6 UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE: L'ITALICUM 6.1 La sentenza della Corte Costituzionale n.1 del
7.3 I pregiudizi sulla figura del premier
Anche in questo passaggio l'Italia si è a mio avviso contraddistinta per un diffusi pregiu- dizio circa figura del premier che da sempre ne hanno scandito la storia.
La Costituente infatti, ancora scottata dall'esperienza fascista, concepì la Costituzione sotto l'ossessione di un ritorno alla dittatura. Ossessione che, come ricorda Montanelli, spesso ne condizionò e viziò gli istituti287. Riportando in seguito la posizione in merito
dello storico fiorentino possiamo capire come da sempre questa figura non sia vista di buon occhio nella logica italiana. Montanelli ricorda come la Carta Costituzionale fu te- nuta a battesimo da due forze politiche: quella cattolica e quella marxista. Entrambe era- no estranee – e non ostili- al Risorgimento e ai suoi valori. Nonostante quella che Mon- tanelli definisce una procedura di stesura molto farraginosa con la conseguenza rilevata stavolta da Piero Calamandrei che “quando si arriverà a montare questi pezzi usciti da
diverse officine ci si potrà accorgere che gli ingranaggi non combaciano e le giunture del motore non coincidono, secondo lo storico fiorentino la Carta Costituzionale ebbe
invece un'impronta unitaria nella “voluta debolezza del potere esecutivo, nel nome di un
parlamentarismo esasperato che nel tempo si trasformerà in partitocrazia e lottizzazio- ne”...”con un sistema bicamerale che finirà per diventare il trionfo della lentezza, il tutto unito alla girandola di governi, alla perennità della crisi, all'esigenza da parte del Presidente del consiglio e dei suoi ministri impegnati più a sopravvivere che ad ammi- nistrare”. In definitiva il disegno era ben preciso: castrare l'esecutivo288. Sempre ripor-
tando Montanelli “per il Pci perchè una democrazia debole era facilmente infiltrabile e
rovesciabile,per la Dc perchè un Fronte Popolare trionfante alle elezioni del '48 avreb- 287 I. Montanelli I. – M. Cervi la Storia d'Italia, l'Italia della Repubblica, Fabbri Editore 1994
be trovato, proprio in quella Costituzione, più di una remora all'instaurazione di un po- tere autoritario. Da qui la previsione di veri e propri baluardi per le opposizioni, che
però la Dc una volta al potere si guarderà bene di applicare fino agli anni '70.
Questa logica è purtroppo emersa anche negli anni successivi, ne sono riprova i numero- si fallimenti delle varie commissioni, precedentemente esaminate, incaricate di apporta- re le modifiche necessarie alla Carta Costituzionale e per varie ragioni finite nel nulla. Voglio terminare con una domanda, mi piacerebbe capire infatti se realmente gli italiani sono più preoccupati della perdita di rappresentatività in nome di un premier forte (o di un premier assoluto, come si è più volte detto) o se forse siano delusi e impauriti da un immobilismo della classe politica che da anni pervade la storia della Repubblica.
Io credo fermamente che siano più spaventati da questo immobilismo che pian piano corrode la pianta dalle radici e che risucchia la linfa necessaria allo Stato per sopravvi- vere, il resto sono soltanto pregiudizi.
E' la politica stessa che spesso è mobilitazione di pregiudizi, in questo caso viene mobi- litato il pregiudizio che la leadership coincida con la tirannia. Prendiamo l' Italicum: è vero forse non sarà la migliore delle leggi elettorali, forse non riuscirà a garantire la sta- bilità spesso sbandierata, però è una decisione politica e le decisioni non sono un vizio da evitare ma una virtù da coltivare.
Si può dire che il ballottaggio finirebbe per condizionare fortemente il Presidente della repubblica nella scelta del capo del Governo, ma allora mi chiedo se non lo sia già così l'attuale legge elettorale. Si può dire che il leader non sia tale se non riesce a costruire consenso prima di tutto all'interno del suo partito e che anche con l'Italicum i trentadue dissidenti PD avrebbero ugualmente determinato la crisi del partito, però in realtà siamo stanchi delle grandi coalizioni eterogenee che governano in modo pessimo. Perché non diciamo invece che sì una riforma elettorale non può garantire la la democraticità inter- na al partito e quindi il gruppo dovrebbe essere unitamente d'accordo, ma occorre oggi più che mai un salto di qualità in termini di disciplina di partito, di democraticità inter- na, di serietà e di usi politici e quindi l'esigenza di una legge, possibilmente condivisa, che vado a regolamentare proprio i partiti.
Basta vedere nella figura del leader l'immagine del capo che parlava dal balcone di Pa- lazzo Venezia, basta pensare che un potere diffuso riesca ad arginare ogni tipo di deci- sione che non sia presa a consenso vastissimo perché un sistema che non ha capacità de-
cisionale affida ad altri il compito di prendere decisioni al suo posto.
Mi chiedo perché nella grandi democrazie europee nessuno si sognerebbe mai di identi- ficare il leader nell'uomo solo al comando piuttosto che nel despota del partito. Le gran- di democrazie non funzionano senza leader. I leader producono beni collettivi. Natural- mente, nessuna grande democrazia è priva di meccanismi per controllare quei leader, sia a livello delle istituzioni che all’interno dei partiti. Tant’è che esse hanno governi e par- titi “con” il leader, e non già “del” leader (una distinzione che sembra sfuggire anche a non pochi politologi). Non occorre avere due camere che abbiano gli stessi poteri per te- nere sotto controllo il potere esecutivo. Anzi. Così come è errato assumere che spetti al potere legislativo vigilare sul potere esecutivo. Nei parlamentarismi maturi, il governo è tenuto sotto controllo dall’opposizione. Il Parlamento è il luogo dove governo e opposizione si scontrano in nome dei rispettivi elettorati e non delle proprie oligarchie. Attraverso quel confronto gli elettori possono maturare le loro opinioni. Le democrazie moderne sono democrazie elettorali di massa. Non già quei regimi di ottimati che suscitano la nostalgia dei difensori del parlamentarismo assemblearista289.
Non è forse vero che se oggi assistiamo a personaggi che hanno anche soltanto la par- venza dell'essere decisionisti le persone subito se ne innamorano? Questo non è forse il risultato di anni di immobilismo e mala politica? Adesso basta che la promessa sia ven- dibile e che la figura segni una certa discontinuità rispetto al passato per essere appetibi- le. E' quel fenomeno che in ultima istanza è conosciuto con il nome “crisi della politica” che si sta diffondendo non in Italia, ma nell'intera Europa sotto le forme più svariate e che si sfocia poi nella derive plebiscitarie e nei movimenti antisistema. Il Movimento 5 stelle, ne è la riprova, nonostante il fallimento politico nei sondaggi si attesta ancora a livelli elevati (attorno al 20%). L'esigenza è quella di rompere, di cercare qualcosa di di- verso da quella politica che ormai ha nauseato tutti. Senza fare le analisi del sangue alle idee e ai programmi. Ma attenzione: un partito che non abbia un ancoraggio ideologico e si basi soltanto sulla protesta, non potrà avere un domani, ma non è detto che non ab- bia un presente.
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