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nell’inquadramento contrattuale in Italia.

2.2. La declinazione del significato di sviluppo professionale alla dimensione docente, come può essere definito nei diversi moment

2.2.1. Per una definizione di professionalità docente

Il nuovo profilo dell’insegnante che emerge a livello europeo è quello del professionista dell’insegnamento e dell’apprendimento. Di certo perché questo aspetto risulti rappresentativo della realtà è necessario adottare un approccio alla formazione che non sia solo iniziale ma continua e fare in modo che questo tipo di orientamento possa concretizzarsi efficacemente nella prassi. (Altet, Charlier, Paquay, Perrenoud, 2006).

Nel percorso presentato fino a questo momento si è cercato di delineare, attraverso i vari modelli europei, quale sia la natura delle competenze caratterizzante il nuovo profilo emergente di insegnante; a questo proposito il minimo comune denominatore delle tassonomie analizzate evidenzia come la definizione delle competenze passi sempre attraverso un modello di professore atteso, auspicato, cercato, verso cui si tende, mostrando come questa definizione possa provenire talvolta dai policy maker, altre dai professionisti del settore e dai ricercatori scientifici (Altet, Charlier, Paquay, Perrenoud, 2006); tuttavia, come afferma Lisimberti (2006), non va dimenticato che nella professionalità si concretizza altresì la mediazione fra la professione ed il professionista-persona, il cui modo di vivere la professionalità è mediato dalle caratteristiche della personalità stessa.

A partire da questi presupposti, l’obiettivo dei prossimi passaggi è analizzare come si caratterizzano le competenze professionali della figura docente e come possono essere sviluppate attraverso la formazione iniziale e quella in itinere. Considerando la trasversalità della dimensione legata allo sviluppo professionale, che abbraccia i vari stadi della formazione degli insegnanti, sarà più complesso mantenere un approccio dedicato unicamente alla formazione iniziale sulla quale si cercherà, in ogni caso, di mantenere il

focus.

fascia retributiva solo dopo 35 anni di servizio, rispetto ad una media OCSE di 24 anni. In Italia, inoltre, gli insegnanti guadagnano circa il 40% in meno rispetto a lavoratori con un livello d’istruzione paragonabile.

È evidente come la trasformazione dei sistemi educativi a livello europeo abbia imposto un cambio di paradigma che coinvolge tanto la definizione del profilo docente nell’ambito di quadri di riferimento comuni, quanto la dimensione più strettamente correlata allo sviluppo professionale. Diventa a questo punto centrale riflettere a proposito della declinazione del significato di “professionista” nell’ambito dell’insegnamento.

Nella società post-industriale cosiddetta della “conoscenza”, l’insegnante non ha più l’autorità che gli derivava – nei diversi contesti societari – dal fatto di essere l’unico depositario della cultura emergente, colui che sapeva e decideva di conseguenza, ma si trova di fronte ad una perdita di status e alla ricerca di nuove forme di legittimazione per evitare che il proprio lavoro venga continuamente messo in discussione (Volpi, 2012).

Sempre secondo Volpi, la professionalità docente è stata trasformata e profondamente mutata per effetto di una serie di modelli storici che susseguendosi hanno ridisegnato il profilo di questa figura che oggi più che in altri momenti del passato si trova a combattere con nuove esigenze identitarie e ad agire in un contesto di transizione permanente. Drago (2003), su questa traccia, enuclea il profilo dell’“insegnante triste”, ovvero dell’insegnante che va assumendo consapevolezza del fatto che la sua crisi professionale coincide con la crisi dei saperi; la tristezza del suo immaginario professionale coincide con la perdita di senso del suo ruolo sociale.

Dovendo partire da qualcosa, i capisaldi per la definizione di una professionalità docente sono che quest’ultimo insegna sempre un certo sapere, pertanto, la sua capacità ha almeno due aspetti: il sapere da insegnare, e il saper insegnare. Anche se, come sottolinea Baldacci (2010a), la conclusione che per formare un docente occorra dotarlo di due tipi di conoscenza: la conoscenza dei contenuti della disciplina e la conoscenza dei metodi d’insegnamento, potrebbe risultare infruttuoso e controproducente, in quanto tale bagaglio potrebbe non bastare a garantire una sufficiente capacitazione professionale.

A questo proposito, Fiorin (2012), in un contributo che ha per oggetto l’evoluzione della professionalità docente, traccia sinteticamente quattro principali momenti evolutivi che hanno storicamente denotato questa figura a partire dalla Riforma Gentile ai giorni

nostri e per farlo individua due chiavi di lettura costitutive e imprescindibili: quella pedagogica e quella didattica.116

La prima tappa del suo excursus si imbatte nell’ “uomo di cultura”, in cui il profilo di docente, nel contesto dell’idealismo gentiliano, si configura per la vigorosa e precisa conoscenza della materia da insegnare. La didattica passa in secondo piano, perché è il docente colto che attraverso una conoscenza approfondita dei contenuti, è in grado di trasmettere il sapere ai suoi studenti, i quali da un punto di vista prettamente pedagogico, diventano i destinatari di una trasmissione unidirezionale. Condizione necessaria e sufficiente diventa allora la preparazione culturale dell’insegnante che assieme all’autorevolezza e al fascino che da questa possono derivarne ne completano il profilo.

La seconda tappa percorsa da Fiorin si collega all’importante momento che ha rappresentato negli Stati Uniti e in Europa l’attivismo pedagogico117, momento di profonda rivoluzione che ha imposto al sistema educativo un capovolgimento sostanziale di paradigma: non più l’insegnante e il suo sapere al centro dell’aula, ma l’alunno, con i suoi interessi, i suoi bisogni, il suo desiderio di fare, di osservare e di sperimentare. Ci si trova di fronte ad un nuovo scenario ed è evidente che cambiando drasticamente il setting didattico118, cambi inevitabilmente anche il profilo docente cui ci troviamo di fronte, un’immagine che facendo del “Learning by doing” il proprio credo pedagogico si avvicina all’idea del “maestro di bottega”.

116

Mentre la prima porta in primo piano il problema della finalizzazione, del senso che guida strategie, metodi, organizzazione, la seconda, a essa correlata, mette in luce la necessità di garantire necessaria coerenza alla credibilità pedagogica attraverso didattica di aula, metodi e tecniche della formazione che non rispondano esclusivamente a esigenze di efficienza. (Fiorini, 2012)

117

L'attivismo pedagogico è un metodo educativo che ebbe origine alla fine del XIX secolo, prevalentemente ad opera del filosofo Americano John Dewey. L'influenza di Dewey nella pedagogia moderna, americana ed europea, è stata paragonata a quella di Jean-Jacques Rousseau nell'Ottocento. L'Attivismo ha come scopo la creazione di una scuola non convenzionale, non impostata sul nozionismo e sull'ascolto passivo degli insegnanti o lo studio individuale come erano state le scuole sino ad allora, bensì eretta sugli interessi dei discenti. In altre parole, una scuola secondo la psicologia dell'alunno e non del maestro. La nuova pedagogia, secondo Dewey, deve mirare al metodo e abbandonare ogni contenuto prefissato, puntando non solo allo studio dei fatti della storia passata ma anche e soprattutto all'analisi dell'azione futura. Le nozioni sono fini a se stesse in quanto mutevoli, ciò che realmente conta è la ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. L'indagine tramite l'esperienza diretta è la sintesi di questo metodo.

118 Il setting formativo subisce una vera e propria rivoluzione, il focus non è più sulla cattedra bensì sul

contesto classe, di cui cambiano le disposizioni anche in un ottica che possa favorire l’interazione e il lavoro di gruppo.

Il penultimo profilo ripercorso da Fiorini è quello dell’ “esperto di disciplina” che si afferma successivamente alle prime critiche mosse all’attivismo pedagogico.119

Pur non venendo messa in discussione la centralità dell’alunno nel suo processo di apprendimento, viene avviata una profonda riflessione finalizzata ad individuare quali possano essere gli strumenti più efficaci per attivarla. La disciplina inizia ad esser concepita come un sapere strutturato che comprende al suo interno una molteplicità di conoscenze, di vario tipo e livello di complessità, ma il suo vero elemento fondante è dato dalle procedure metodologiche utilizzate nel suo incessante lavoro di ricerca. Il profilo docente emergente in questo terzo caso si denota per la capacità di privilegiare orientamenti di ricerca più che per possedere unicamente dei contenuti, gli viene quindi richiesto di conoscere bene la propria disciplina secondo un approccio “bruneriano” dei metodi più che “gentiliano” dei contenuti.

L’ultima evoluzione ripercorsa è quella che si identifica con il “Membro di

comunità” che richiama il passaggio da una scuola dei programmi ad una scuola del curricolo. Il contesto è quello degli anni ’70, fase in cui i sistemi scolastici vengono messi

fortemente in discussione sia all’esterno che al proprio interno. In un momento in cui gli insegnanti rivendicano maggiore responsabilità, la proposta del curricolo sembra porsi come il giusto punto di incontro tra ricerca pedagogica, formazione e mediazione tra istanza partecipativa e professionalizzante. A partire da questa fase il profilo professionalizzante si arricchisce della dimensione collegiale, partecipativa e di quella di ricerca e sviluppo professionale.

Lo stadio evolutivo attuale, si confronta con un profilo di insegnante che coltiva la sua professionalità non più in una dimensione di isolamento metodologico, ma nel contesto reale di pratiche di condivisione. Tali pratiche di progettazione condivisa – quali la collegialità prevista nell’elaborazione curricolare, i processi di interazione con il territorio – diventate ulteriormente pregnanti con l’avvio dell’autonomia, hanno spostato l’asse della responsabilità formativa dall’individuo alla comunità. (Alessandrini, 2012).

Per Alessandrini parlare di comunità non può non far riferimento all’idea di apprendimento collettivo o organizzativo. In questa visione, lo sviluppo professionale

119 Una delle maggiori critiche mosse all’attivismo pedagogico è stata quella di aver “sminuito” la centralità

del sapere disciplinare mettendolo spesso in secondo piano senza considerarne l’importanza in relazione ai processi di apprendimento.

dovrebbe conseguire ad un esercizio della professionalità attento ai processi di scambio e di condivisione di pratiche nell’ottica del miglioramento globale.