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5.7. Los oficiales y El destino de Cordelia (2009) : una storia di gesti minim
Il volume pubblicato da Loriga raccoglie due racconti, o meglio, due nou-
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muovendo la sua scrittura. Se in YSHDA ci si trovava di fronte a un avveni-
mento minimo, ad atmosfere rarefatte e si aveva a che fare con una prosa lenta, contraddistinta da un incedere capriccioso e a tratti lirico, tra le pagine di questo libriccino, quell’approccio raggiunge il parossismo.
In LO si narra la vicenda di un anonimo ufficiale di un esercito qualsiasi
che prende parte a una guerra senza nome e nemmeno il tempo dell’azione viene specificato, sebbene vi siano alcuni elementi che facciano pensare a un’epoca passata74. Tra le vaghe coordinate della cornice, l’ufficiale protagoni- sta viene esaminato da una voce in terza persona, un narratore extradiegetico – come accadeva a Sebastián –, e da uomo di azione75 si trasforma in pensiero e immagini. L’incidente che scatena l’inquietudine del militare è insignifi- cante: un soldato, durante un’improvvisata rappresentazione teatrale, imita un suo tic e ciò introduce il tema del doppio che riemergerà più volte nel racconto (Loriga 2009: 29, 36). Il vedersi specchiato in un gesto, getta l’uffi- ciale nello sconforto di sapersi non più unico e da questo senso di irrilevanza prende le mosse il tarlo dell’indolenza che lo dota di una visione distaccata della vita e gli rode l’animo, avvicinandolo a Sebastián76. Neppure l’amore della moglie può riscattarlo dal grigiore della sua esistenza, dal suo agire per inerzia, ripetendo le stesse azioni giorno dopo giorno, riducendosi anch’egli a un eterno doppio di sé (53). La vicenda si chiude con la morte del soldato ‘attore’, la fine della guerra e il ritorno a casa dell’ufficiale, il quale, con un atto di ribellione da poco, prova a sfidare le ragnatele del buon senso che avvilup- pano i comportamenti umani: si toglie il cappello e lo getta senza motivo in un fiume, covando la segreta speranza che quel gesto illogico sia solo suo e riesca a liberarlo dalla sgradevole sensazione di vivere una vita insignificante fatta di ritorni77.
Per narrare questa storia minima Loriga si appropria del frammentari- smo e dell’asciuttezza lirica propri della scrittura di Marguerite Duras, cui fa eco un punto di malinconia accentuato dalla brevità e dalla durezza realista della frase che ricordano i testi di alcuni scrittori di lingua tedesca come Joseph roth. L’occhio che guarda l’accadere delle cose è contraddistinto da una sensibilità cubista che spezza le linee narrative e temporali – come in
74 «de no haber sido por su coraje hubiese pasado por un cobarde entre las lanzas enemigas.
[…] Su miedo estaba muy escondido, y tal vez por eso nadie vio temblar su sable. Sus guantes cubrían el temor de sus manos.» (Loriga 2009: 36).
75 «Su tarea es la batalla, la defensa, el orden. La acción y no la razón es su empresa.» (Loriga
2009: 35).
76 «De vuelta a la cantina nadie le hace reír, no hay canción que le obligue a una felicidad
fingida, no hay cerveza que le calme, no hay amigo que le abrace.» (Loriga 2009: 33). «No tiene nada que hacer, nuestro oficial, ni ha hecho nada.» (57).
77 «Tal vez al joven soldado que con tanta elegancia le imitaba se le escape este gesto. Tal vez,
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CDC –, sovrappone piani e riorganizza il discorso in paragrafi che possie- dono la precisione e la spigolosità di forme geometriche incastrate fra loro. Non esistono capitoli e il racconto è un mosaico composto da spezzoni di prosa poetica che raramente superano la lunghezza di una pagina e che, in alcuni casi, si riducono a una manciata di righe:
La guerra ha terminado, es un hecho.
El vino dice mentiras, hay abrazos y canciones, y hasta besos, los camaradas perdidos acuden a la fiesta sin miedo, también es suya la victoria.
Los pies por fin libres de las pesadas botas. Las armas en el suelo, olvidadas. (Loriga 2009: 37)
Per quanto riguarda la costruzione dei lacerti poetici, questa risponde a una
mise en abîme della macrostruttura del libro, ovvero si è di fronte a paragrafi
composti da periodi essenziali che paiono giustapposti e saldati tra loro da un sottile filo logico-lirico o psicologico-associativo e spesso separati da uno spazio bianco – espediente appreso da Marguerite Duras –, da una sospen- sione che vorrebbe essere al contempo fisica e mentale, una pausa necessa- ria per colmare i vuoti aperti dal non detto.
Se la struttura e il tono dell’opera chiamano in causa altri autori, non vengono meno però tratti caratteristici della penna di Loriga. Il lirismo pre- sente nel testo è spontaneo, in bilico tra immagine convenzionale ed estrosa intuizione, viene recitato quasi a mezza voce e introdotto con timidezza fra le righe78. In certi passaggi la poeticità ricorda da vicino l’incedere della canzone, con versi rapidi e malinconici che propongono fughe concettuali segnate dalla perentorietà delle affermazioni79. In altri, sebbene più rara- mente, sembra essere la greguería a prendere il sopravvento. Dall’ambito musicale e poetico deriva anche l’uso di anafore che scandiscono ritmica- mente i brani80. Non può infine mancare il connubio tra realtà e scrittura,
78 «Para sus madres sólo un recuerdo, porque duermen cerca de camas vacías que guardan
niños que están muy lejos y por esos favores siempre hay que dar las gracias con un beso en la frente.» (Loriga 2009: 13). «En ciertos bares nunca han estado estos oficiales y, sin embargo, allí se les recuerda. Por algunas calles no han pasado, ni siquiera en esas noches sin luna que tienen la delicadeza de proteger todos los secretos. algunos besos según ellos no los han dado nunca.» (18).
79 «El frío no se imagina, el dolor no se intuye, nada se comparte en realidad. El que murió
por nosotros murió por nada. No hay más que una condición./Imaginar muchos es jugar a no sabernos solos./Las cruces no dicen he vivido. Los dioses tienen nombres que recordamos, no le pidamos a los dioses el mismo cuidado./Se puede morir sin haber sido./Los dioses y los niños lo saben.» (Loriga 2009: 23).
80 «allí estaba el oficial, entre oficiales, y desde allí miraba entre soldados./allí conoció al
bufón que le imitaba./allí se reconoció./allí se enamoró del joven soldado que imitaba sus gestos./allí se puso por fin un nombre que escondió entre los pliegues de su camisa. Debajo
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che prende forma sia nelle scelte stilistiche sia nelle riflessioni metalette- rarie. Un buon esempio di quanto affermato è offerto dalle similitudini e dalle metafore impiegate per descrivere una situazione, psicologica o ma- teriale, che, come sempre in Loriga, trovano il loro correlativo in immagini molto concrete che fungono da supporto per ciò che si vuole esprimere81.
LO costituisce un esperimento interessante e coraggioso, seppur ancora una
volta forse troppo affettato; nel testo si avverte la mancanza di freschezza, di contemporaneità82, e l’autore sembra voler saggiare un narrare spinto fino ai propri limiti, costretto a continue evoluzioni tra il trapezio della prosa e quello della poesia.
EDC è un brano fiacco, in cui si respira un’aria che odora di naftalina e cretonne, appesantita dal tono crepuscolare della voce di un narratore auto-
diegetico e da rappresentazioni appena accennate di ambienti decadenti che ricordano Il Gattopardo. Il riferimento al romanzo di Tomasi di Lampedusa non è casuale, poiché l’azione si svolge su un’isola vicina alle coste siciliane, in cui viene abbozzato un tedioso universo nobiliare d’altri tempi. La trama è ridotta al minimo e si appiglia alle riflessioni di chi narra, le quali hanno per oggetto un viaggio in Sicilia e la figura di Cordelia, una presenza fanto- matica evocata ma mai al centro dell’azione. Come in YSHDA, si è di fronte a una storia d’amore dai colori spenti, ambigua, sebbene qui il protagoni- sta paia più risoluto e si senta superiore ai suoi rivali (Loriga 2009: 69). Il sentimento amoroso viene analizzato da un’altra prospettiva, sempre deter- minata però da una malinconia o indifferenza che distanzia il soggetto dal mondo. Il confronto con l’altro sesso non è motivo di inibizione, ma si tra- sforma in una paziente partita a scacchi, le cui mosse vengono dettate dalla curiosità, dal fascino e da una precisa volontà di sedurre83. Se confrontata con quella di LO, la prosa di EDC risulta meno frammentaria poiché tessuta
con l’ago di un monologo interiore che ricostruisce sequenze e scandaglia
del uniforme.» (Loriga 2009: 14).
81 «Esa noche traía la muerte, como los trenes traen las cargas más pesadas, sin desfallecer
y puntualmente.» (Loriga 2009: 25). «Hay que escribir siempre con un libro cerca, a todas las batallas hay que acudir al menos con un compañero.» (32).
82«Sí, las dos narraciones [Los oficiales y El destino de Cordelia] tienen un trasfondo de ro-
manticismo, supongo que proviene de haber estado leyendo desde hace tiempo a escritores románticos, sobre todo alemanes. asumir esa influencia y querer formar parte de ella es como volver hacia atrás en el tiempo y en la literatura.» (Fuente 2009).
83 «¿Era falso todo su amor? Seguramente. Por qué esa preocupación entonces por señalar
tan minuciosamente la huella del desdén tras todos y cada uno de sus pasos. Por qué ese cui- dado de unas flores que obstinadamente se nos negaban. ¿Por qué, Cordelia, nuestra Cordelia, nos hacías daño, aunque fuera aparentemente sin querer.» (Loriga 2009: 65). «Después del desayuno, me pondré a la tarea de volver a querer a Cordelia. Una tarea sencilla que comien- za con un paseo hasta su casa y que no termina hasta haber sido expulsado de su casa, cada noche.» (70).
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sensazioni, ma l’impressione offerta dall’insieme è quella di una scrittura mesta che solo in rare occasioni si lascia prendere la mano dall’afflato poeti- co, dal colpo secco dell’aforisma o dalla piroetta della greguería.
La traiettoria di Loriga rimane quindi sospesa a un filo di voce che tenta di improvvisare scale differenti all’interno della dimensione intima dell’es- sere umano, votata a una ricerca costante di nuove soluzioni in grado di assecondare un’ansia esistenziale prima ancora che letteraria.
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JUaN bONILLa
6.1.«soy el cúmulo de escritores que me hubiera gustado ser»
L’opera di Juan bonilla, frutto di un’ibridazione tra l’asprezza della vita e il balsamo della scrittura (Urioste 2009: 74), si situa in una colta via di mezzo tra lo stile spigliato di Loriga e quello barocco di Juan Manuel de Prada. Le sue inquietudini letterarie l’hanno portato a cimentarsi con generi differen- ti, passando dalla concisione del verso alla prolissità del romanzo, matu- rando inoltre la sua prosa e il suo ingegno negli spazi stretti e insidiosi del racconto. Ciò che colpisce in ogni suo scritto è la capacità di scovare il giusto bilanciamento tra una visione personale, deformata dal filtro di molteplici letture, e una versione ‘oggettiva’, ‘reale’, dell’esistenza. La sua prosa impasta il fango della vita e l’acqua dello scrivere nel tentativo di plasmare un cosmo autonomo, in cui ogni libro gravita attorno agli altri e in cui l’autocitazione è la forza che li attrae e li lega fino a erigere una barricata contro il tempo1.
Juan bonilla Gago nasce a Jerez de la Frontera, nel 1966, in seno a una famiglia poco propensa alla lettura (bonilla 2004: 119), eppure, a partire dai quattordici anni, legge tutto ciò che gli capita tra le mani, trascurando le opere imposte dai manuali scolastici e scovando autori che saranno veri e propri capisaldi nella sua formazione di scrittore. In quel periodo inizia a redigere i primi testi, lettere indirizzate a un amore platonico o ad amici, in cui la prosa spesso cede il passo a una poesia acerba. Grazie a questo approccio epistolare, prende corpo in lui la consapevolezza che la scrittura
1 «concibo el escribir no como un refugio ni una evasión, sino una defensa.» (ribas 1995:
39). «Literariamente me gustaría abolir el tiempo. Que me dé exactamente igual que pasado mañana alguien de mi edad, o dentro de cien años, que ya sólo seré cadáver, sienta en algún texto mío que allí había esa llama que alienta un poco la vida. […] Si no tuviera esa ambición seguramente no escribiría.» (40).
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sia, fondamentalmente, un dialogo con chi sta all’altro lato del foglio (122). bonilla continua i suoi studi a Siviglia e, una volta presa la decisione di intraprendere la strada del giornalismo, si trasferisce a barcellona dove si laurea e apprende i rudimenti del mestiere. Conclusa quest’esperienza, ri- torna nella città natale e inizia a collaborare con «El Diario de Jerez» arri- vando ben presto a dirigere il supplemento culturale della testata, «Citas». Dal 1992 collaborerà invece con «El Correo de andalucía» e in seguito, ol- tre ad avere a che fare con i trabocchetti della parola scritta, si confronterà con la sveltezza dell’oralità lavorando in radio. Lo scrittore gaditano non abbandona mai la scrittura personale e il suo costante lavorio inizia a dare i primi frutti: nel 1992 riceve il premio Luis Cernuda de Poesía e nel 1993 dà alle stampe Veinticinco años de éxitos (Sevilla, La Carbonería) (VADE)2, una miscellanea di articoli redatti per «El Correo de andalucía», e Minifundios (Sevilla, Qüàsyeditorial) (M), una raccolta di racconti. In quello stesso anno, un suo nuovo libro, El que apaga la luz (EQAL), viene premiato dal quotidia- no argentino «La Nación» e la casa editrice Pre-Textos decide di pubblicarlo. Il successo di critica e di pubblico è unanime. Le dodici storie che compon- gono il libriccino sbocciano sotto l’occhio sornione di Calvino e la pupilla cieca di borges (rodríguez 1999). In questo gioco di influenze non manca lo sguardo spiritato di Kafka perché, se da un lato bonilla ripropone una concezione labirintica del tempo e una confusione tra letteratura e realtà in cui la prima determina la seconda – seguendo il filo dipanato da borges –, o decide di adottare un atteggiamento più scherzoso percorrendo i sentieri battuti da Calvino; dall’altro mette in moto quell’implacabile strumento di tortura che nell’universo kafkiano è oliato da un’angustia incapace di trova- re requie. La raccolta è inoltre valida anche a livello stilistico: bonilla utilizza una prosa elevata, letteraria ma versatile, in grado sia di tessere paragrafi in- tensi, ornati da trovate ingegnose o poetiche, sia di ritrarre in maniera bru- tale gli aspetti materiali dell’esistenza. Sempre nell’ambito delle evoluzioni circensi della lingua, è possibile ravvisare in un’affermazione dello scritto- re una tendenza comune tra i narratori degli anni ’90. bonilla (1996c: 8), nell’articolo Cada cual por su cuenta, analizzando alcune opere di coetanei, sostiene, a proposito del loro modo di scrivere, che «cada vez uno localiza al- gún hallazgo ingenioso, algún chispazo lírico muy típico de las canciones de Joaquín Sabina o Tom Waits». Il giudizio possiede un’inflessione sibillina e non è possibile stabilire con certezza se si tratti di una critica velata o di un timido apprezzamento, ciò che invece pare irrefutabile è che anche l’autore di EQAL subisce il fascino del giro di frase inaspettato, teso a strappare un
2 Nel presente capitolo i libri di bonilla saranno abbreviati secondo le sigle che compaiono
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