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L’orientamento che nega carattere autonomo al controllo di meritevolezza La tendenza giurisprudenziale a far rientrare il vaglio di meritevolezza nella

IL CONTROLLO DI MERITEVOLEZZA NEGLI ATTI DI DESTINAZIONE

12. L’orientamento che nega carattere autonomo al controllo di meritevolezza La tendenza giurisprudenziale a far rientrare il vaglio di meritevolezza nella

valutazione sulla liceità del negozio. La sovrapponibilità dei giudizi nelle varie ipotesi di destinazione patrimoniale. Il Supremo Collegio e la dichiarazione di non meritevolezza della causa di negozi leciti. Necessità di un pregnante controllo sulla causa, di là dalla mera liceità. Emilio Betti e il rilievo della funzionalità sociale dell’interesse perseguito. Rilevanza ed autonomia del giudizio di meritevolezza: sua riferibilità ai negozi tipici e atipici. – L’analisi della meritevolezza nei negozi di destinazione merita ulteriore approfondimento.

Specie nella prima fase di studio della disposizione di cui all’art. 2645 ter c.c., si è inteso leggere la meritevolezza degli interessi da perseguire in termini opposti rispetto alla forma di tutela espressa dall’art. 1322 c.c. La meritevolezza, sia nella sua accezione di rilevanza giuridica dell’atto e sia nella sua costruzione in termini di assenza di riprovevolezza, ha comportato un iter valutativo improntato, spesso, a parametri qualitativamente corrispondenti a quelli caratterizzanti il giudizio sulla liceità dell’attività negoziale dei privati

Nell’ambito della questione degli atti destinatori, la lettura “abrogante”418 del riferimento al comma 2 dell’art. 1322 c.c. prende le mosse dall’orientamento di quella

417 Sulla questione, v., per tutti, F.C

RISCUOLO, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, cit., p. 253 ss.

418 Così, S.M

parte della dottrina che ha ritenuto di poter negare carattere significante ed autonomo419 al controllo di meritevolezza sull’atto.

Il vaglio di meritevolezza, anche a parere di una certa giurisprudenza, rientrerebbe nella valutazione circa la liceità del negozio, vale a dire circa la sua conformità a norme imperative, all’ordine pubblico420 e al buon costume421. Si è, infatti, ritenuto, che la possibilità di rendere autosufficiente il giudizio in questione dai canoni

419 Emblematica è la posizione di G.G

ORLA, Il contratto, cit., p. 199 ss., il quale rileva che il solo strumento di sanzionabilità del contratto è la illiceità, intesa come contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Altri autori, poi, pur distinguendo le valutazioni di liceità e di meritevolezza, non escludono la possibilità di accordare alle due fattispecie un’identità di disciplina e di criteri di valutazione: cfr. P.BARCELLONA, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei

rapporti economici, Milano, 1969, p. 221 ss.; A.GUARNIERI, Questioni sull’art. 1322 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1976, II, p. 263 ss.; ID., Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 799 ss.

Sui rapporti fra meritevolezza e liceità, v., pure, M. GAZZARA, Considerazioni in tema di contratto atipico, giudizio di meritevolezza e norme imperative, in Riv. dir. priv., 2003, p. 55 ss.

420 Significative, soprattutto ai fini della presente indagine, sono le riflessioni di G.B.F

ERRI, Ordine pubblico, a) diritto privato, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 1053, per il quale «l’ordine pubblico non è un limite ai diritti fondamentali dell’individuo in funzione dei superiori interessi della comunità statuale, ma pone limiti all’autonomia dei privati, in funzione del rispetto dei valori fondamentali su cui si fonda e che caratterizzano l’ordinamento giuridico. Nel nostro sistema attuale è alla Costituzione repubblicana che dobbiamo far capo per trovare i valori e i princípi oggi fondamentali nel nostro ordinamento giuridico: la tutela della persona umana, l’ideale di uguaglianza, di solidarietà, il diritto al lavoro (…); valori che i princípi generali e l’ordine pubblico si trovano ad affermare». Nell’espressione qui di seguito riportata viene, però, sintetizzato il più pregnante significato della clausola dell’ordine pubblico: «mentre i princípi generali, nel momento in cui esprimono i valori fondamentali su cui si fonda l’ordinamento giuridico, necessariamente e conseguentemente determinano il sorgere di situazioni giuridiche soggettive, l’ordine pubblico svolge quella funzione conservatrice che gli è propria non sul piano di queste situazioni, ma su quello dell’agire autonomo dei privati, dei quali è pertanto diretto a stabilire il confine tra lecito ed illecito».

Una parte della dottrina ritiene erronee «le impostazioni consistenti nel concepire l’ordine pubblico come insieme di finalità generali o nell’identificarlo senza residui con i princípi di particolare pregnanza. È infatti criticabile, da un punto di vista concettuale, assegnare all’ordine pubblico la mera funzione di richiamare contenuti altrove prescritti»: così, L. LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, p. 342.

421 Per E.B

ETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 1994, p. 101, il buon costume è un criterio di contenuto elastico e storicamente variabile, che si adegua via via alle mutate concezioni della coscienza sociale e all’evoluzione della società. Anche nel determinare quelle che sono le esigenze del buon costume e nel prendere posizione rispetto alle concezioni correnti nella cerchia degli interessati, il giudice opera quale organo e interprete della coscienza sociale e serve da intermediario fra questa e la legge. L’A., distinguendo il buon costume dall’uso, precisa che il concetto in esame «esprime non già un criterio fenomenologico suscettivo di semplice accertamento, ma un criterio deontologico, che è il prodotto di una valutazione morale». Autorevole dottrina ricostruisce il buon costume come norma in bianco che costituisce un adeguamento di carattere elastico a delle concezioni extragiuridiche: cfr. A. TRABUCCHI, Buon costume, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 700 ss. Il buon costume non è soltanto una

nozione morale, ma anche e soprattutto un concetto giuridico. Per questa ragione, la determinazione del suo valore deontologico e del suo contenuto va fatta in relazione all’ordinamento nel suo complesso: così, G.B.FERRI, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, p. 90 ss. C’è chi, significativamente, rileva: «il buon costume formula un’esigenza di continuità nel rispetto di princípi e di valori partecipi di una comune scelta di civiltà»: L.LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, cit., p. 268.

della liceità esporrebbe lo stesso a valutazioni esclusivamente personali del soggetto di volta in volta giudicante, senza poter fare riferimento a criteri univoci ed obiettivi422.

Come è evidente, il controllo giurisprudenziale è stato, per lungo tempo, operato esclusivamente in modo restrittivo, onde risultava meritevole qualsivoglia interesse non affetto da illiceità423.

Proprio in seno all’art. 2645 ter c.c., la piena sovrapponibilità del giudizio di meritevolezza a quello di liceità424 potrebbe essere sostenuta evidenziando come, nelle altre ipotesi di destinazione patrimoniale (ad esempio: il fondo patrimoniale, i patrimoni destinati ad uno specifico affare, i fondi per l’assistenza e la previdenza), non sia stato richiesto dal legislatore alcun giudizio di meritevolezza relativo all’interesse sottostante alla destinazione425.

Quest’ultimo argomento e quello più generale della coincidenza tra i due fondamentali giudizi relativi al substrato causale dell’atto di autonomia risultano essere poco consistenti.

Il dissenso più forte riguarda la convinzione secondo la quale la giurisprudenza di legittimità non avrebbe mai dichiarato un contratto atipico lecito, ma immeritevole di tutela426. Un’adeguata ricerca giurisprudenziale dimostra che non sono rare le ipotesi in

cui il Supremo Collegio ha affermato la nullità di un contratto atipico per assenza di

422 Cfr. Trib. Trieste, 23 settembre 2005, in Guida al diritto, 2005, n. 41, p. 57. Secondo i giudici triestini,

il giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti con negozio atipico si riduce, in realtà, ad una valutazione di illiceità, in cui l’interprete deve limitarsi all’esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume.

423 Cfr. Cass., 6 febbraio 2004, n. 2288, in Contratti, 2004, p. 80 ss. 424 V., in dottrina, G.F

ANTICINI, L’art. 2645 ter del codice civile: “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche”, in AA.VV., La tutela dei patrimoni, a cura di

Montefameglio, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 335.

425 Sulla questione, si rimanda a D.V

ECCHIO, Profili applicativi dell’art. 2645 ter c.c. in ambito familiare, in Dir. fam., 2, 2009, p. 796.

Va osservato che l’equiparazione dei giudizi di liceità e meritevolezza è stata spesso affermata dalla giurisprudenza di merito, in riferimento alla questione del trust interno. L’analogia delle operazioni, di là dalle evidenti differenze di struttura, rafforza il rilievo del riferimento all’esperienza maturata in questo campo. Risulta, infatti, che il compito dell’interprete è quello di valutare caso per caso la conformità della fattispecie concreta di trust all’ordinamento, verificando che siano sempre rispettati i princípi di ordine pubblico e siano sempre osservate le norme inderogabili dall’autonomia. Si tratta, allora, di un apprezzamento volto a stabilire, in riferimento alla singola ipotesi di trust, l’assenza di liceità.

426 Secondo F. G

AZZONI, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 3, dal 1942 ad oggi una sola sentenza avrebbe dichiarato un contratto atipico lecito, ma immeritevole di tutela: App. Milano, 29 dicembre 1970, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 81. Si tratta di una pronunzia cassata da Cass., 2 luglio 1975, n. 2578, in Temi, 1977, p. 133.

Anche per R. SACCO, Il contratto, I, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2004, p. 850, «la giurisprudenza non ha ancora trovato l’occasione per dichiarare nullo un contratto ex art. 1322; e, se ha avventurosamente invocato l’articolo, lo ha adoperato come puro schermo, per colpire contratti visibilmente contrari ai buoni costumi, o altrimenti viziati».

meritevolezza della causa427, pur esplicitamente ritenendolo non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ne deriva la fragilità dell’affermazione secondo la quale la Suprema Corte avrebbe abbandonato il requisito autonomo della meritevolezza per considerare meritevole tutto ciò che non è contrario alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume»428.

Sulla questione ha profondamente inciso la cennata idea della sovrapponibilità, la quale ha prodotto il risultato inaccettabile di ridurre il comma 2 dell’art. 1322 c.c. a norma dalla portata residuale rispetto agli artt. 1418 e 1343 c.c.

A mettere in discussione la tesi volta a depotenziare il ruolo decisivo della meritevolezza in seno al negozio è stata, senza dubbio, la posizione di un illustre giurista, sempre impegnato a sottolineare la necessità di un pregnante controllo sulla

427 Si rinvia, in particolare, a Cass., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Contratti, 2004, p. 881, secondo la

quale: «Le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico; non può, infatti, ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi».

Si rimanda, inoltre, a Cass., 5 gennaio 1994, n. 75, in www.cortedicassazione.it, secondo la quale: «Con riguardo al contratto di cessione di un calciatore, l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dal regolamento della Federazione Italiana Gioco Calcio (F.I.G.C.), se non costituisce ragione di nullità per violazione di legge, a norma dell’art. 1418 cod. civ., tenuto conto che la potestà regolamentare conferita all’ordinamento sportivo, ai sensi dell’art. 5 della legge 16 febbraio 1942 n. 426, si riferisce all’ambito amministrativo interno e non a quello di rapporti intersoggettivi privati, determina l’invalidità e l’inoperatività del contratto medesimo, in relazione al disposto del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ., atteso che esso, ancorché astrattamente lecito per l’ordinamento statuale come negozio atipico (prima dell’entrata in vigore della legge 23 marzo 1981 n. 91), resta in concreto inidoneo a realizzare un interesse meritevole di tutela, non potendo attuare, per la violazione delle suddette regole, alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva, riconosciuta dall’ordinamento dello Stato».

Sulla stessa scia si pone: Cass., 28 luglio 1981, n. 4845, in www.cortedicassazione.it.

428 Così, Cass. 6 febbraio 2004, n. 2288, in Contratti, 2004, p. 801. Per una pronunzia di merito che

afferma la nullità di un contratto atipico, sia per contrarietà a norme imperative, sia per non meritevolezza di tutela, v. Trib. Brindisi, 21 giugno 2005, in Contratti, 2006, p. 884, con nota di VELLUZZI: «Il contratto atipico riguardante il prodotto finanziario “4 you” è nullo per contrarietà a norme imperative (artt. 21 ss. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e realizza, altresì, una figura di “contratto aleatorio unilaterale”, che come tale non può essere ritenuto meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto l’ordinamento giuridico non può ammettere la validità di contratti atipici che, lungi dal prevedere semplici modalità di differenziazione dei diversi profili di rischio, trasferiscono in capo ad una sola parte tutta l’alea derivante dal contratto».

In dottrina, sull’idea che sarebbe meritevole qualsivoglia interesse che non sia illecito si fonda la ricostruzione di: G.B. FERRI, Ancora in tema di meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. comm., 1979, I,

p. 1 ss.

Per una sintesi della giurisprudenza in tema di meritevolezza, cfr. M.A. URCIUOLI, Liceità della causa e meritevolezza dell’interesse nella prassi giurisprudenziale, in Rass. dir. civ., 1985, p. 752 ss.; L. GARDANI CONTURSI LISI, Contratti atipici, I, in Giur. sistem. dir. comm., diretta da Bigiavi, Torino, 1997, p. 81 ss.; U. BRECCIA, La causa, in ALPA,BRECCIA e LISERRE, Il contratto in generale, III, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, XIII, Torino, 1999, p. 97 ss.

causa del contratto non solo dal punto di vista della sua liceità, bensì da quello della funzionalità sociale dell’interesse perseguito429.

In tale contesto, va poi ricordato che il tema della distinzione tra liceità e meritevolezza430 del contratto è stato sviluppato, in tutt’altra direzione, specie negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, nella più ampia ottica della «funzionalizzazione», quindi dei limiti431 da porre all’autonomia privata, la quale è strumentale al perseguimento di istanze solidaristiche, nel quadro dei princípi cristallizzati nella Carta costituzionale432.

429 E. B

ETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 190 ss.

430 Estremamente significative appaiono le parole della Relazione del Guardasigilli per l’approvazione del

testo del codice civile (n. 613), secondo cui la funzione economico-sociale che caratterizza la causa del contratto dovrebbe essere «non soltanto conforme ai precetti di legge, all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dall’art. 1322, comma 2, c.c., rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica (n. 603)». E il paragrafo n. 603, al quale fa espresso rinvio il passo appena citato, contiene le affermazioni seguenti: «Se si traggono le logiche conseguenze dal principio corporativo che assoggetta la libertà del singolo all’interesse di tutti, si scorge che, in luogo del concetto individualistico di signoria della volontà, l’ordine nuovo deve accogliere quello più proprio di autonomia del volere. L’autonomia del volere non è sconfinata libertà del potere di ciascuno, non fa del contratto un docile strumento della volontà privata; ma, se legittima nei soggetti un potere di regolare il proprio interesse, nel contempo impone ad essi di operare sempre sul piano del diritto positivo nell’orbita delle finalità che questo sanziona e secondo la logica che lo governa (art. 1322, comma1). Il nuovo codice, peraltro, non costringe l’autonomia privata a utilizzare soltanto i tipi di contratto regolati dal codice, ma le consente di spaziare in una più vasta orbita e di formare contratti di tipo nuovo se il risultato pratico che i soggetti si propongono con essi di perseguire sia ammesso dalla coscienza civile e politica, dall’economia nazionale, dal buon costume e dall’ordine pubblico (art. 1322, comma 2). L’ordine giuridico, infatti, non può apprestare protezione al mero capriccio individuale, ma a funzioni utili, che abbiano una rilevanza sociale, e, come tali, meritino di essere tutelate dal diritto. Si pensi, per esempio, ad un contratto col quale taluno consenta, dietro compenso, all’astensione da un’attività produttiva o a una esplicazione sterile della propria attività, personale o a una gestione antieconomica o distruttiva di un bene soggetto alla sua libera disposizione, senza una ragione socialmente plausibile, ma solo per soddisfare il capriccio o la vanità della controparte. Un controllo della corrispondenza obiettiva del contratto alle finalità garantite dall’ordinamento giuridico è inutile se le parti utilizzano i tipi contrattuali legislativamente nominati e specificamente disciplinati: in tal caso la corrispondenza stessa è stata apprezzata e riconosciuta dalla legge col disciplinare il tipo particolare di rapporto e resta allora da indagare (…) se per avventura la causa considerata non esista in concreto o sia venuta meno. Quando il contratto non rientra in alcuno degli schemi tipici legislativi, essendo mancato il controllo preventivo e astratto della legge sulla rispondenza del tipo nuovo di rapporto alle finalità tutelate, si palesa invece necessaria la valutazione del rapporto da parte del giudice, diretta ad accertare se esso si adegui ai postulati dell’ordinamento giuridico».

Il passo qui riportato, pur nel rilievo di molti passaggi, richiede una rimeditazione del rapporto tra tipicità e atipicità. L’intento è quello di dimostrare, alla luce della specificità di ogni regolamento di interessi, la necessità del controllo di meritevolezza per tutte le ipotesi di negozio, di là dalla previsione legislativa o dalla non tipizzazione.

431 P.P

ERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 336, sottolinea che «i cc.dd. limiti all’autonomia, posti a tutela dei contraenti deboli, non sono più esterni ed eccezionali, ma interni, espressione diretta dell’atto e del suo significato costituzionale. L’attenzione si sposta dal dogma dell’autonomia all’atto da valutare non soltanto isolatamente, ma nell’ambito dell’attività svolta dal soggetto».

432 P. B

ARCELLONA, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, cit., p. 220 ss., 225; F. LUCARELLI, Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1970, p. 170 ss.; M. NUZZO, Utilità sociale e autonomia privata, cit., p. 97 ss.; M. COSTANZA, Meritevolezza dell’interesse e equilibrio contrattuale, in Contr. e impr., 1987, p. 428.

Proprio il dato storico di queste contrapposte letture della norma, di cui al comma 2 dell’art. 1322 c.c., ne conferma la validità, evidenziando la capacità di quest’ultima di adattarsi alle evoluzioni sociali e politiche, in modo da assicurare che l’esplicazione della libertà contrattuale si ponga con queste pur sempre in perfetta sintonia.

In tale prospettiva, non sembra adeguato ritenere che sia fondata l’idea secondo la quale il requisito di cui all’art. 1322 cpv. c.c. si riferisce alla sola materia dei contratti atipici, posto che la meritevolezza di tutela viene garantita, per i contratti nominati, dal semplice fatto che il legislatore ha ritenuto di prevederli e disciplinarli433.

Se così è, si potrebbe rimarcare che l’art. 2645-ter c.c., ancora a prescindere dalla reiterata questione relativa alla sua riconducibilità allo schema contrattuale, costituisce figura giudicata degna di tutela, a condizione che meritevole sia l’interesse perseguito in concreto, di volta in volta, dal costituente. L’osservazione sembra rendere evidente la necessità di riferire la meritevolezza, con riguardo agli atti di destinazione, non già al tipo negoziale, cioè al vincolo astrattamente inteso, come disciplinato dall’art. 2645-ter c.c., bensì alla funzione in concreto e di volta in volta perseguita dal «conferente». Di là dal problema della tipizzazione dell’atto destinatorio, ciò che va

433 La dottrina limita tradizionalmente l’ambito di applicazione del controllo di meritevolezza ai contratti

atipici. Si rinvia a F. MESSINEO, Dottrina generale del contratto (artt. 1321–1469 c.c.), Milano, 1952, p.

225; R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale. Disposizioni preliminari. Dei requisiti del contratto. Art. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, p. 42 s.; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, Torino 1980, p. 31; R. SACCO, Il contratto, cit., p. 446 ss. Contra C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 1984, p. 450.

La moderna lettura del diritto civile in chiave costituzionale porta autorevole dottrina ad affermare la necessità del controllo di meritevolezza sia per i contratti astrattamente prefigurati dal legislatore, sia per le fattispecie contrattuali non riconducibili a schemi tipici: cfr. P.PERLINGIERI, Il diritto dei contratti fra

persona e mercato, cit., p. 396. L’A. sollecita a riflettere sull’ampiezza del vaglio di meritevolezza e offre spunti interessanti ai fini della presente disamina: «Il contratto, anche tipico, va sempre sottoposto al controllo di meritevolezza. Che le parti possano concludere anche contratti non appartenenti ai tipi con una loro disciplina particolare, purchè diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, è principio generale. Il controllo di meritevolezza, in un sistema come il nostro fondato su valori forti, su princípi inderogabili, su norme imperative inderogabili, si impone al giudice, all’interprete. Non basta che l’atto non sia illecito, ma necessita che quell’atto, anche se tipico, sia meritevole di tutela in quel contesto particolare». Nella medesima direzione, F.CRISCUOLO, Autonomia

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