo di una maggioranza contrapposta ad una minoranza che, in quanto tale, verrebbe percepito “esternamente” come più debole e meno

persuasivo41.

39 Come ricorda V. DENTI, Per il ritorno al «voto di scissura» nelle decisioni giudiziarie, in C. MORTATI, Le opinioni dissenzienti, cit., 3, «la storia del dissent coincide, nel nostro paese, con la storia della motivazione delle sentenze, ed è dunque storia relativamente recente, poiché com’è noto, l’obbligo della motivazione si generalizza solo col XVIII secolo, mentre anteriormente le ragioni o ‘cause’ della decisione rimanevano chiuse, come si diceva, in scrinio pectoris».

40 Nelle parole di B. LEARNED HAND, The Bill of Rights, Cambridge, Harvard University Press, 1958, 72-73, il dissenso «cancels the impact of monolithic solidarity on which the authority of a bench of judges so largely depends». Sul piano giurisprudenziale, poi, già in Pollock v. Farmers’

Loan & Trust Co., 157 U.S. 429 (1895), 608 (White, J., dissenting) si era affermato che «the only

purpose which an elaborate dissent can accomplish, if any, is to weaken the effect of the opinion of the majority, and thus engender want of confidence in the conclusions of courts of last resort». In termini antitetici, A. PACE, La Corte costituzionale nell’esperienza di un avvocato, in Giornale di Storia costituzionale, 11, 2016, 107-108, secondo cui il dissenso debole e “partigiano” squalifica chi

lo pronuncia (e non la Corte) mentre, al contrario, quello solidamente motivato può essere occasione per un overruling o, comunque, per rendere l’opinione della maggioranza più organica e lineare. 41 Acuta, sul punto, l’osservazione di G. AMATO, Osservazioni sulla «dissenting opinion», in C. MORTATI, Le opinioni dissenzienti, cit., 23, quando osserva che «[…] l’opinione pubblica è un complesso di idee, di orientamenti confliggenti che si riallacciano all’eterogeneità dell’aggregato sociale; parlare di una ‘sua’ reazione di fronte al comportamento del supremo organo giurisdizionale è assumerla irrealisticamente come un’entità unitaria». Per J. MARKHAM, Against Individually

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Orbene, siffatta interpretazione risente di un doppio ordine di vizi, di carattere

storico-ideologico42 e percettivo-valutativo. L’idea che la sentenza possa essere

interpretata come una sorta di monade leibniziana43 – perfetta in ogni suo elemento

e lineare derivazione di una norma giuridica che non può che condurre ad un’unica soluzione – deriva, infatti, da una concezione della motivazione giudiziaria “auto-rassicurante” che, a sua volta, è anche il precipitato di una precisa configurazione della giustizia e della figura soggettiva del giudice.

In questi termini, la burocratizzazione del sistema giudiziario (inaugurata in Francia come reazione ai mutamenti della Rivoluzione) segna il consolidamento di un modello nel quale il giudice-persona fisica si dissolve nell’organo-entità di cui fa parte44.

La sentenza, pertanto, non è mai il prodotto dell’esegesi soggettiva del giudicante, bensì è una “rivelazione” che, dalla legge – formalmente priva di aporie

interpretative – arriva al destinatario attraverso la maestà del Tribunale45. Per tale

ragione, non è concepibile che si riveli all’esterno l’esistenza di un qualche

equality to the litigants by precluding the possibility that an opinion would be read differently because of its author. In any discussion about the Court, involving anything from questions at oral argument to written opinions, reference to the name of a particular Justice is convenient shorthand for professors and other commentators for setting out the political underpinnings of a given decision».

42 Cfr. V. DENTI, Per il ritorno, cit., 10, il quale fa presente sul punto che «il discorso diviene necessariamente ‘ideologico’, poiché muove da una certa concezione della funzione giudiziaria, come aspetto di un determinato ethos civile».

43 Cfr. G.W. LEIBNIZ, La monadologia, Padova, CEDAM, 1942.

44 Richiami alle origini storiche del principio di segretezza assoluta della camera di consiglio nell’ordinamento francese – prima, durante e dopo la stagione rivoluzionaria – possono essere letti in C. ASPRELLA, L’opinione dissenziente del giudice, Roma, Aracne, 2012, 90-97 e 113-116 e K.H. NADELMANN, Il “dissenso” nelle decisioni giudiziarie, cit., 43-46.

45 J. IGARTUA SALAVERRÍA, Estudio introductorio, cit., 21, parla di una «ideología de la decisión

determinada» di matrice liberal-giuspositivista che si fonda sul tradizionale postulato

montesquiviano del giudice bouche de la loi e di una decisione giudiziaria che deriva da leggi che «forman un sistema suficientemente preciso, completo, cerrado y no contradictorio». Per V. DENTI,

Per il ritorno, cit., 12, «il carattere impersonale della decisione, espresso nella segretezza della

deliberazione, si accorda con la concezione del potere statale come ‘macchina inanimata’ (secondo l’immagine weberiana del potere burocratico)».

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contrasto, poiché esso viene meno nell’esposizione della (unica ed omogenea)

motivazione finale46.

Ciononostante, appare irrazionale concepire il principio dell’unanimità nella motivazione come un indice graniticamente costante, mascherando tramite una

fictio iuris la presenza anche solo di un’opinione isolata e distinta dalla

maggioranza.

Per un verso, è la scienza statistica a rendere evidente che, prima o poi, non tutti i componenti di un dato organo condivideranno in modo costante la medesima

decisione47; per altro, l’artificiale costruzione di un consenso perpetuamente

unanime evoca una concezione dell’autorità del provvedimento giurisdizionale suggestiva, quando non addirittura distorta.

In quest’ultima direzione, la pretesa di “soggettivizzare” la persuasività di una sentenza attraverso il mero conteggio numerico dei favorevoli e contrari crea una falsa illusione che, in forza di un’unità che si crede assoluta, sposta il centro

dell’attenzione dal merito del provvedimento al conteggio finale dei voti48.

46 Valga, per tutti, la ricostruzione di M. TARUFFO, La fisionomia della sentenza in Italia, in AA.VV.,

La sentenza in Europa. Metodo, tecnica e stile, Padova, CEDAM, 1988, 207-209: «la sentenza non è atto del giudice ma dell’organo, e la motivazione non è […] l’auto-apologia del giudice che ha deciso, ma la giustifícazione formale di una decisione impersonale, riferibile astrattamente ad un ufficio che ha svolto una funzione pubblica, non a soggetti che hanno risolto una controversia [...] II dogma della segretezza della deliberazione, e la conseguente esclusione del voto e dell’eventuale motivazione dissenziente […] implicano che la motivazione della sentenza sia un’argomentazione neutrale, oggettiva e spersonalizzata; sia cioè un discorso tecnico, formalistico e lineare, che non esprime le alternative e non giustifica le scelte di chi ha formulato la decisione». Contra, S. PANIZZA,

L’introduzione dell’opinione dissenziente, cit., 56, fa presente come l’idea stessa del dissenso

all’interno di un organo collegiale giudiziario risiede nella accettazione «delle conseguenze di un presupposto, di natura generale, secondo cui il processo di interpretazione e applicazione del diritto non si risolve sul piano della logica dimostrativa, non è pertanto riconducibile al c.d. sillogismo giudiziale, inteso quale suprema forza della necessità deduttiva, e non produce un risultato scientificamente apprezzabile in termini di vero o falso».

47 Come ricordato da J. KIRBY, Judicial dissent – common law and civil law traditions, in 123 Law

Q. Rev. 379 (2007), 386, «it is impossible that bodies of men should always be brought to think

alike». Lo lascia intendere in modo caustico anche A. SCALIA, La mia concezione dei diritti. Intervista a cura di Diletta Tega, in Quad. cost., 3, 2013, 673 quando afferma: «Com’è infatti

possibile, per la vostra dottrina, analizzare criticamente l’operato dei vostri giudici costituzionali se le opinioni dell’organo sono sostanzialmente anonime? Non è infatti dato sapere chi si sia espresso in favore di esse. Tutto quello che è possibile conoscere nel vostro sistema è l’opinione della maggioranza della Corte».

48 Secondo A. CORASANITI, Considerazioni conclusive, in AA.VV. Il principio di ragionevolezza

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Peraltro, tale ragionamento sembra contraddire quella stessa impostazione di assolutezza della sentenza cui si appoggiano coloro che contrastano il dissent: infatti, se il prodotto della deliberazione giudiziaria è perfetto, allora si dovrebbe prestare attenzione al solo corpus di una sentenza che, come tale, sarebbe capace o meno di persuadere solo in forza dei suoi contenuti, a prescindere dal grado

“quantitativo” della maggioranza che l’ha deliberata49.

In tal senso, la capacità di un provvedimento giudiziario di orientare la giurisprudenza futura – nonché gli stessi comportamenti sociali e l’attività degli organi politici – dipende in via esclusiva dalle ragioni giuridiche che lo

sorreggono50.

Anzi, proprio perché è la sentenza che crea il diritto (e non il dissent, che

affianca ed integra la sentenza ma non è vincolante)51, gli equilibri interni al

collegio non dovrebbero mai essere letti in senso determinante rispetto alla soluzione adottata, potendo al più fungere da piattaforma di riflessione per il mondo accademico e per lo stesso Tribunale quando esso si troverà a dover affrontare

questioni affini52.

267, «la monolitica compattezza della dimostrazione che assiste la decisione della maggioranza non giova affatto alla sua forza, e cioè alla persuasività di tale decisione; forza e persuasività che postulano per converso la conoscenza dei termini del dibattito e del modo in cui la maggioranza si è per mezzo di esso formata».

49 Cfr. F.J. EZQUIAGA GANUZAS, El voto particular, cit., 79-80.

50 Cfr. A. ANZON, Per l’introduzione, cit., 435. Per C. MORTATI, Relazione illustrativa, cit., 396, «appare retorico il chiedersi se tale funzione debba considerarsi meglio adempiuta da una claudicante o lacunosa o incerta sentenza pseudo-collegiale, che voglia apparire espressione di una presunta unanimità di consensi, ma in realtà non suscettibile di trovare nessun effettivo credito, o non piuttosto da un’altra che esprima, e con l’efficacia che può nascere solo dall’intima coerenza dell’argomentazione, la volontà del collegio quale espressa dalla maggioranza».

51 Con riferimento alle esperienze tedesca e spagnola, si veda A. ANZON, Forma delle sentenze, cit., 173. Nella giurisprudenza del TC, cfr. ATC 394/2006, FJ 4. Da ultimo, per L. MENGONI, Intervento,

in A. ANZON, L’opinione dissenziente, cit., 55, «la dissenting opinion non è una semplice relazione

di minoranza, ma fa corpo con la sentenza, ne è un elemento strutturale che concorre a determinarne l’identità».

52 Cfr. J.L. CASCAJO CASTRO, La figura del voto particular en la jurisdicción constitucional

española, in Rev. Esp. Der. Const., 17, 1986, 177, per il quale «la eficacia y mayor aceptación de

las sentencias no está tanto en función del número de magistrados que suscriben la fundamentación y el fallo, cuanto en el rigor y solidez de la argumentación y en su capacidad para suscitar convicciones firmes y seguras». Secondo F. TOMÁS Y VALIENTE, El Tribunal Constitucional español como organo constitucional del Estado: competencias, riesgos y experiencias, in ID., Escritos sobre y desde el Tribunal Constitucional, Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 1993,

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Sempre in relazione alla possibile perdita di prestigio dell’organo giudicante, il ragionamento sviluppato dai critici del dissenso può essere rovesciato, interpretando la dissenting opinion come indice di rafforzamento della sua autorità. In quest’ottica, «when history demonstrates that one of the Court’s decisions has been a truly horrendous mistake, it is comforting […] to look back and realize that at least some of the [J]ustices saw the danger clearly and gave voice, often

eloquent voice, to their concern»53.

Esiste, pertanto, un ulteriore punto di contatto tra il prestigio della Corte – “salvato” in extremis da un solitario dissenso – e la coerenza storica delle sue motivazioni giudiziarie, che in ogni caso traggono origine da opinioni giudiziarie

(dissenzienti) custodite tra le pieghe delle sue soluzioni giuridiche”54.

Inoltre, la formalizzazione del dissent conferisce all’atto giudiziario una

genuina autenticità55: attraverso la manifestazione delle differenti motivazioni

portate a sostegno di una certa tesi, il consenso attorno alla soluzione maggioritaria

sarà reale56, giacché chi sia ad essa contrario potrà palesare la propria non

conformità senza il timore di vedersi artificialmente attribuita (in quanto membro

del Collegio) l’espressione di un giudizio non condiviso57.

59-60, «El voto [particular]... constituye... una ventana abierta al exterior por la que el Tribunal hace públicas sus propias dudas, aunque su fallo no pierda por ello rigor ni disminuya obviamente su eficacia. La autocrítica interna exteriorizada es así un poderoso instrumento de control además de ser, desde la subjetividad de los firmantes de cada voto, una vía de descargo».

53 A. SCALIA, Dissents, in 13 OAH Magazine of History 18 (1998), 19.

54 Sull’incidenza dell’opinione dissenziente a proposito di mutamenti giurisprudenziali, cfr. infra, §2.4.

55 Per A. SCALIA, Dissents, cit. 19, «unlike a unanimous institutional opinion, a signed majority opinion, opposed by one or more signed dissents makes it clear that these decisions are the product of independent and thoughtful minds, who try to persuade one another but do not simply ‘go along’ for some supposed ‘good of the institution’».

56 Cfr. C. MORTATI, Prefazione, in ID., Le opinioni dissenzienti, cit., X.

57 Già lo affermava C. MORTATI, «Dissents» nei giudizi costituzionali, in ID., Raccolta di scritti, III,

1972, Milano, Giuffrè, 859-860, alludendo alla mancata indicazione, sino alla modifica delle Norme integrative della Corte costituzionale nel 1987, del Giudice estensore.

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2.2. Amministrazione della giustizia, indipendenza e responsabilità del giudice,

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