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Il timore della politicizzazione dei provvedimenti giudiziari e dei loro autori

CAPITOLO PRIMO

2. Le ragioni favorevoli e contrarie all’introduzione della dissenting opinion: un quadro teorico

2.3. Il timore della politicizzazione dei provvedimenti giudiziari e dei loro autori

Proprio per le ragioni da ultimo esposte, chi si oppone all’introduzione dell’opinione dissenziente pone un’enfasi particolare sul rischio di politicizzazione – quale riflesso “in negativo” del principio di responsabilità – che potrebbe

derivarne all’organo giudicante, ai singoli componenti ed alle loro deliberazioni72.

In particolare, detta conseguenza pregiudiziale troverebbe aggancio nelle modalità di elezione dei membri degli organi di giustizia costituzionale, generalmente caratterizzate da un predominio nella scelta da parte di organi di

estrazione politica (in particolare, dalle Assemblee parlamentari)73.

71 Lo ricorda G. BISOGNI, La ‘forma’ di un ’conflitto’, cit., 62 (con richiamo a L. FERRAJOLI,

Costituzionalismo e giurisdizione, in Questione giustizia, 3, 2012, 19), quando afferma che «il

‘conflitto’ che in Italia si cela dietro alle due ‘forme’ in gioco del segreto della camera di consiglio e dell’opinione dissenziente rimanda ad un ‘conflitto’ più ampio, di cui sembra inizi ad esserci consapevolezza, se spinge alcuni – preoccupati dal ‘protagonismo’ giudiziale generato dai processi evidenziati in precedenza – a proporre al legislatore di ritornare a fare il suo mestiere. Ciò che servirebbe, infatti, è ‘una riformulazione della stessa legalità costituzionale, attraverso una formulazione più precisa delle norme costituzionali e in particolare dei diritti fondamentali’, giacché ‘c’è […] un solo modo, ripeto, per limitare l’arbitrio giudiziario e per rendere effettiva la soggezione del giudice alla volontà del legislatore: la stretta legalità o tassatività e perciò la formulazione quanto più possibile univoca e precisa delle norme che il giudice è chiamato ad applicare’».

72 Cfr. A.M. SANDULLI, Voto segreto o palese dei giudici costituzionali, cit., secondo il quale «in un paese in cui lo spettro delle ideologie è assai vario, accesa e manichea la lotta politica, diffuso il terrorismo ideologico, e nel quale molta gente è facile a vedere e cacciare streghe dappertutto (ieri accusando di comunismo qualsiasi radicale, oggi accusando fascismo qualsiasi liberale), le difese della riservatezza della funzione giurisdizionale sono condizione essenziale di indipendenza e imparzialità della giustizia».

73 Per un articolato affresco in argomento, cfr. la relazione predisposta dal SERVICIO DE ESTUDIOS, BIBLIOTECA Y DOCUMENTACIÓN DEL TRIBUNAL CONSTITUCIONAL, Modelos de renovación personal

de Tribunales constitucionales, in Rev. Esp. Der. Const., 61, 2001, 209-237, a proposito del

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In questo senso, si tenga presente che il dibattito oscilla tra modalità teorico-formali di elezione ed “interpretazione” nell’applicazione delle stesse in capo agli

organi elettori74.

Da un lato, infatti, si è sostenuto il rischio di una “perversione” politica dell’organo istituzionale e dei suoi componenti, laddove questo istituto potrebbe essere utilizzato – per eterogenesi dei fini – quale strumento per disegnare una pericolosa equazione Giudice-opinione dissenziente-partito, politicizzando “dall’esterno” qualsiasi voto del Tribunal Constitucional e dei suoi membri e trasformando il voto particular nello strumento il quale (pretendere di) cogliere supposte sintonie e distonie tra ideologie politiche e indirizzi della giurisprudenza

costituzionale75.

Dall’altro, questa conseguenza andrebbe a riverberarsi sulla stessa motivazione della sentenza che, assorbita da un (supposto) scontro ideologico tra Magistrati culminato con vincitori e vinti, finirebbe per trasformarsi in una soluzione politicamente schierata, vale a dire nella traduzione giuridica di una volontà partitica “filtrata” attraverso il velo giurisdizionale della sentenza.

Detti esiti, peraltro, difficilmente potrebbero essere elusi, stante il sottile crinale che distingue la politicità “funzionale” delle decisioni del Giudice

costituzionale76 – incidendo, queste, di necessità sull’attività del Legislatore e del

74 Sul punto, J.A. SANTAMARÍA PASTOR, in AA.VV., Encuesta sobre la renovación del Tribunal

Constitucional, in Teoría y Realidad Constitucional, 28, 2010, 45, allude alla necessità di avviare

una «reflexión colectiva en profundidad acerca de la duración deseable del mandato de los miembros del Tribunal, de la edad mínima para acceder al cargo y de la prohibición de ostentar cargos electos o altos cargos en sentido técnico durante un prolongado período posterior a su cese como Magistrados».

75 Significative in proposito – pur se riferite all’esperienza italiana – le parole di A. SANDULLI,

L’indipendenza della Corte, in G. MARANINI (a cura di), La giustizia costituzionale, Firenze, Vallecchi, 1966, 215, nota 5, il quale affermava che una loro sottoscrizione personale «conducendo all’identificazione delle posizioni prese dai singoli giudici, in un paese in cui le ideologie politiche, e le forze che le sostengono, sono profondamente divise e radicate, potrebbe eventualmente risolversi in un indebolimento della garanzia di indipendenza», a maggior ragione «[…] quando l’estrazione dei giudici, o di una parte di essi, abbia carattere politico».

76 G. MARANINI, La posizione della Corte e dell’autorità giudiziaria in confronto all’indirizzo politico di regime (o costituzionale) e all’indirizzo politico di maggioranza, in ID. (a cura di), La

giustizia costituzionale, cit., 138 lo afferma chiaramente quando ricorda che «la costituzione è quella

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potere Esecutivo – dal confronto politico ed ideologico interistituzionale e tra forze

partitiche77. In questo senso, il rischio di trasferire lo scontro tra ideologie (o, cosa

ben più grave, tra partiti) all’interno delle decisioni giurisdizionali sarebbe estremamente dannoso per la natura della sentenza, fondata sulla sola norma di

diritto e non orientata da pregiudizi o possibili ricadute politiche78.

Viceversa, per i suoi sostenitori la previsione dell’opinione dissenziente rappresenterebbe un vero e proprio antidoto al rischio della politicizzazione dei giudici. Infatti, nel momento in cui si mettono sul tavolo del controllo pubblico le diverse interpretazioni, anche il magistrato più schierato politicamente sarà costretto ad uscire dall’ombra rassicurante della segretezza del voto per rivelare, in

termini strettamente giuridici, le ragioni del suo dissenso79.

In tal modo, si scoraggerebbe il rischio di «pressioni occulte da parte dei diversi centri di potere politico ed economico: nel momento in cui i comportamenti

di politica costituzionale […]; indirizzo politico [del quale] le camere e il governo sono costretti a tener conto anche preventivamente».

77 Nelle parole di G. ROLLA, Indirizzo politico, cit., 328, «tanto è il tasso di politicità insito nella giurisdizione costituzionale che l’emergere di conflitti interistituzionali rappresenta un fenomeno non inusuale». Sul tema anche A. GARRORENA MORALES, La sentencia constitucional, in Revista de Derecho Político, 11, 1981, 20, secondo cui «es también inevitablemente evidente que [el voto

particular] politiza algo las actitudes de los jueces, lo cual – por lo demás – sólo es grave si éstos no aciertan a ejercer un cierto self-restraint sobre la tentadora espectacularidad que puedan comportar las connotaciones políticas de su disentimiento». Da ultimo, cfr. G. ZAGREBELSKY, Principî e voti. La Corte costituzionale e la politica, Torino, Einaudi, 2005, 39: «la Corte costituzionale è dentro la

politica, anzi ne è uno dei fattori decisivi, se per politica si intende l’attività finalizzata alla convivenza. La Corte è non-politica, se per politica si intende competizione tra parti per l’assunzione e gestione del potere».

78 F.J. EZQUIAGA GANUZAS, El voto particular, cit., 82-83. Si vedano, sul punto, S. PANIZZA,

L’introduzione dell’opinione dissenziente, cit., 81, il quale ricorda come «le forze politiche, poi,

finirebbero presumibilmente per appropriarsi in maniera strumentale delle soluzioni interpretative contenute nelle varie opinioni dissenzienti, inducendo arbitrariamente a confondere e a fraintendere quella che è la particolare politicità delle funzioni del giudice costituzionale», nonché S. RODOTÀ,

La Corte, la politica e l’organizzazione sociale, in P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI (a cura di), Corte

costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, Il Mulino, 1982, 489 ss..

79 Cfr. V. CRISAFULLI, Intervento, in G. MARANINI, La giustizia costituzionale, cit., 384, il quale parlava dell’esigenza di «dover motivare giuridicamente, decantando in questo sforzo argomentativo quelli che possono essere originariamente motivi ideologici, preferenze politiche, e via dicendo. Ed ecco, se così stanno le cose, l’utilità dell’istituto del dissent, che permetterebbe, probabilmente, ad ogni giudice di mettere in pace la propria coscienza di cittadino e di giurista, e alla maggioranza favorevole ad una certa decisione di motivare con maggior rigore logico la soluzione accolta».

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decisionali divengono espliciti, le regole del gioco operano – per così dire – alla

luce del sole»80, risultandone favorita la massima trasparenza decisionale81.

Sul punto, è stata operata una tripartizione tra opinioni politiche del giudice,

ricadute politiche della sentenza e dipendenza politico-partitica del giudice82. Sia

qui sufficiente dire che il primo profilo viene “smascherato” dalle motivazioni (maggioritarie o meno) adottate, mentre il secondo è una conseguenza ineludibile della particolare funzione della giustizia costituzionale. Al contrario, sull’ultimo aspetto il legislatore potrebbe incidere attraverso previsioni più o meno restrittive in ordine all’accesso alla Corte ed alle attività pubbliche esercitabili dai giudici una volta cessato il mandato.

In ogni caso, la necessità del contemperamento tra le opposte tensioni della “pura” valutazione giurisdizionale e del sindacato politico non può essere risolta da un’imposizione formale di carattere normativo, essendo piuttosto sfuggente e rimessa soprattutto ad una «práctica del self restraint, entendido no como judicial

restraint únicamente, sino también como autolimitación del Parlamento respecto a

todo aquello que pueda menoscabar la esfera de autonomía constitucionalmente garantizada al Tribunal Constitucional. El recurso a las normas de correttezza constitucional puede evitar los posibles conflictos que han de surgir en las

relaciones de estos órganos constitucionales»83.

80 G. ROLLA, Indirizzo politico, cit., 140.

81 Si veda, tuttavia, la riflessione di M. SICLARI, Il Presidente della Corte costituzionale, in A. ANZON, G. AZZARITI, M. LUCIANI (a cura di), La composizione della Corte costituzionale. Situazione

italiana ed esperienze straniere. Atti del Seminario di Roma del 14 marzo 2003, Torino,

Giappichelli, 2004, 172: «Sulla biunivocità trasparenza-indipendenza, tuttavia, si potrebbe pure dissentire, considerando che una maggiore trasparenza ben potrebbe essere strumentalizzata per ribadire la contiguità, se non l’appartenenza, ad una data area politica e quindi proprio al fine opposto alla tutela della indipendenza dei giudici costituzionali (e dei presidenti della Corte). Ma d’altronde si sa che l’analisi costi benefici dell’introduzione dell’opinione dissenziente è un gioco a somma zero».

82 G. TRUJILLO, Juicio de legitimidad e interpretación constitucional, cit., 156.

83 P. LUCAS MURILLO DE LA CUEVA, El examen de la constitucionalidad de las leyes y la soberanía

parlamentaria, in Revista de Estudios políticos, 7, 1979, 225. Si veda anche R. POUND, Cacoethes Dissentiendi: The Heated Judicial Dissent, in 39 ABA J. 794 (1953), 796, per il quale «to justify an

elaborate dissenting opinion the question of law should be one of at least considerable importance. To justify a denunciatory dissenting opinion, if denunciation of his colleagues by a judge can be justified at all, the question of law should be one of exceptional importance and the errors pointed out should be of the gravest nature».

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Inoltre, si tenga presente il rapporto tra durata del mandato dei Giudici

costituzionali e principio di indipendenza84. In questo senso, l’idea di fondo che

anima i timori di una possibile politicizzazione sembra proiettarsi anche sulla attività che i giudici potranno eventualmente esercitare una volta esaurito il loro mandato e che potrebbero essere il frutto di una loro fedele adesione ideologica

durante il mandato giurisdizionale85.

Ciononostante, è doveroso considerare alcuni profili di esperienze concrete. In tale direzione, ad esempio, la previsione costituzionale (art. III, §1) di una carica

vitalizia in capo ai giudici della Corte Suprema statunitense86 tronca in radice l’idea

che l’esercizio delle funzioni giudicanti possa essere svolto per l’ottenimento di successive ricompense, tramite cariche pubbliche o il conferimento di ruoli

politicamente connotati a titolo di ricompensa per le decisioni assunte87.

Allo stesso modo, la medesima ratio pare leggersi nella previsione di durate “flessibili ma rigide” delle citate funzioni, a volte prive di un’estensione standard eppure vincolate al raggiungimento dell’età pensionabile, che ben potrebbe essere concepita come la soglia anagrafica di ritiro ideale da qualsiasi attività

84 In argomento, ne sottolinea l’importanza A. MANGIA, La durata del mandato dei giudici costituzionali, in A. ANZON, G. AZZARITI, M. LUCIANI, La composizione della Corte costituzionale, cit., 111 ss., il quale correttamente evoca il ruolo secondario del citato profilo nel dibattito generale, «ritenendosi i problemi attinenti la composizione del collegio e la provenienza dei componenti il collegio medesimo di importanza preminente, rispetto a qualunque altro profilo inerente l’organizzazione della Corte».

85 Cfr. J. SANTAMARÍA PASTOR, in AA.VV., Encuesta sobre la renovación del Tribunal

Constitucional, cit., 45.

86 In realtà, secondo M.J. MAZZA, A New Look at an Old Debate: Life Tenure and the Article III Judge, in 39 Gonzaga Law Rev. 131 (2003-2004), 135, «the Constitution does not explicitly state

that Article III judges serve for life. Lifetime tenure is implied in the provision that ‘The Judges, both of the Supreme and inferior Courts, shall hold their Offices during good Behaviour’». Sul punto, cfr. A. HAMILTON, Paper No. 78, in G.W. CAREY, J. MCCLELLAN (a cura di), The Federalist, Indianapolis, 2001, 403.

87 Una ricostruzione fortemente critica sul mandato perpetuo dei Giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti in S.G. CALABRESI, J. LINDGREN, Term limits for the Supreme Court: life tenure reconsidered, in 29 Harv. J. Law & Pub. Pol’y 769 (2006), 769-877. Sul modo in cui la durata di tale mandato può incidere sulle posizioni assunte dai singoli giudici, si veda, nella stessa Rivista, W. FANSWORTH, The ideological stakes of eliminating life tenure, 884, nonché L. OLIVIERI, Questioni di status e «politicizzazione» della Corte costituzionale, in A. ANZON, G. AZZARITI, M. LUCIANI (a cura di), La composizione della Corte costituzionale, cit., 212.

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istituzionale. È il caso degli ordinamenti austriaco, belga e turco, che unicamente impongono un’età prestabilita di cessazione dalla carica.

Menzione speciale merita poi l’ordinamento tedesco, che prevede una soluzione ibrida, in forza della quale i Giudici costituzionali rimangono in carica per un mandato formale di dodici anni, fermo restando che la permanenza presso la

Corte cessa automaticamente al compimento del sessantottesimo anno d’età88.

Evidentemente, però, una conseguenza di detto genere può essere rimessa solo al self restraint del singolo Giudice e alla percezione etico-morale che egli possa avere dell’opportunità di continuare a calcare ancora la scena pubblica.

Da ultimo, in relazione alle esigenze (impalpabili) di riserbo ed eccesso di protagonismo da parte dei singoli giudici dissenzienti, ancora una volta ci si trova di fronte alla difficoltà di “ingabbiare” tale rischio entro un reticolato normativo: da un lato il rimedio della non-previsione pare eccessivo rispetto alle possibili ricadute negative; dall’altro, il vero protagonismo soggettivo risiede nel contenuto del dissenso e non ex se in chi lo esprime.

In questo senso, allora, il giudice dissenziente assume una sorta di “centralità pubblica” direttamente proporzionale alla “qualità” e persuasività delle sue opinioni di minoranza, come ben dimostrato dall’esperienza della Corte Suprema degli Stati Uniti.

Pertanto, i citati timori contro il dissent non sembrano trovare una conferma in precedenti esperienze storiche, bensì riposano su possibili distorsioni che potrebbero verificarsi in futuro e che, comunque, andrebbero vagliate attraverso un giudizio diagnostico che tenga conto degli scenari effettivi dei contesti di

riferimento89.

88 Cfr. BVerfGG, §4(1) e (2).

89 Riprendendo W. FANSWORTH, The ideological stakes, cit., 879-880, è quindi necessario

distinguere tra un approccio non-ideologico alla questione («things that people with different political priors nevertheless can agree about») ed uno invece ideologicamente connotato («the ideological arguments for abolishing life tenure are different; they involve the Court’s role in public life»).

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2.4. Il dissenso formalizzato, i riflessi sulla soluzione contingente ed i (possibili)

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