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e crudelmente voi stessi.
Oh che questo rimprovero sarebbe fatale per noi.« Infelici, a cui altra gloria non resta, che quella di un lungo patire o di
« un morir libero, ed alto, possano le vostre lagrime, le vostre voci, i vostri
« gemiti, e il suono orrendo delle vostre catene penetrare fino a noi, muo-
« vere, e intenerire a segno i nostri cuori, ch’essi non respirino che per
* la patria, e per voi!
[N. 60, pag. 470] « Che i partiti siano fatali alle Repubbliche anzi, quasi
« sempre le cause dirette della loro caduta, le storie della Grecia, di Roma,
« di Firenze e di Venezia chiaramente ce lo provano. Fu sempre in mezzo
« alla rabbia, e al bollore dei partiti, che qualche potente cittadino surse ad
« occupare la libertà della sua patria, o che qualche bellicoso e fortunato
« straniero giunse a conquistare l’altrui paese. E come le cose presenti fanno
« tale impressione sugli animi nostri, che le passate ora mai più non fanno,
« così credo ci sarà più utile il fare qualche riflessioncella su quelle, lasciando
« queste per ora da un canto. E andiamo subito alla Francia poiché il par-
« lare di quegli
aborti politici
che non ha molto in Italia chiamavansiRe-
«
pubbliche,
sarebbe non meno a me che ad altri noioso. Ognun sa, che« Repubbliche quelle non erano, giacché di Repubblica non ha l’ombra nep-
« pure quel Governo, in cui nè elegge, nè riconosce il Popolo i suoi Ma-
« gistrati, e dove la volontà, e la forza dello straniero tiene luogo di
« costituzione, e di legge. Più che Repubbliche chiamar quelle si poteano
« labirinti, dove si cercava la libertà senza trovarla, si faceano leggi senza
« eseguirle, dove le passioni di pochi schiavi ambiziosi si contendevano fra
« di esse l’ombra di un comando più vile forse del servaggio medesimo, e
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« dove infine il Popolo errava, qual branco di pecore, senza sapere chi lo
« reggesse, anzi per dir meglio chi dovesse abborrire. Lasciamo adunque
« da parte quegli affari, e attingiamo dalla rivoluzione francese qualche le-
« zione. Chi bene il corso ha seguito di quella più ch’altra grande, e disa-
« strosa rivoluzione, vedrà che dal suo principio fino al presente essa non
« fu che una lotta perpetua, ed incessante di partiti, e che ogni epoca di
« un nuovo cangiamento nel sistema politico, fu segnata mai sempre dal
« trionfo di un partito su l’altro. Egli è certamente a questa sola causa che
« devesi attribuire que’ tanti effetti, che le avevano impedito fino ad ora
« d’inalzare sopra ferme, e solidissime basi l’edifizio maestoso di una saggia,
« e ben governata Repubblica. E se un uomo dotato del doppio genio di
« condurre armate, e di governare (cose tutte due difficilissime, e rarissima-
« mente in un sol uomo congiunte) surto non fosse in Francia, fra pochi
« mesi avremmo forse veduta quella Repubblica o da mani temerarie sfasciata,
« o da nuove intestine discordie sbranata, oppressa, e distrutta. Le sue ca-
« laniitose circostanze richiedevano un uomo, che potesse tutti i partiti ricon-
« ciliare anzi opprimere, essendo a tutti pel suo genio superiore; che forte
« della pubblica confidenza, che i suoi servigi gli aveano meritata, osasse
« di tiranneggiare il disordine per ricondurre l’ordine, e l’armonia nei Poteri,
« che circondato da saggi, e probissimi cittadini potesse contare su l’utilità
« delle loro fatiche, e sulla bontà delle sue scelte; che armato di questa fie-
« rezza, che mal confondesi con l’orgoglio, e che propria è soltanto di un
« cuore più che comune, e nato a cose che il più degli uomini ardisce appena
« d’immaginare, lacerasse le bende, che coprivano le piaghe della Repubblica,
« alla Nazione tutta le mostrasse, e avesse lo smisurato coraggio di promet-
« terle la sua intera salvezza. Tale era Bonaparte.
« Tacciono ora i partiti quasi abbagliati dalla grandezza sua, e possano
« essi per sempre tacere. La Repubblica così sorgerà rispettata e imponente
« al di fuori, libera, e felice al di dentro! »
A rileggere questa prosa si sente l’eco di cose altra volta udite e co
nosciute: « 1 partiti generano le discordie, le discordie le divisioni, le divi
sioni la debolezza e questa infine trae seco la rovina di ogni setta o Repub
blica. Però mi pare che la principale saggezza di ogni Governo, o di qualsiasi corpo che lungamente desideri mantenersi libero massimamente consista nel saper rimuovere da lui codesti partiti spegnendone, anzi che sorgano, i se
mi ». È un’illusione o c’è qui qualche cosa che arieggia l’introduzione del primo discorso
Della servitù d'Italia:
« A rifare l’Italia bisogna disfare le sette? » E pensieri, frasi, parole ricordano altri passi: « allo straniero converrà prima istigarle, onde più sempre signoreggiare per mezzo di esse l’Italia ».
L’appello « O Italiani rifugiati io parlo a voi » e l’altro « Italiani (io ardisco di
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chiamarvi tali) » richiamano l’invocazione agl’italiani nell’orazione a Bonaparte e i frequenti appelli nei discorsi « Parlerò dunque ad alcuno di voi Senatori » e specialmente il celebre passo « O Italiani io vi esorto alle storie...O miei concittadini è scarsa la consolazione di essere puro e illuminato senza pre
servare la nostra patria dagli ignoranti e dai vili ». E a questo passo può essere accostato l’altro deH’articolo: « Non è già dall’autorità o dalla dottrina eli io ripeta il diritto di pai larvi che poco l’una e nientissimo l’altra potrebbe, anche avendola, valere in questo caso, ma dalle sventure e dalle persecuzioni eh io altamente mi onoro di divider con voi » dove ricompare un atteggia
mento spirituale caro e frequente nel Foscolo.
Un di, s io non andrò sempre fuggendo Di gente in gente...
...E me che i tempi e il desio d’onore Fan per diversa gente ir fuggitivo...
Lo stesso accenno finale a Bonaparte riordinatore e vincitore richiama il concetto ripetuto nel discorso allo Championnet e nella dedicatoria pre
messa all’Ode mandata appunto da Genova al Bonaparte: « ed è vero pur
troppo, che il fondatore di una repubblica deve essere un desposta ». Ma oltre la coincidenza di frasi staccate e di pensieri, che potrebbe essere casuale, oltre all esposizione di idee che non erano soltanto sue ma alle quali egli dava forza e il pregio della sua espressione, com’era avvenuto nel discorso sull Italia, altri elementi inducono a pensare che questa prosa possa apparte
nere al Foscolo; il tono e lo stile confrontato con gli altri scritti suoi politici e oratori, e il tempo e il luogo del suo apparire.
II
Discorso su l'Italia
fu pubblicato fra il 9 e il 12 ottobre 1799 e la dedica premessa all’Ode porta la data del 5 agghiacciatore, 26 novembre.E vero che ai primi di gennaio il Foscolo non era a Genova ma egli fece la spola in quei mesi tra Genova e Nizza finché prese parte, com’è notissimo, alle fazioni dell assedio. Ma allora i giornali non avevano fretta e quello scritto che, se esprimeva idee largamente diffuse, porta la sua impronta per
sonale, può essere stato composto tra Fottobre e il novembre o anche dopo, così a Genova come a Nizza, e stampato appena il
Redattore
, che in quel periodo taceva, ebbe ripreso le pubblicazioni. Già giornalista a Milano e a Bologna, non è affatto improbabile che la febbrile attività, tra un amore e 1 altro e tra i diversi uffici militari, egli impiegasse anche a scrivere ed ammonire i compagni di speranze e d’esilio in quel giornale che per gli accenti fieramente liberi contro le spogliazioni violente dei francesi più si accostava al suo sentimento e ne interpretava le aspirazioni e poteva anche accoglierne,
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-senza firma secondo Fuso del tempo, gli scritti; quel giornale (forse vi col- laborava qualcuno dei poeti e scrittori suoi amici e commilitoni?) che egli conosceva come indubbiamente dimostra 1’ articolo sulle tombe degli uomini grandi.
Amo credere che quello scritto appartenga a Ugo Foscolo; comunque, per le idee che vi sono espresse, per l’alta concezione d’italianità che lo per
vade, per il calore del sentimento, per la forma stessa ond’è rivestito, non appare certo indegno di lui.
D. GUGLIELMO SALVI
O. S. B.
PER LA STORIA DEL FINALE
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TRE QUISTIONI DI STORIA FINALESE
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