4. la ‘cultura x’: scrivere tra pop e tradizione
4.3. TV , presentismo e individualismo: ritratto del giovane narratore
La televisione, tra le varie influenze extraletterarie, non poteva mancare all’appello e forse è qui dove radica il punto di rottura tra gli autori emersi dai mulinelli della ‘Cultura x’ e chi li ha preceduti. Loriga sembra avere le idee chiare riguardo al perché la prosa della maggior parte degli scrittori spagnoli appaia anchilosata agli occhi di un giovane lettore: «No se puede escribir igual desde que se inventó la televisión. El arte sólo existe para que un individuo concreto arranque emociones reales. […] Mi generación con- vive con referencias culturales más globales» (altares 1993). Per chi è nato tra gli anni ’60 e ’70 il televisore è un filtro imprescindibile nel contatto con il mondo e nella maggior parte dei casi ha rimpiazzato la parola scritta (Gullón 1998: xII). Non solo ha contribuito alla formazione di un linguaggio proprio che viene riproposto in alcuni romanzi (Navarro Martínez 2008: 131), ma offre informazioni in presa diretta e sembra in grado di creare realtà più ‘vere’, più avvolgenti, rispetto alla scrittura (Navajas 2002: 38-39).
Il tubo catodico si trasforma quindi in propulsore di un’iperrealtà che porta a confondere vita reale, fantasia e manipolazione (Moreiras Menor
2002: 202-203). Il meticciato tra informazione e finzione però, è alla base an- che dell’attività letteraria: ecco che questi autori, di fronte alla pagina, sanno di dover plasmare ‘un mondo credibile’ e siccome per loro la credibilità vie- ne conferita dalla televisione ricorrono a riferimenti audiovisivi. Loriga offre ancora un’analisi significativa:
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No podemos juzgar las imágenes, sólo podemos verlas. Gente que se muere y gente que no. brochas que manchan y brochas que no. Un aparato para andar sin moverse del sitio. […] Todo es real en la televisión, pero todo es distinto. a la televisión perte- necen las cosas que no pueden salir de ella. […] Son los pasos que no te mueven del sitio los que hacen de sus imágenes un plano de existencia paralelo. (Loriga 1994: 48-49)
L’incapacità, o la non-necessità, di muoversi e la consapevolezza che le im- magini non possono uscire dalla scatola del televisore stordiscono la co- scienza: l’occhio diventa telecamera e non giudica più in base a convinzioni morali interne, bensì obbedendo a schemi di comportamento esterni.
a questo atteggiamento contribuisce inoltre la saturazione visiva a cui si è sottoposti (Navarro Martínez 2008: 122). Non si tratta però solo di un’indifferenza ‘orizzontale’, che riguarda i fatti del giorno, ma vi è una de- riva verso un’insensibilità storica poiché la televisione è per eccellenza il mezzo dell’hic et nunc16. Si cancella così qualsiasi forma di archiviazione ordinata di informazioni, non vi è un progressivo accumulo, ma solo un rapido susseguirsi: sorge quella che Moreiras Menor (2002: 208-209) defi- nisce la «estética del vídeo-clip». Questa estetica, oltre a doversi sommare all’influenza del cinema nell’atomizzazione delle narrazioni degli autori che si muovono all’interno della ‘Cultura x’, servirebbe a spiegare l’abulia storica dei loro testi di esordio17. al rifiuto nei confronti del passato va ag- giunta l’imperscrutabilità di un futuro che, come si è visto, appare svuotato d’ogni speranza dalla discutibile gestione politica dello Stato. Non sorprende quindi che in questi scritti vi sia una frenetica celebrazione del presente che si configura come l’unico tempo narrativo ancora dotato di un senso (Navajas 2007: 6).
Un contatto così mimetico e diretto con la realtà però porta con sé alcune insidie, tra le quali spiccano una difficile ricezione critica e la caducità delle situazioni descritte. Nel primo caso, come segnala Gullón (1999: 15), si può andare incontro a incomprensioni poiché, trattandosi di una materia viva, non si sono ancora stabiliti parametri interpretativi comuni e si potrebbero
16 «la cultura oral/visual carece de archivo y crea su mundo, virtualmente ab nihilo, sin in-
terés en el pasado porque considera que el archivo civilizador es antinómico con la linealidad inmediata de la imagen y el sonido en contra de los meandros indirectos y morosos del signo escrito.» (Navajas 2002: 92).
17 Vi è poi un discorso legato alla stanchezza riconducibile al modello di società che dà
vita a questo tipo di comunicazione ipertrofica: «La distorsione sociale delle ineguaglianze si aggiunge alla distorsione interna fra bisogni e aspirazioni per fare di questa società una socie- tà sempre irriconciliata, disintegrata, in continuo ‘malessere’. La stanchezza (o ‘astenia’) sarà allora interpretata come risposta, sotto la forma di rifiuto passivo, dell’uomo moderno a queste condizioni di esistenza.» (baudrillard 2010: 222).
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toccare nervi scoperti che innescano reazioni di rifiuto o condanna. riguar- do invece al presente come unica cifra di un’opera, è lecito domandarsi se questa sopravvivrà al trascorrere degli anni (acín 2005: 14), oppure se le fi- gure evocate e i riferimenti extratestuali si ridurranno a mera archeologia sentimentale (Gullón 1996: 32).
La tendenza a scrollarsi di dosso il peso oppressivo del passato non è una prerogativa della narrativa degli anni ’90, dal momento che già dalla seconda metà del decennio precedente si era utilizzato il termine ‘light’ per indicare una letteratura d’evasione, incline alla contaminazione da parte del roman- zo commerciale anglosassone, con un conseguente rifiuto di un costumbri-
smo di chiara matrice spagnola – questa che sembra essere una differenza
grossolana fra autori degli anni ’80 e ’90 si rivela invece un motivo d’affinità, perché il realismo degli scrittori legati alla ‘Cultura x’ rifugge il folclorismo iberico e fissa sulla pagine le crude vicende di una gioventù globalizzata –18. Nel corso degli anni però si è assistito a un affannoso recupero della memo- ria collettiva, come dimostrano Enterrar a los muertos (2005), Dientes de leche
(2008) di Ignacio Martínez de Pisón e l’antologia di racconti sulla guerra civile da lui curata, Partes de guerra (2009), oppure il testo Las trece rosas
(2003) di Jesús Ferrero. anche qui è possibile creare un gioco di specchi con i giovani narratori degli anni ’90: si è già citato l’esempio di Loriga con Tokio
ya no nos quiere, in cui lo scrittore affronta il tema della memoria indivi-
duale, e si potrebbe aggiungere il romanzo Mala gente que camina (2006) di benjamín Prado, una denuncia delle efferatezze commesse dal franchismo nei confronti delle militanti comuniste incinte nell’immediato dopoguerra. Si potrebbero menzionare poi Las esquinas del aire (2000) ed El séptimo velo
(2007) di Prada, il quale ha inoltre rivelato l’intenzione di scrivere un roman- zo sulla guerra civile spagnola (Morán 2007). La memoria sembra dunque obbedire più all’età di chi scrive che ai proclami letterari: lo scorrere del tem- po obbliga a bilanci e a un’opera di dissodamento storico per comprendere le proprie radici, per ricostruire la propria figura di uomo e intellettuale che altrimenti risulterebbe deficitaria, condizionata da un ‘peterpanismo’ che imporrebbe alla prosa una coazione a ripetere senza sbocchi.
18 «a mediados de la década de los ochenta […] comenzó a extenderse una idea entre amplios
sectores de la crítica: no sólo había que eludir, se afirmaba, la memoria colectiva, sino que había que desestimar casi toda la narrativa española precedente. […] En junio de 1986 en una conocida revista literaria, aparecía una suerte de mesa redonda con algo de declaración funda- cional de la nueva narrativa en la que participaban Martínez de Pisón, Jesús Ferrero, Mercedes abad, alejandro Gándara, Julio Llamazares y Pedro Molina Temboury. Las ideas en que basa- ban su radicalidad innovadora eran, en lo esencial, las siguientes: ignorar la historia española (Martínez de Pisón); rechazar el realismo, sobre todo el realismo ‘autárquico’ (Ferrero); afirmar la inexistencia de una novela que se preciara de tal nombre en España (todos); reclamar ma- gisterios en la literatura anglosajona y calificar la narrativa precedente, con la excepción de la obra de Juan benet, de costumbrismo (Gándara).» (rico 1994: 67-68).
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In piena auge della ‘Cultura x’ questa virata appariva però un porto im- possibile da distinguere all’orizzonte, perciò si continuava a insistere su un presente destoricizzato e l’amnesia collettiva si trasformava in un individua- lismo estremo. I protagonisti e, in un certo qual modo, gli autori stessi19 del- le narrazioni x seguono il sottile filo che abbiamo tracciato e dall’asepsi te- levisiva scivolano verso un presentismo che trova nell’individuo la sua cifra, adattandosi al modello postmoderno20. Pozuelo Yvancos (2004: 50) coglie l’essenza di questo neo-esistenzialismo nel «carácter vitalista sentimental mucho más que indagatorio» e in effetti non si può fare a meno di notare che il tratto distintivo dei personaggi è il movimento e non la speculazione intellettiva. Persino quando ci si trova di fronte al caleidoscopio psichico di
Héroes è evidente che i sogni o le allucinazioni non sono spire introspettive
bensì azioni, sebbene il più delle volte surreali. Un’eccezione a questo ap- proccio è la prosa spiraliforme di belén Gopegui, capace di sezionare l’ani- mo umano con il bisturi paziente della sua penna21.
La realtà narrata appare oggettiva, fotografata da una prospettiva stranie- ra e straniante, uno sguardo polaroid (Moreiras Menor 2002: 213), ma non va dimenticato che dietro la macchina fotografica c’è una testa che seleziona l’inquadratura e la luce. Da questa consapevolezza sorgono gli espedienti letterari adottati dagli autori appartenenti alla ‘Cultura x’, tecniche che la- sciano l’individuo in balia della solitudine: i protagonisti si consumano in vuoti monologhi o in altrettanto vacui dialoghi con personaggi secondari che sono percepiti come ‘altri’, soggetti-oggetti distanti per cui è impossi- bile provare empatia. Gli esseri di carta che popolano questi testi, a causa dell’assenza di descrizioni fisiche o psicologiche dettagliate risultano ridotti all’osso, sono, utilizzando quasi un ossimoro, coscienza in azione. Secon- do Navajas (2007: 11) si consuma in questo modo la dissoluzione dell’‘io’: i contorni degli attori che intervengono nel racconto sfumano e divengono
19 «frente a la carencia de una estética dominante, teniendo a su alcance la totalidad de la
tradición literaria y a falta de un arraigo ideológico definido, el escritor opta por asentar su fun- damento referencial en el patrón individual. […] Se parte del criterio personal para reflexionar sobre lo universal.» (Montetes Mairal 1999: 17).
20 «Una literatura de lo privado, de lo íntimo está ocupando el centro dominante hoy. […]
Creo empero que hay un cambio de acento y de significado en la introspección posmoderna. Hay un nuevo uso, en este caso existencial, del perspectivismo psicológico en narrativa frente al psicologismo del modernismo. Y ese neo-existencialismo tiene un carácter vitalista senti- mental mucho más que indagatorio de regiones de la imaginación psicológica. Muestra al yo mostrándose, diciéndose, no en términos de su racionalidad sino en los de su testimonio de existencia, como individuo concreto que explica su circunstancia, sin pretender hacerla exten- siva, sino mostrarse en cualquier caso como ejemplo de lo que le puede suceder a un individuo cualquiera en una situación parecida.» (Pozuelo Yvancos 2004: 50).
21 Nina Molinaro offre una lucida visione di quest’atteggiamento in un articolo in cui analiz-
za i due estremi del rapporto tra ‘io’ e ‘altro’ rappresentati da Gopegui e Mañas: vid. Molinaro
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modelli schematici da porre in scena. Se ci si sofferma su questi romanzi è evidente una frammentazione del personaggio, ma non si giunge a una «dissolution of the self» (Ibidem), anzi si è di fronte a un procedimento di segno contrario, all’esaltazione dell’‘io’: ciò che si dissolve è l’‘altro’, perché chi narra lo fa da un punto di vista personale e la mancanza di onniscienza costringe a descrivere solo la scorza del reale, mentre invita a lasciare in sospeso qualsiasi indagine psicologica. Quel che si acutizza è dunque il rela- tivismo prospettico. Nelle narrazioni di questi scrittori prevale la voce della prima persona, un ‘io’ che è affermazione di sé e ammissione dei propri limiti ermeneutici (Martínez Navarro 2008: 66).
L’ossessiva presenza del pronome ‘yo’ non solo definisce l’atteggiamento del protagonista-narratore, ma anche le coordinate in cui dev’essere colloca- to all’interno della società. Spesso si tratta di un giovane che si scontra con una vita che gli va stretta e chi narra alza una barriera tra ‘io’ – o il ‘noi’, nel caso si rifugi in un gruppo – e ‘loro’, dove per ‘loro’ si intendono gli adulti e chiunque sia integrato nel Sistema (214). La celebrazione di un ‘io’ adole- scenziale possiede una doppia valenza: da un lato vi è un senso di perdita ir- rimediabile nei confronti degli anni giovanili, un periodo difficile e magico in cui la fantasia dell’infanzia cede terreno alla delusione della vita adulta; dall’altro vi è un intenso desiderio di tornare all’ingenuità dell’adolescenza (Fuentes 1997: 70). Gullón ravvisa nell’irrompere di una letteratura scritta da individui non ancora trentenni e indirizzata a loro coetanei, un punto di for- za dei testi frutto della ‘Cultura x’ poiché andavano a supplire una carenza evidente all’interno delle lettere spagnole22.
La figura del giovane che si contrappone all’ideologia dominante è sem- pre stata una costante nell’ambito della storia della letteratura e, come ricor- da Freixas (1997: 71), raggiunge il culmine nel periodo romantico con l’eroe tormentato e tragico. È interessante analizzare brevemente, ripercorrendo i passi compiuti dalla scrittrice barcellonese, il cambio subìto da questo personaggio nel corso di epoche diverse, perché l’adolescente ritratto nelle narrazioni degli anni ’90 somma caratteri differenti e aspetti contraddittori che si configurano come successive stratificazioni di modelli pregressi. Se nelle opere dei romantici «la madurez es representada por un personaje
[…] prosaico y mediocre, mientras que el joven héroe […] manifiesta una exagerada sensibilidad, febril y morbosa» (72), nella contemporaneità, a par- tire dal libro cardine The catcher in the rye (1951) di Jerome David Salinger, si arriverà all’estremo opposto: il giovane si abbandona a una resistenza passiva sprezzante, meno bizzosa e più rassegnata. anche le possibilità a
22 «apostillo el razonamiento anterior aludiendo de nuevo a la escasez de textos juveniles,
de libros escritos por jóvenes para jóvenes. La literatura española es la niña pobre de Europa en este capítulo.» (Gullón 2004: 173). L’asserzione di Gullón è supportata anche da Freixas (1997: 72).
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disposizione del protagonista per sfuggire a una società che non accetta o che lo condanna a vivere ai suoi margini, dipendono dal mutare dei costumi sociali: nel romanticismo l’atto eroico per eccellenza era il suicidio; nell’era moderna si assiste invece alla morte di un innocente provocata direttamen- te o indirettamente dal protagonista, il quale viene poi roso dal rimorso; il romanzo contemporaneo, a sua volta, apre nuove vie di salvezza – l’arte e la psicoterapia – che però verranno intaccate dall’avvento della società del consumo e si riveleranno vie d’uscita illusorie perché prive dello spessore necessario per scardinare un Sistema che trasforma qualsiasi dissenso in prodotto23. Lo scrittore statunitense bret Easton Ellis è stato il pioniere di questa visione non solo abulica, ma amorale della realtà. Nel suo romanzo dal significativo titolo Less than zero (1985)
ni el arte ni la psicoterapia parecen de gran ayuda: el primero se ha convertido en una ocupación lucrativa sin más […] y el psiquiatra no escucha a su paciente, sino que intenta rentabilizarle pidién- dole que le ayude a redactar guiones de cine. (Freixas 1997: 74)
L’unico punto da cui i giovani non distolgono i loro sguardi tormentati o cinici è la morte, considerata un mistero insondabile, polo opposto all’infan- zia e come tale capace di restituire la pace scombussolata dal sopraggiungere dell’adolescenza (Ibidem). L’attrazione nei suoi confronti e la negazione di una morale trovano la massima espressione nei libri di Mañas, soprattutto nella figura di Carlos, protagonista di Historias del Kronen. Mañas, non a caso uno dei più precoci tra gli scrittori della ‘Cultura x’, sembra essere il solo ad aver preso di petto la società del consumo e ad averle posto di fronte i mostri da lei creati seguendo l’esempio di Easton Ellis, il cui libro American Psycho viene citato tra le pagine del romanzo. I personaggi subiscono il fascino della morte non come atto di rivolta estremo, ma come istante adrenalinico che li riscuote dal torpore. anche il libro seguente di Mañas, Mensaka (1995), rap- presenta l’adolescente in quanto risultato di un Sistema che esalta il succes- so e il benessere economico sopra ogni cosa: il giovane non si tira indietro di fronte al ribrezzo provocato dalla società, ma si immerge in essa, votandosi a un pragmatismo che ha per fine ultimo il sopravanzare gli altri (Dorca
1997: 310-311). I personaggi di Loriga sono invece pervasi da uno spirito ro- mantico di autoemarginazione o di ribellione. Vi è un ‘io’ insicuro che prova a comprendere la realtà, ma non ci riesce perché tutto sembra assurdo se rapportato al suo insieme di valori avulso dalla lotta per la vita. L’adolescente
23 «Si dà da consumare la Donna alla donna, i Giovani ai giovani, e, in questa emancipa-
zione formale e narcisistica si riesce a scongiurare la loro liberazione reale. […] assegnando i giovani alla rivolta […] si scongiura la rivolta diffusa in tutta la società assegnandola a una categoria particolare, e si neutralizza questa categoria circoscrivendola in un ruolo particolare: la rivolta.» (baudrillard 2010: 160).
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possiede un animo sensibile che ricorda da vicino, sebbene ridotto a un am- bito privato e autoinvoluto, la distinzione stabilita dalla letteratura romantica tra il ragazzo mosso dall’ansia di incarnare un essere straordinario e l’adulto mediocre e ipocrita. Il giovane, oltre a essere un gomitolo di timori, sogni e frustrazioni, può trasformarsi in angelo vendicatore, in eroe solitario e tragi- co, come in Caídos del cielo, dove all’immagine dell’assassino brutto e sadico, correntemente accettata, Loriga (1995: 26) contrappone il viso bellissimo di un adolescente. Nei protagonisti dei suoi libri si nota inoltre la tendenza a scorgere un barlume nella notte del milieu sociale e questa fioca luce coinci- de con l’arte – e qui vi è una corrispondenza con la strada aperta dal romanzo contemporaneo prima della pubblicazione di Less than zero di Easton Ellis –: in Héroes, per esempio, è la musica ad avere un potere lenitivo24, mentre in Caídos del cielo la lettura contribuisce a far sì che il ragazzo con la pistola continui a preservarsi immune dal brivido di sapersi ormai adulto25.
Quest’ottica che si afferra ancora all’arte, alla scrittura come strumento in grado di porre al riparo dal mondo e al contempo di analizzarlo è stata adottata, con gradi distinti, anche da Maestre, bustelo, Gopegui, bonilla e Prada. Per Pedro, il narratore di Matando dinosaurios con tirachinas, scrivere è un modo per ricreare la realtà26. In Veo Veo di bustelo, la narratrice non viene mai sorpresa con una penna in pugno, ma la narrazione in prima per- sona invita ad associare autore e narratore e il gioco di equivoci in cui viene coinvolta la protagonista, che ruota attorno all’impossibilità di distinguere verità e finzione, rimanda quasi istintivamente a Nadie conoce a nadie di bonilla, dove Simón Cárdenas è agito da altri e non riesce a chiarire la sua posizione se non quando tutto ormai si è concluso e può sedersi di fronte a un computer e ordinare, mediante la scrittura27, gli avvenimenti che hanno sconvolto la sua esistenza. Si potrebbe affermare che bustelo, senza ricorre- re apertamente alla prosa come elemento ordinatore, suggerisca, attraverso la storia raccontata, la possibilità di sondare una situazione bizzarra per mezzo di un testo in cui fissare i passaggi più ambigui, sebbene poi la piro- etta finale scardini qualsiasi certezza. Qualcosa di simile avviene nel roman- zo Un enano español se suicida en Las Vegas (1997) di Francisco Casavella, in
24 «¿QUÉ ESPEraS DE TUS CaNCIONES?[…] yo sólo espero que no me dejen tirado, espero de
las canciones todo lo que no me han dado mis padres.» (Loriga 1998: 63).
25 «Él en realidad no era un asesino. Leía muchísimo. Era más bien un poeta.» (Loriga 1995: 39). 26 «tú entonces ya estabas aquí, en esta hoja en blanco que voy emborronando, y yo sin
darme cuenta, estás aquí para siempre como a todos los que quiero y que luego saldrán, aquí estás y no en ese agujero por el que al fin lograron meterte y que tiene una fotografía tuya en la lápida, tú no eres ése sino éste que yo recuerdo como si todo tuviera sentido y nada fuera