responsabilità patrimoniale (specializzata). La trascrizione dell’atto e l’opponibilità del vincolo di destinazione. La circolazione dei beni destinati, la clausola di inalienabilità e l’opponibilità del vincolo ai terzi. – Rinvio. – All’indomani della codificazione dell’art. 2645 ter c.c., la dottrina più attenta ha individuato nel rapporto tra destinazione e separazione patrimoniale il “nodo problematico” che esiste tra autonomia negoziale e tutela del credito, evidenziando che la disposizione avrebbe attitudine ad ampliare lo spazio lasciato ai privati nella creazione di patrimoni destinati ad uno scopo con effetto di separazione patrimoniale (separazione da fonte negoziale), derogando espressamente alla previsione di cui al secondo comma dell’art. 2740 c.c., dunque consentendo forme di specializzazione della responsabilità diverse da quelle previste dal legislatore156
. 154 G.V
ETTORI, Atto di destinazione e trust: prima lettura dell’art. 2645 ter in Obbligazioni e contratti, 2006, p. 777 afferma espressamente: «un filtro di meritevolezza dell’interesse, affidato al notaio o al giudice, non è coerente con l’equilibrio istituzionale fra iurisdictio e legislatio in uno Stato di diritto, basato sul principio di legalità perché il giudizio di conformazione della res e del patrimonio spetta solo e soltanto alla legge per esigenze di certezza e di ordine. Attribuire ad un interprete qualificato come il giudice, o ad un interprete professionale, ma non espressione di un assetto istituzionale, come il notaio, un giudizio di prevalenza degli interessi in ordine a tali aspetti non è conforme ad una differenziazione dei poteri e delle rispettive funzioni in ordine alla circolazione dei beni».
Sul punto cfr. anche A.GENTILI, op. loc. ult. cit., secondo il quale la valutazione di meritevolezza degli interessi non può essere rimessa ai notai, se non a costo «di fare dei notai e dei conservatori dei registri immobiliari i nuovi censori. Non si vede neppure come gli stessi giudici farebbero una simile valutazione se vogliono applicare e non creare il diritto. Saremmo in balia delle loro ideologie personali».
155 Sul punto si v. A.M
ORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, cit., p. 192
il quale richiama l’art. 64 della legge fallimentare. Tale disposizione rappresenta un esempio paradigmatico di bilanciamento di valori laddove esenta dalla sanzione dell’inefficacia gli atti compiuti dal fallito in adempimento di un dovere morale ed a scopo di pubblica utilità, a condizione che la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante ed in considerazione della particolare finalità etica e sociale che con tali atti si intende perseguire, tali valori prevalendo evidentemente rispetto agli interessi di natura meramente patrimoniale dei creditori.
156 In proposito v. M. B
IANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione, in AA.VV., Atto di destinazione e trust (art. 2645 ter del codice civile), Padova, 2008, p. 27. Per l’A., la destinazione del patrimonio ad uno scopo «assurge a categoria giuridica autonoma», che determina fenomeni di separazione patrimoniale. Tale rapporto tra destinazione e separazione unirebbe la tradizione (dalla teoria dei patrimoni destinati ad uno scopo della pandettistica tedesca) e la modernità (alla luce della recente tendenza a riconoscere ipotesi di destinazione negoziale con effetto di separazione patrimoniale),
In questo senso, è stato significativamente osservato che la novella rappresenterebbe un forte segnale nella direzione, da un canto, del superamento dell’esigenza di presidiare esclusivamente ed acriticamente l’indivisibilità del patrimonio; dall’altro canto, della necessità di individuare strumenti idonei ad assicurare l’affidamento del ceto creditorio dinnanzi a nuove situazioni suscettibili di rilevanza erga omnes. La separazione patrimoniale, infatti, consentirebbe di frammentare/segmentare il patrimonio mediante una “articolazione dei ceti dei creditori” in relazione alla causa del proprio credito157
, con la conseguenza di mantenere il patrimonio vincolato “riservato al soddisfacimento di dati creditori” e separato dal restante patrimonio generale158
.
Sulla scia dell’impostazione sin qui seguita, ci si limiterà in questa sede ad indicare la strada che la novità legislativa sembra tracciare con riferimento al rapporto destinazione-separazione patrimoniale ed all’attitudine dell’art. 2645 ter c.c. a ripensare il regime di responsabilità ex art. 2740 c.c.. L’indagine troverà, poi, compiutezza nel corso del successivo capitolo IV.
La riflessione può prendere il via da uno dei risultati sin qui acquisiti e cioè che la novità legislativa ha confermato l’autonoma rilevanza della destinazione negoziale come categoria giuridica che, nel dar vita ad un vincolo “reale”, determina la separazione di taluni beni, chiamati a garantire l’effettività e la conservazione della destinazione 159
. Il patrimonio di destinazione si atteggia, pertanto, a patrimonio sul
confermando la centralità della destinazione in tutta una serie di rapporti e di istituti fortemente collegati con il fenomeno dei patrimoni separati (contratto di mandato, trust, negozio fiduciario).
157 P.S
PADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 844; A.ZOPPINI, Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 573 ss. per il quale: «attraverso il patrimonio separato si opera la concentrazione della responsabilità patrimoniale e del rischio connesso all’insolvenza, che è distribuito in maniera diseguale tra i creditori dei diversi comparti patrimoniali».
158 M.B
IANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 189.
159 L’effetto di separazione dovrebbe qualificarsi come essenziale, giacché in assenza di esso non si
potrebbe ritenere di essere dinnanzi ad una situazione di quelle riconducibili all’art. 2645 ter c.c. Inoltre, deve precisarsi che si tratta, comunque, di un effetto subordinato, in quanto la separazione di per sé non potrà mai costituire giustificazione causale dell’atto. Sul tema v. G.PETRELLI, La trascrizione, cit.,p. 181 ss.
Significativa la ricostruzione sugli atti di «disposizione reale» di P.SPADA, Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, relazione al Convegno “Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645-ter c.c.”, Milano, 19 giugno 2006, p. 1 ss. Cfr., altresì, R.DI RAIMO, L’atto di destinazione dell’art. 2645 ter,
cit., p. 69 per il quale «l’atto di disposizione reale conosce due tipologie: gli atti di attribuzione e gli atti di destinazione. Ai primi è riconosciuta funzione traslativa in senso proprio, la quale, come suo corollario, opera un effetto selettivo con riguardo ai soggetti legittimati ad attivare la garanzia generica dell’art. 2740 c.c. Ai secondi – ancora una volta condivisibilmente, qualificati atti di predeterminazione di interessi e programmazione di condotte funzionali alla loro realizzazione – è riconosciuta invece la funzione di individuare articolazioni del patrimonio che (senza trasferimento ma) in virtù di una specifica
quale è impresso un vincolo reale di destinazione che incide su soggetti terzi (creditori del destinante ed acquirenti del bene) e sul regime di circolazione della ricchezza.
Al fine di comprendere in che termini venga ad essere modulato il rapporto autonomia-separazione patrimoniale-tutela del credito, è altresì indispensabile spendere, anche solo per cenni, alcune considerazioni sul principio di responsabilità patrimoniale, da sempre indicato quale presidio per la tutela dei creditori160
.
destinazione, sono parimenti individuabili in ragione dell’eventuale effetto di selezione tra categorie di creditori legittimati. La destinazione, in questa prospettiva, è rilevante esclusivamente se e quando assistita da separazione. L’atto di destinazione è di per sé neutro, nel senso che rappresenta una fase del procedimento finalizzato alla produzione dell’unico effetto rilevante che è quello di opponibilità, nel quale si rispecchia il grado di separatezza volta per volta accordato al patrimonio destinato». Ed ancora: « … carattere dell’effetto di destinazione è il mutamento dello statuto giuridico di un patrimonio in ragione della selezione di un interesse nuovo da realizzare. Interesse che, da un lato, non può per ciò stesso essere costituito da una mera specificazione del generico interesse soggettivo del proprietario; dall’altro lato, deve presentare caratteri di oggettività che ne consentano la traduzione in termini di funzione e che consentano la sostituzione della medesima funzione al (l’interesse del) soggetto quale criterio di identificazione sub specie juris del bene e della relativa disciplina. È dunque, in apice, un problema di qualità dell’interesse. La disciplina segue e non può precedere. Il che vale a dire che non è la separazione a determinare l’oggettivizzazione dell’interesse qualunque esso sia (anche quello ad utilizzare il proprio appartamento per gli incontri galanti» (p. 70).
160 Il principio della responsabilità patrimoniale è consacrato nell’art. 2740 c.c., 1° comma, a termini del
quale «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri». Detta disposizione ha inteso in particolare introdurre uno strumento di regolazione dei traffici economici, e dunque dell’equilibrato svolgimento dell’iniziativa economica privata, nel quale il legislatore ha prefigurato un contemperamento tra il diritto del creditore alla tutela dei propri interessi ed il diritto del debitore a preservare la propria autonomia negoziale. In argomento si v.V.ROPPO, Voce «Responsabilità patrimoniale», in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 1045, ove l’A. ha osservato che «l’interesse del creditore, che ripetendo parole del codice possiamo definire interesse alla conservazione della garanzia patrimoniale, riceve nell’ordinamento forme di tutela diverse fra loro. Le accomuna, tuttavia, un dato costante: esse si risolvono sempre in limiti – più o meno ampi, di qualità e di intensità a volta a volta diverse – imposti all’agire, matrimonialmente rilevante, del debitore. A questa disciplina è dunque sotteso un conflitto di interessi facilmente identificabile. Il conflitto tra l’interesse del creditore a comprimere quanto più possibile, per maggiore tutela del suo credito, la sfera di iniziativa economica del suo debitore, e l’interesse di quest’ultimo a conservare il massimo di libertà d’azione»; D.RUBINO, La responsabilità patrimoniale. Il pegno, Torino, 1956, in Obbligazioni e negozio giuridico, Scritti giuridici, cit.; L. BARBIERA, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger (artt. 2740 – 2744), Milano, 1991; ma già F.CARNELUTTI, Appunti sulle obbligazioni, in Riv. dir. comm., 1915, p. 528; R. NICOLÒ, Tutela dei diritti, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 2740-2899,
Bologna-Roma, 1945, p. 10. Il contemperamento dei richiamati interessi, rispettivamente del creditore e del debitore, costituisce dunque corollario del principio costituzionale inerente all’iniziativa economica privata, teso alla realizzazione dell’interesse individuale e delle finalità sociali connesse alla produzione della ricchezza e, dunque, quale bilanciamento delle istanze delle parti coinvolte nei traffici commerciali. In particolare, la disciplina della responsabilità patrimoniale nasce quale regola funzionale alle esigenze dell’impresa, i cui interessi (anche di carattere economico) impongono la predisposizione di una regolamentazione idonea a garantire l’ordinato e corretto andamento del mercato attraverso il buon esito delle operazioni commerciali (cfr. F.GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2010, passim). È in questa prospettiva che assumono importanza i c.dd. mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, che consentono al creditore di attivarsi per tutelare le proprie legittime pretese a fronte dei molteplici comportamenti che il soggetto passivo dell’obbligazione può assumere allo scopo di sottrarsi all’adempimento.
Come è noto, il nostro ordinamento è stato a lungo informato al principio dell’unità della responsabilità patrimoniale161
, in forza del quale tutti i beni del debitore
161 L’impostazione fatta propria dal nostro ordinamento nella codificazione del ‘42, trova invero un
precedente negli orientamenti dottrinari sviluppatisi nella vigenza del Codice civile del 1865 (il cui art. 1948 disponeva che il debitore è «tenuto ad adempiere le contratte obbligazioni con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri», il quale a propria volta rappresenta la trasposizione dell’omologa disposizione dell’art. 2092 del Codé Civil francese del 1804). Tali orientamenti, in particolare, valorizzavano la circostanza per cui la garanzia generale collegata al patrimonio non vincolato del debitore costituiva piuttosto una entità astratta, in quanto il debitore avrebbe comunque avuto facoltà di compiere atti di disposizione del proprio patrimonio che avessero la conseguenza di attenuare la portata effettuale della disposizione, attraverso l’occultamento ovvero l’alienazione dei suoi beni, con il solo limite dell’azione revocatoria (sul tema v. F. ROSELLI, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, in Trattato di diritto privato a cura di Bessone, cit., p. 319 il quale puntualizza che la formula impiegata dal legislatore del 1865 fosse «imprecisa poiché sembrava destinare il complesso dei detti beni alla prestazione ossia in ogni caso all’adempimento. Prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1942 poteva così avvenire che i mezzi (non già di adempimento ma) di difesa dell’obbligazione venissero considerati, specie nella manualistica, in modo alquanto indifferenziato. Vi si facevano rientrare tutti gli strumenti diretti a mantenere in vita il diritto di credito e ad assicurarne la realizzazione, come il chiederne la ricognizione, ossia l’accertamento del titolo, il compiere atti interrottivi della prescrizione, e in senso più stretto a mantenere integro il patrimonio del debitore, o meglio ad impedire che valori ad esso pertinenti ne uscissero o valori ad esso destinati ne rimanessero fuori per dolo o incuria del titolare. In realtà l’imprecisione derivava dall’essere l’espressione sopra trascritta né originale né, già nel 1865, recente: essa era la traduzione dell’art. 2092 del codice civile francese»; cfr. anche M.BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 141; cfr. I.LUZZATTI, Dei privilegi, commento teorico-pratico al capo I, titolo XXIII, libro III del codice civile italiano, Torino, 1895, p. 37, secondo cui il creditore ha diritto di agire esecutivamente sul patrimonio del debitore fin dal momento in cui l’obbligazione è sorta, purché siano rimasti inadempiuti gli obblighi da essa scaturenti, con la conseguenza dell’attribuzione di strumenti giuridici (i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale) a tutela del creditore per conservare la garanzia del proprio credito sui beni del debitore.
A seguito della codificazione del 1942, la dottrina sovente ha evidenziato taluni elementi di incertezza riferibili alla configurabilità esteriore ed alla operatività funzionale dell’istituto disciplinato dagli artt. 2740 e 2741 (cfr. V.ROPPO, Voce «Responsabilità patrimoniale», cit., p. 1041; M. FRAGALI, Garanzia e diritti di garanzia, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969 p. 448; cfr. R. NICOLÒ, Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1958, secondo cui l’art. 2740 c.c. «con una formulazione più semplice e specificamente più corretta (…) riafferma il principio della responsabilità patrimoniale del debitore, sostanzialmente contenuto nell’art. 1948 del codice del 1865»). In particolare, la dottrina per un verso, ha evidenziato il problema della strutturazione e del contenuto del rapporto obbligatorio (configurato talvolta quale rapporto che dà luogo ad un vero e proprio diritto all’adempimento) e, per l’altro verso, e soprattutto, dell’individuazione del ruolo o del momento d’intervento della responsabilità patrimoniale (in proposito v. M. GIORGIANNI, Voce «Obbligazione» (diritto privato), in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino, 1965, p. 609, il quale sottolinea come «la tutela che la legge assicura all’obbligazione trova fondamento sulla struttura del rapporto……in base agli elementi dell’obbligazione…ed in base alla definizione che abbiamo sopra enunciato, si ricava che l’essenza del rapporto obbligatorio consiste nella funzione attribuita al comportamento a cui il debitore è tenuto, in relazione all’interesse del creditore. Tale posizione di preminenza del creditore, e correlativamente di subordinazione del debitore, è stata sinteticamente indicata come un diritto soggettivo all’adempimento»).
Tali incertezze, invero, traggono origine dall’impostazione della dottrina tedesca, che ha fortemente influenzato l’impostazione italiana, focalizzata sull’esistenza nell’obbligazione dei due elementi, c.dd. Schuld (o debito) e Haftung (o responsabilità). In base a tale distinzione – che non considera adeguatamente la posizione debitoria implicante un vero e proprio obbligo personale di attivazione nel’interesse del creditore – il profilo fondamentale del rapporto obbligatorio è da rintracciarsi sul piano oggettivo della utilità economica perseguita dal creditore e, quindi, concepibile essenzialmente in chiave «patrimonialistica» (M. GIORGIANNI, Voce «Obbligazione» (diritto privato), cit., p. 609, il quale sottolinea come «secondo la prima formulazione della dottrina tradizionale, in correlazione all’obbligo
del debitore esisterebbe in capo al creditore un diritto soggettivo avente come contenuto una signoria sulla persona del debitore. Questa formulazione creava così un rigoroso parallelo tra la struttura dell’obbligazione e quella della proprietà, concepita come una signoria, non più su una persona, ma su una cosa. Le discussioni intorno a tale formulazione hanno provocato un doppio fenomeno: da un canto una imponente corrente dottrinale, con diverse formulazioni, ha cercato di trasferire il fulcro del rapporto obbligatorio dall’aspetto personale (dovere del debitore) all’aspetto patrimoniale (risultato economico) di esso, giungendo alla fine a trasferire l’oggetto della signoria del creditore dalla persona del debitore al patrimonio del medesimo, ovvero al bene dovuto; d’altro canto la dottrina tradizionale, sotto la spinta delle nuove teorie, ha dovuto precisare o correggere la primitiva concezione, giungendo a considerare come contenuto del diritto del creditore non già una signoria sulla persona del debitore, ma piuttosto una pretesa ad un comportamento di costui»; (…) «la dottrina la quale scorge nell’obbligazione la presenza dei due fattori del debitum e della obligatio, nota anche sotto il nome di teoria del debito (o Schuld) e della responsabilità (o Haftung), non disconosce la presenza, nell’obbligazione, dell’elemento personale, in quanto anzi lo pone accanto a quello patrimoniale, e quindi lo considera, altrettanto quanto questo, necessario alla struttura dell’obbligazione. Tuttavia è innegabile che questa costruzione del rapporto obbligatorio attribuisce un posto preminente, tra i due elementi costitutivi dell’obbligazione, a quello patrimoniale, e cioè alla responsabilità dei beni del debitore. Tanto ciò è vero che i più conseguenti seguaci di quella teoria tendono chiaramente o velatamente a degradare a mera aspettativa la posizione di preminenza spettante al creditore nel rapporto di debitum.» Tale configurazione del rapporto obbligatorio, nell’evidenziare la componente patrimoniale, mette in risalto il fattore della responsabilità o Haftung, che pertanto, accanto a quello del debito o Schuld diviene elemento costitutivo dell’obbligazione, la quale ultima, dunque, è pensabile come sintesi strutturale di entrambe le componenti.
Conseguenza di tale impostazione (che individua nel debito/Schuld e nella responsabilità/Haftung gli elementi essenziali dell’obbligazione) è il sorgere della responsabilità patrimoniale del debitore (non già nel momento della dell’inadempimento, ma) nel momento in cui sorge la stessa obbligazione (ossia in una fase ancora fisiologica rapporto).
Tali teorie, oltre ad essere poco aderenti alle esigenze di mercato – laddove determinano l’immobilizzazione del patrimonio del debitore, in pregiudizio all’interesse pubblicistico alla produzione e circolazione della ricchezza –, devono ritenersi oggi contrastanti con il dettato costituzionale, in particolare con gli artt. 2 e 41 Cost., che elevano a valore primario e principio cardine delle relazioni sociali la tutela della persona umana e della sua dignità in tutte le sue manifestazioni (anche quindi nei rapporti negoziali e patrimoniali). Ed in effetti, anche per ciò che concerne la responsabilità patrimoniale, l’entrata in vigore della Carta costituzionale ha indotto la dottrina verso la crescente attenzione per il profilo personalistico del rapporto obbligatorio, il cui elemento essenziale è stato quindi ravvisato nel comportamento cui è vincolato il debitore per realizzare il diritto del creditore. Secondo tale indirizzo di pensiero, più aderente al testo costituzionale, è dato distinguere l’obbligo di porre in essere una data prestazione dalla regola della responsabilità patrimoniale, con la conseguenza di negare che quest’ultima possa configurare un elemento essenziale e costitutivo dell’obbligazione. A sostegno del risultato interpretativo (predicabile anche a partire dal dato sistematico per cui l’art. 2740 c.c. è collocato nel Libro VI del codice civile inerente alla «Tutela dei diritti» e non nel Libro IV rubricato «Delle Obbligazioni») è stata richiamata anche l’analisi testuale dell’art. 2740 c.c., nel quale si stabilisce che il debitore risponde «dell’adempimento» e non già dell’inadempimento, così concentrandosi non già sull’utilità economica in favore dal creditore, quanto, piuttosto, sul comportamento cui è tenuto il soggetto passivo; in termini. R. NICOLÒ, Tutela dei diritti, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja - Branca, Libro sesto. Della tutela dei diritti (Artt. 2740 – 2899), Bologna – Roma, 1945; M.GIORGIANNI, L’obbligazione (la parte generale delle obbligazioni), Milano, 1951, p. 235; L.BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, I,
Milano, 1948, p. 69.
Nella dottrina più recente, attestata in una posizione di equilibrio tra le teorie «patrimonialistiche» dell’obbligazione e quelle che privilegiano il profilo comportamentale del soggetto passivo, si tende a scindere il rapporto obbligatorio in due fasi, una fase fisiologica ed una patologica, ciascuna delle quali assume una diversa funzione nella dinamica del medesimo rapporto obbligatorio. Più esattamente, si osserva che «in sede di adempimento, in primo piano è la persona del debitore e la diligenza con cui egli deve eseguire la prestazione dovuta, dal punto di vista patologico, dell’illecito e del conseguente risarcimento del danno, in primo piano è il suo patrimonio, inteso come complesso dei beni o piuttosto dei diritti di cui egli è titolare». F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p. 651; cfr. altresì A.