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Il Piano Nazionale Anticorruzione

La funzione principale del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) è quella di assicurare l’attuazione delle strategie di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, elaborate a livello nazionale e internazionale, è finalizzato in primo luogo ad agevolare la piena attuazione degli strumenti di prevenzione della corruzione disciplinati dalla legge; infatti ciascuna amministrazione analizza le condizioni che potrebbero determinare situazioni di corruzione e cerca di individuare preventivamente dei rimedi. Per l’elaborazione del PNA è stata seguita una procedura di consultazione nella quale sono stati coinvolti i membri del Governo, le principali Autorità istituzionali in materia, la World Bank e la O.N.G. Transparency-International.

I contenuti del PNA sono strutturati in tre sezioni: nella prima sezione sono esposti gli obiettivi strategici e le azioni previste da implementare a livello nazionale; la seconda sezione è dedicata all’illustrazione della strategia di prevenzione a livello decentrato, cioè a livello di ciascuna amministrazione, e contiene le direttive alle pubbliche amministrazioni per l’applicazione delle misure di prevenzione, tra cui quelle obbligatorie per legge (un ruolo fondamentale in questo contesto è rappresentato dall’adozione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, con il quale viene disegnata la strategia di prevenzione per

135 L. Donato, La riforma delle stazioni appaltanti. Ricerca della qualità e disciplina europea, Quaderni di ricerca giuridica, n.80, febbraio 2016 in www.bancaditalia.it, pag.101.

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ciascuna amministrazione); la terza sezione contiene indicazioni circa le comunicazioni dei dati e delle informazioni al Dipartimento della Funzione Pubblica136.

Sono destinatarie del Piano tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le Regioni, gli enti del S.S.N., gli enti locali e gli enti ad essi collegati, gli enti pubblici economici, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, le società partecipate e quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. per le parti in cui tali soggetti sono espressamente indicati come destinatari. Per enti di diritto privato in controllo pubblico si intendono le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, sottoposti al controllo da parte di amministrazioni pubbliche137, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi. Poiché il PNA è uno strumento finalizzato alla prevenzione, il concetto di corruzione che viene preso a riferimento nel presente documento ha un’accezione ampia: esso è comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati138.

La prima parte del PNA, dedicata alle strategie di prevenzione, riporta la seguente definizione di corruzione: “le varie situazioni in cui nel corso dell’attività amministrativa si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”, sottolineando che “le situazioni rilevanti sono più ampie della fattispecie penalistica” e sarebbero quelle in cui “a prescindere dalla rilevanza penale venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, attraverso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo”. Anche questo tentativo di ampliamento dei comportamenti corruttivi al di là della sfera penalistica risulta inefficace perché nulla si aggiunge alla fattispecie del reato di corruzione di cui all’art. 318 cod. pen.

136 Piano Nazionale Anticorruzione (Legge 6 novembre 2012 n. 190 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).

137 Ai sensi dell’art. 2359 c.c.

138 Piano Nazionale Anticorruzione (Legge 6 novembre 2012 n. 190 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).

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La seconda parte del PNA è dedicata alla “Strategia di prevenzione a livello decentrato”, da attuarsi da parte di ciascuna amministrazione pubblica. In questa parte il PNA esplicita le “direttive alle amministrazioni per l’elaborazione della strategia di prevenzione”139.

Poiché il quadro di riferimento delle azioni anticorruttive “decentrate” è il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC), da adottarsi da ciascuna amministrazione, le direttive del PNA sono riferite in primis a tale strumento, definito dallo stesso PNA come “documento di natura programmatica che ingloba tutte le misure di prevenzione”. Il PNA indica, quindi, i macrosettori in cui si deve articolare ciascun PTPC: i soggetti coinvolti attivamente (responsabili della prevenzione) e passivamente (quelli che operano nelle aree di rischio); le aree di rischio (autorizzazioni e concessioni, scelta dei contraenti, concorsi); le misure obbligatorie, indicate dalla legge e dallo stesso PNA; le misure ulteriori, individuate dallo stesso PTPC; i tempi ed i modi di monitoraggio, nel tempo, e di adeguamento del PTPC; il PTTI, cioè il Piano Triennale per la Trasparenza. Il PNA puntualizza di seguito i contenuti minimi del PTPC; la descrizione del processo di adozione, l’indicazione delle aree a rischio, la metodologia seguita per la valutazione del rischio, le schede di programmazione delle misure di prevenzione, la formazione in tema di anticorruzione, i codici di comportamento adottati, le “altre iniziative” (ad esempio i criteri di rotazione del personale e l’obbligo per il responsabile della prevenzione di redigere una relazione annuale), la pubblicazione del PTPC. Il PNA aggiunge alcuni obblighi, relativi ai soggetti, alle misure e azioni per la prevenzione, alle aree di rischio, alla valutazione e gestione del rischio140.

In particolar modo, il piano triennale di prevenzione della corruzione deve rispondere alle seguenti esigenze141: individuare le attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio di corruzione; prevedere meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione; prevedere obblighi di informazione nei confronti del responsabile della prevenzione della corruzione, chiamato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del piano; monitorare il rispetto dei termini, previsti dalla legge e dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti; monitorare i rapporti tra l’amministrazione

139S. Amorosino, Il Piano Nazionale Anticorruzione come atto di indirizzo e coordinamento amministrativo,

Nuove Autonomie n. 1/2014, pag.30.

140 S. Amorosino, Il Piano Nazionale Anticorruzione come atto di indirizzo e coordinamento amministrativo, Nuove Autonomie n. 1/2014, pag.30.

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e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati da procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell’amministrazione; individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge. Il piano triennale di prevenzione della corruzione si presenta, quindi, come un programma di attività, con indicazione delle aree a rischio e dei rischi specifici, delle misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici, dei responsabili per l’applicazione di ciascuna misura e dei tempi. Tale piano deve contenere tutte le misure obbligatorie per trattare il rischio (previste obbligatoriamente dalla legge o da altre fonti normative), e le misure ulteriori che diventano vincolanti una volta inserite nel piano.

Ai fini della predisposizione del piano triennale di prevenzione della corruzione il prefetto fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali, anche per assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel PNA approvato dall’Anac. Inoltre, le amministrazioni procedono alla formazione del personale maggiormente esposto al rischio di corruzione e in ciascuna amministrazione viene introdotta la figura del responsabile della prevenzione della corruzione. Infatti, per assicurare l’efficacia dei piani di prevenzione della corruzione, il legislatore ha ritenuto di istituire nelle amministrazioni un soggetto che ha un forte interesse alla loro elaborazione e applicazione142. Le sue funzioni sono volte a guidare il processo di formulazione e adozione del piano di prevenzione della corruzione e a verificarne l’attuazione, deve predisporre adeguati meccanismi organizzativi volti a impedire o a far emergere i fatti di corruzione, predispone il piano della prevenzione da sottoporre agli organi di indirizzo politico e provvede a svolgere una serie di compiti di supporto importanti per la tenuta complessiva del sistema della prevenzione, verifica l’efficace attuazione del piano, verifica l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è

142 N. Gullo, La politica di contrasto alla corruzione in Italia ed i soggetti responsabili della prevenzione

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più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione, procede all’individuazione del personale da inserire nei programmi di formazione143.