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strata de burgo ad mare; via qua itur de Burgo ad mare; viam a parte

(1) Statuta citt., cap. LXXXIV, pag. 45.

(2) Be l o r a n o, Registro Arcivescovile, Vol. I, Parte 1, pag. 241.

(3) Qa n d o q l i a, Op. cit., in Atti citt., Vol. II, pag. 5S6-(4) Ga n d o g l i a, Op. cit., in Atti citt., Vol. II, pag. 597.

(5) Ar t u r o Fe r r e t t o, Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova (1141-1270),

Pinerolo, Tipografia Chiantore-Mascarelli (1906), in Biblioteca della Soc. Stor. Subalpina,

Vol. XXIII, pag. 185.

(6) Statuta citt., Cap. LXXXVIII, pag. 49.

(7) Statuta citt., cap. LV, pag. 24.

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burgi usque ad mare durantem

(1) quella che dal Borgo porta alla marina.

E mentre la larghezza delle prime doveva essere determinata dai periti giurati:

iuratores,

di ciascuna compagna, la larghezza della seconda doveva essere determinata dai periti giurati del Borgo unitamente al Giudice o Vicario o Castellano (2): segno che gli interessi maggiori per questa strada riguardavano i borghesi, o, se così piace meglio, la capitale del marchesato.

E la nuova denominazione data alla

ripa Finarii: mare,

presa dal Silla come uno dei tanti nomi propri del paese ipotetico, ci ripete ancora che la

ripa

in verità non indicava un paese, ma solo la spiaggia, e il nuovo nome:

mare

, è preso nel suo significato comune.

Dal decreto fatto dal marchese Antonio il 23 febbraio 1310 a riguardo dei pescatori, il citato autore vorrebbe rilevare « la presenza « ad Mare » d’una classe di persone, che vivevano, come tuttora, del mare », mentre scrive che « Una metà della pescagione, durante la quaresima,

« doveva essere venduta nel Borgo del Finale, l’altra metà era destinata

«

a quelli che abitavano presso il mare

, soggetti al Marchese » (3).

La chiosa fatta agli statuti per quel che riguarda la « classe di per­

sone che vivevano del mare » e l’altra metà di pesci « destinata a quelli che abitavano presso il mare » non corrisponde a verità. E bene riportare il passo, per sincerarci della cosa: « quelibet persona undecumque sit, que

« de cetero pisces ceperit . . . debeat ... asportare ... ad Burgum Finarii

« scilicet ubi pisces consueverunt vendi tempore Quadragesimali medie-

« tatem omnium piscium quos ceperit tam grossorum, quam minutorum ad

« vendendum ipsos pisces . . . . De reliqua vero medietate vendere teneatur

« ad Mare districtualibus Domini Marchionis ad minutum dimidiam ipsius

« medietatis et alias de reliqua tertia parte de reliqua dimidia possint facere

« quicquid vellint seu voluerint » (4).

Qui non si parla di pescatori abitanti all’ipotetica Marina, ma di

quelibet persona undecumque sit;

e i pesci non dovevano vendersi a quelli che abitavano presso il mare, ma agli abitanti di tutto il distretto del marchese.

La disposizione dello statuto rispecchiava una mentalità allora assai comune, di proibire, cioè, la vendita di tutti i pesci alla spiaggia. Anche gli statuti di Albenga prescrivevano che da Pasqua a S. Michele i pescatori portassero ad Albenga metà dei loro pesci, venerdì e sabato; da S. Michele

(1) Statuta citt., cap. LV, pag. 24 e Cap. LXIV, pag. 28.

(2) Statuta citt, cap. LV, pag. 24.

(3) Op. cit., pagg. 101 e 102.

(4) Statuta citt., pagg. 31 e 32.

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a Natale, mercoledì, venerdì e sabato; da Natale a Carnevale, di nuovo solo il venerdì e il sabato; da Carnevale a Pasqua ogni giorno. DeH’altra metà potevano vendere

vicinis suis

(1).

Oli statuti seguitano a farci conoscere meglio lo stato della

ripa maris Finarii,

quando riferiscono la prescrizione marchionale di non costruirvi case.

Per meglio comprendere il valore del documento conviene ripor­

tarlo per intiero.

* De aedificijs, factis et fiendis in ripa Maris. Cap. LXXVII.

« Item statuit, ut infra, & praecepit inuiolabiliter obseruari, quod de

« caetero aliquis in ripa Maris non possit domificare, nec aliquod aedificium

« facere, nec aliquod domificamentum de nouo sine mandato dicti Domini

« Marchionis, excepitis illis quibus ipse Dominus licentiam dedit, & qui

« contrafecerit paenam lib. quinquaginta incurrat, & aedificium dirruatur. Et

« si bis bannum incurret tunc foret forestatus, & praedicta confitetur incur-

« risse. Item, quod Barberij, vel officiales aliqui, ibi stare non possint,

« nec debeant, nec aliqui mercatores siue per stratam euntes possint, vel

« debeant ibi hospitari, nisi stricto sero ibi venirent, exceptis qui per

« Mare venerint, & habent barchas, & ligna; mercantia vero ibi non fiat,

« nec fieri possit, nisi dicta mercantia per Mare deportetur. Et si eam

« mercantiam aliquis fecerit, vel facere voluerit, ut praedictum est; iudicem

« vocare debeat, & Vicecomitem ambos, vel unum ipsorum, qui licentiam

« dare contrahendi possint. Item, quod aliqua mercantia ibi non ponderetur,

« nec possit, nec pondus, siue cantare ibi portetur aliquo modo, granum

« vero quilibet emere possit, in quantum sibi pro sua familia fuerit

« necesse. Item, quod ad minutum aliqua non vendantur, nisi in hospitiis,

« siue albergarijs, nec aliqua mercantia fieri possit nisi ut praedictum

« est. Qui contrafecerit paenam solidorum quinquaginta Januae in currat

« sine mandato, ut praedictum est. Item, quod de caetero ibi aliqua

« persona habitare non possit, nec habere habitaculum sine licentia, &

« mandato dicti Domini Marchionis dectract. & except- illis qui consueti

« habitare sunt, latum per Magnif. D. Iacobum de Carretto Anno Domini

« Millesimo CCLVIII. prout in volumine veteri.

« Item statutum est, & ordinatum, quod nulla persona possit facere,

« nec debeat, nec fieri facere aliquam domum, vel aliquem murum ad Mare,

« vel inceptam, seu factam non possit altius tollere sub paena aeris, & per-

« sonae, & si quis contrafecerit deriuatur aedificium, nec debeat, seu pos-

« sit aliquis inde preces Domino Marchioni offerre in banno, & sub banno

« pro qualibet vice solidorum centum pro quolibet qui preces obtulerit » (2).

(1) Ac c a m e, Op. cit., pagg. 295 e 296.

(2) Statuta citt., cap. LXXVII, pag. 39.

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-La prescrizione si compone di due parti. -La prima emanata da Giacomo del Carretto rimonta al 1258; la seconda da Antonio, più moder­

na di 50 anni e poco più, conferma e son per dire aggrava la prima, rin­

novando la proibizione ed aggiungendovi una forte sanzione in caso che si osasse ricorrere per grazia al marchese.

Fin dal titolo ci appare che sulla riva del mare vi erano già degli edifizii. Ad alcune persone il marchese aveva dato il permesso di innalzar- vene degli altri, ma in linea generale non si voleva che queste case si moltiplicassero senza controllo veruno, anzi si proibì ai barbieri ed agli ufficiali di fissare presso il mare la loro residenza. Si limitò il mercato ai ge­

neri arrivati per mare; il grano si poteva comperare solo per il fabbisogno di ciascuna famiglia; al minuto si doveva vendere solo agli alberghi, che del resto non potevano alloggiare se non persone arrivate ivi a tarda ora o che avessero ivi barche o legni da custodire. Per chi volesse farvi altri mercati era necessario il permesso del Giudice o del Visconte, essendo assolutamente vietato di portare ivi le misure di peso o il cantaro. In generale non poteva abitare presso il mare veruna persona che non ne avesse ottenuto il permesso. La pena per chi vi costruiva qualche casa era di 50 lire con la distruzione dell’edificio, per gli altri di soldi cinquanta.

La seconda parte, che è una conferma della prima, rinnova la proi­

bizione di fabbricare ivi o di aggiungere qualche piano alle case già esi stenti. Ai contraffacenti si minaccia la distruzione della fabbrica, impedendo loro di ricorrere al marchese sotto pena di cento soldi.

Quale fu il movente che indusse il legislatore a fare e confermare un decreto così draconiano?

Il Garoni ascrive la proibizione alla pretesa de’ genovesi di voler es­

sere padroni della spiaggia (1); il Celesia al buon animo di Giacomo del Carretto, il quale volle « assicurare i suoi sudditi dalle piraterie turchesche

« che infestavano i paesi più littorani (2) ».

Gli scrittori marinesi la pensano diversamente. Un manoscritto con­

servato alla Biblioteca civica afferma: « gli altri luoghi poca anzi nulla

« difficoltà metteano innanzi al marchese nelle sue mire (di costruire il

« nuovo borgo). Solo Finale Marina Io inceppa. Dunque all’oppressione

« ed ecco il decreto di esso Giacomo datato 1258 » (3).

Il Siila nel decreto del marchese Giacomo vede la rovina « di quella

(1 ) O p . c it ., p a g . i l i . (2) O p . c it ., p a g . 20.

(3) Biblioteca Civica Berio, Allegazioni, Tomo II, segnato: D bis, 5. 1. 20. Causa Ecclesiastica in Allegazione dell’Arciprete | e canonici di Final Marina \ contro \ la

Collegiata di Finalborgo \ 1841,

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« attività marinara la quale era fonte di lucro per il Finale a scapito della

« superba Genova », ma subito dopo con poca congruenza parla di una squadra finalese che nel 1282, proprio sotto le insegne di Genova, va contro Simoncello, conte di Ginarca, costringendolo ad abbandonare il suo castello di Porto Bonifacio per rifugiarsi a Pisa; e ricorda che nel 1284, presso lo scoglio della Meloria, « il fiore di gioventù dei Finale » portò sì valido aiuto alla nave dei Zaccaria già in procinto di piegare che decise della vittoria (1).

Comunque il giudizio di Silla è condannato dal fatto, cui abbia­

mo accennato più sopra, che gli statuti tutelano il patrimonio boschivo appunto per apprestare materia prima al cantiere locale, segno che il legi­

slatore vedeva di buon occhio e curava quanto poteva il suo sviluppo, ma lo sviluppo del cantiere non implicava nella mente dei marchesi lo sviluppo delle case che presso di esso potevano essere state edificate.

Chi volesse stabilire il motivo, per cui si venne a così gravi proibi­

zioni, andrebbe incontro a molte difficoltà, non avendo sotto mano sicuri elementi di giudizio.

Forse la protezione del Borgo, in cui si accentrava la potenza carret-tesca; forse il desiderio di privilegiare alcune famiglie; forse le mire di Genova che accampava pretese sulla spiaggia; forse il timore delle piraterie barbaresche; forse la cura di salvaguardare più facilmente i diritti mar­

chionali sulla

ripa

; forse tutti questi motivi insieme contribuirono a far ema­

nare quel decreto, che limitò nel suo nascere il primo indizio di vita, di cui ci parli la storia, su quella spiaggia. Certo è che un tale provvedimento non si sarebbe potuto adottare contro un paese già sviluppato nel numero non indifferente delle sue case e nella tradizione animatrice di una comu­

nanza di idealità ed interessi.

11 decreto di Giacomo del Carretto e la conferma portatavi da suo figlio Antonio nel 1310 non oppressero completamente i primi germi di vita che si aprivano ad un sicuro rigoglio, solo troncarono le speranze che sorridevano a quel luogo per un lieto avvenire, come facevano presagire la sua posizione incantevole e la floridezza dei suoi traffici.

A queste conseguenze emananti dai dati di fatto ora posseduti si oppone il Michelini che vuol vedere sulla

ripa

« una vita piuttosto intensa ».

A conferma di questa sua opinione porta l’esistenza della pieve « a cui tutto il Finale da secoli accorreva come al primo suo centro religioso e che doveva dar luogo a costruzioni di case, e al formarsi quindi di un

(1) Op cit. pag. 100. Per la verità debbo rettificare che l’annalista non parla della nave dei Zaccaria ma"dei D’Oria (Cfr. Imperiale, Op. cit., Vol. V, pag. 55),

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qualche borgo ». Inoltre al borgo ipotetico dà « una vita propria » cioè la Comunitas della Compagna Maris » (1).

Intanto noi osserviamo che i due argomenti portati per sostenere a esi errata mostrano un grave segno di debolezza nel fatto stesso che primo vorrebbe fare esistere questo paese presso la pieve, il secondo presso il mare.

i ■ ^ sam 'niamo*' entrambi; e la critica oggettiva li farà cadere sotto i colpi del suo piccone demolitore.

La pieve di S. Giovanni del Finale ci comparisce nei documenti e a 'vamen*e *arc^‘ essa Ubiamo il primo accenno nella donazione fatta di d' ^ IU^ n° *^24 dal marchese Giacomo al monastero di Millesimo / a Ieci scandagli di vino, provenienti da una sua vigna posta

prope plebem Finarii, cui coheret plebs de Finario

(2).

Nel 1236, ai nove di settembre, ci viene ricordato il suo arciprete Enrico i testimoni intervenuti all’atto d’affitto di terre vescovili stipulato a Fina­

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