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Il Redattore Italiano

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Quelle che erano state vaghe aspirazioni e occasionali affermazioni di uomini e di giornali divengono concreto programma e quasi ragione di vita per il

Redattore Italiano.

Ed è sintomatico per lo spirito del momento che la concezione unitaria sia nettamente affermata da un giornale che aperta­

mente condannò, sino ad averne gravi noie, le violenze ed i ladronecci francesi ma che pur dovè pensare la nuova repubblica come derivata dal­

l’opera della Francia e dalla conciliazione degli interessi francesi e italiani.

È la voce più aperta e precisa e insistente in questo senso e merita perciò di essere rilevata. Tanto più che è quasi affatto sconosciuta: del

Redat­

tore

non si trova traccia

neWAlbo letterario della Liguria

di Nicolò Giuliani o nella

Bibliografia

del Manno nè in opere particolari come negli studi e nella

Guida

di Luigi Piccioni. Ne ha solo brevemente parlato, ac­

cennando appunto alle sue concezioni unitarie, il Mannucci, riportato e rias­

sunto dal Codignola (1).

L’unica copia conservata, e già appartenuta ad Achille Neri, si trova ora al Museo Genovese del Risorgimento in un volume rilegato di 572 pa­

gine, contenente i 77 numeri usciti dal 26 gennaio 1799 al 25 marzo 1800.

Come si rileva dalla testata dei primi numeri, gli « estensori » erano gli stessi del

Censore

cessato col n. 34, il 21 gennaio 1799, quelli cioè della seconda incarnazione di quel giornale, rimasti o entrati dopo la fondazione del

Monitore;

quelli appunto ai quali si devono gli articoli a tinta unitaria

(1) F. L. Ma n n u c c i, G. Mazzini e la prima frase del suo pensiero letterario,pag. 32-33;

A. Co d ig n o l a, La giovinezza di Giuseppe Mazzini, pag. 15.

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dal settembre al gennaio. Chi fossero, non riesce possibile dire ed è strano che nessun nome si ricava neppure dai documenti che si riferiscono a un mo­

mento di agitate traversie del periodico. Uno solo è noto: il 24 luglio, certo in seguito alle vicissitudini attraversate dal

Redattore

in quei giorni, una nota avverte che « il medico Mongiardini, altro degli Estensori del

Redattore Italiano

non ha più parte in questo foglio cominciando dal presen­

te numero » (1).

Si tratta di Giovanni Antonio Mongiardini, nato a Chiavari il 13 agosto 1760, medico assai rinomato e professore d’Università, autore di nu­

merose opere scientifiche e di biografie di medici liguri, che ebbe vita ac­

cademica e politica molto intensa e notevole (2).

Frequentatore della famosa farmacia Morando, dove si era in gran parte preparata la rivoluzione democratica, appartenne alla commissione straor­

dinaria di dieci membri nominata il 22 maggio ’97 quasi ponte di passaggio dal vecchio al nuovo regime, ed entrò poi nel Governo Provvisorio costi­

tuito a Mombello d’accordo col Bonaparte e spesso lo presiedè. Ascritto al Comitato di Polizia, ebbe una parte cospicua nel nuovo Governo e fu bersaglio costante del Biagini, non si comprende bene per quali ragioni, probabilmente di carattere personale, sin dal primo numero del

Censore.

Ap­

provata la costituzione e formato il nuovo governo col Direttorio e i due Consigli legislativi, il Mongiardini ritorna alla vita scientifica e accademica ed è questo il momento della sua attività giornalistica (gli appartengono cer­

tamente gli articoli in materia igienica e scientifica del

Redattore

); è presi­

dente di sezione del nuovo Istituto Nazionale, è tra i fondatori della Società Medica di Emulazione che spesso presiede, entra nella Commissione di Sa­

nità allora costituita e la dirige e ha il suo più aspro momento quando, du­

rante l’assedio sul principio dell’800, deve, appunto come presidente, prov­

vedere al ricovero dei feriti e dei malati dell’esercito francese, e al problema delle sepolture, sempre più grave.

Pressato tra le pretese del Massena, le prepotenze degli ufficiali, le resistenze dei cittadini e l’attitudine incerta dei governanti disperati, il 30 marzo si dimette, ma si prodiga durante la terribile epidemia, retaggio e conseguenza dell’assedio.

Ritorna al potere nella nuova commissione straordinaria di governo nominata del Déjean per volere del Primo Console, dopo Marengo; poi, costituito ancora un governo almeno nominalmente regolare, è chiamato

(1) Il Redattore Italiano, n. 52, 24 luglio 1799, pag. 414.

(2) Necrologia della Gazzetta di Genova, n. 51, del 1841; altra di Carlo Ricci al Museo del Risorgimento. Notizie in Isnardi-Celesia, Storia dell’Università di Genova, vol. Il, pag. 178 e specialmente nel mio Onofrio Scassi (v. indice).

a far parte nel 1803 del Senato nel quale la sua azione si confonde e disperde nel carattere anonimo e collegiale; più chiara e personale l’attività in importanti funzioni tecniche e accademiche finché muore, Professore di materia medica aU’Università, Protomedico e Commendatore dei SS. Mauri­

zio e Lazzaro, il 21 gennaio 1841.

Che gli articoli più tipici del

Redattore

siano suoi si può escludere, anche per il confronto formale con quelli di carattere scientifico che più fa­

cilmente gli appartengono; ma la presenza di quest’uomo, democratico ma non demagogo, e che dall’insieme appare spirito sereno e misurato, induce a credere che i collaboratori del

Redattore

non fossero esaltati nè violenti.

Del resto, gli articoli stessi lo provano perchè, pur nella consueta ammira­

zione per l’avvento della democrazia rinnovatrice, non perdono la misura e fin dal principio toccano il tasto, che diverrà fondamentale, delle violenze dell’esercito e delle concussioni dei suoi commissari.

È del resto una gradazione; col procedere degli eventi dell’anno tragico il tono si fa sempre più vivo e si accompagna a mutamenti esteriori.

I primi due numeri non hanno alcun motto nella testata; il terzo (2 febbraio) porta le parole «

Veritas, Virtus, Patriae Libertas atque Utilitas.

Sallustio », motto generico e senza un particolare significato; ma col n. 20 (2 aprile) il nuovo titolo

II Redattore Italiano

e il motto virgiliano

Italiam! Italiam!

danno al giornale un significato aperto e preciso che non è più abbandonato.

Si può supporre che il mutamento corrisponda a qualche cambiamen­

to nella redazione; certo il tono si fa più deciso e il carattere italiano sempre più netto e spiccato.

È anche tipico il fatto che il carattere accesamente democratico e anticlericale dei primi numeri, con corrispondente esaltazione dei meriti della Grande Repubblica, si attenua subito sino ad assumere dopo il 2 aprile un tono ben diverso: articoli come quelli che nel primo numero chiedono l’or­

ganizzazione civile del clero o celebrano la festa del regicidio per la prima volta solennizzata a Genova e esaltano il generale Miollis per aver incoro­

nato a Lucca la celebre improvvisatrice Teresa Bandettini arcadicamente Amarillide Etrusca (quello stesso Miollis che le male lingue dissero aver ordinato l’arresto del poeta Filicaia per le sue odi all’Italia) procedendo non si trovano più. Ma sintomatici accenni di orgoglio italiano nel perenne ricordo delle grandezze passate e nello sdegno contro l’imitazione straniera compaiono sin da principio. Nell’articolo iniziale si indica come errore delle molte gazzette italiane l’incapacità di guardare le cose da più largo orizzonte limitandosi alla chiusa cerchia della propria regione e per comprendere l’im­

portanza dei giornali si invita a osservare « le altre Nazioni, che tanto servilmente cerchiamo d’imitare nelle cose di lusso e di niun valore ».

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-Curioso a questo proposito un ironico Avviso letterario nel quale è detto che uno storico intende scrivere la Storia d’Italia divisa in sei epoche, che prenderanno il nome da animali. L’ultima, la contemporanea, sarà l’epoca delle Scimmie « in cui sciolti gl’italiani da qualunque vincolo naturale fra di loro, ed avviliti sotto il giogo di certe massime di umanità generale che rare volte si realizzano ne’ casi particolari non hanno coraggio nè di parla­

re da per loro, nè di sostenersi, nè di governarsi; e quasi nemmeno di parlare la loro lingua ricca, armoniosa, pieghevole.... L’opera finirà con una patetica esortazione agli Italiani a non cadere in avvenire in questo difetto di Scimmiottismo, e ad essere originali » (1).

Secondo il costume del tempo, il giornale usciva in otto pagine in 16°, due volte la settimana e conteneva articoli politici e di varietà, le no­

tizie interne, brevi corrispondenze dalle altre regioni d’Italia e spesso anche dall’estero, quasi sempre da Parigi.

Alcune di queste hanno notevole valore come indice degli stati d’animo dei luoghi di provenienza e quasi tutte accennano apertamente al malumore montante contro le ruberie e i soprusi dei generali e specialmente dei com­

missari francesi. Così il secondo numero, oltre a un accenno alla speranza che « non è forse lontano il tempo, in cui la Liguria coglierà anch’essa gli allori nei campi di Marte; ogni buon cittadino deve desiderarle questa gloria, poiché nessuna Repubblica avrà mai una lunga durata ed una costante Libertà se non prende un’attitudine imponente e guerriera », riferisce con molta soddisfazione l’ordine del Direttorio francese ai generali Joubert e Championnet di scacciare inesorabilmente la turba dei birboni che infestano l’Italia, e commenta: « Egli sarebbe ormai tempo che il Direttorio di Francia fosse persuaso di questa verità che i suoi agenti colle loro vessazioni e ruberie hanno resa odiosa in Italia la Libertà ed esecrabile il nome Francese.

Il generale malcontento che regna in tutti e le sorde controrivoluzioni che si sono macchinate e che forse non sono per anche estinte, furono cagio­

nate dalla condotta immorale e scellerata d’alcuni agenti della Repubblica Francese » (2).

Particolare interesse hanno le corrispondenze da Torino sulla questio­

ne dell’annessione del Piemonte alla Francia.

I pareri sono divisi, ma tutti sanno che non c’è libertà di scelta.

« Alcuni ebbero il coraggio di dire altamente, che le circostanze critiche nelle quali trovasi la Patria, non devano far dimenticare ai Piemontesi d ’essere Italiani: che la natura ha stabiliti i limiti che devono separare la Francia

(1) N. 8, 19 febbraio, pag. 62.

(2) N. 1, 29 gennaio, pag. 12 e 15.

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dall’Italia; e che questa trascinata dalle forze delle circostanze non può re­

sistere lungamente divisa in tante piccole Repubbliche; e finalmente l’interesse ben inteso dei Francesi richiede che l’Italia formi una sola Repubblica » (1).

È il solito concetto che ha avuto in questo anno tante manifestazioni. « Se il popolo potesse liberamente pronunciare il suo voto — scrive alcuni giorni dopo lo stesso corrispondente — io non dubito punto ch’egli preferirebbe all’alto onore di appartenere ad una vasta Repubblica la gloria del nome Italiano ».

La nazione Piemontese trova « che la natura staccò l’Italia dalla Francia con una catena di montagne, e che l’avere oltrepassato questi con­

fini fu sempre un motivo di mali e di guerre. Ma la voce della ragione e del vero interesse tace ove parla altamente la forza e si mettono in opera le maniere scaltre illegali ed ingiuriose alla sovranità del Popolo. Lascio da parte se convenga al Piemonte ed alla Francia medesima siffatta riunione.

Solo mi fermo a considerare il modo con cui si volle far credere che la nostra Nazione abbracciava volentieri questo nuovo sistema politico. A me sembra che siano in ciò calpestati i grandi principi proclamati dalla Francia e dettati dalla ragione ».

Duole in verità di non poter sapere il nome di chi scriveva così ferme e alte parole e confermava il proprio asserto col narrare l’episodio dei cinquecento patrioti che si erano recati ad attaccare all’albero della libertà « una bandiera tricolore Nazionale » facendo « chiaro conoscere il loro desiderio e l’attaccamento che conservano al nome italiano », tanto chiaro che il generale Grouchy fece subito togliere quell’eloquente segno di protesta (2).

Era lo stesso Grouchy che, ripetendo in piccolo la prepotenza di Luigi XIV, faceva arrestare come sospetto il Massuccone, rappresentante diplomatico genovese a Torino, provocando le proteste del governo ligure

e il richiamo immediato dell’inviato (3).

Ancora, il 23 marzo il solito corrispondente accenna all’attesa conferma dell’annessione da parte del Corpo Legislativo francese. Allorché un Borbone salì al trono di Spagna Luigi XIV disse che non vi erano più Pirenei: « I

(1) N. 6, 12 febbraio, pag. 47.

(2) N. 7, 16 febbraio, pag. 55-56. Strana (e soltanto casuale?) coincidenza: il Fantoni, allora a Torino, era dei più fieri avversari a quella unione che diceva un tradimento contro l’Italia; Sf o r z a, Contributo ecc., cap. V ili.

(3) Archivio di Stato, Genova, Lettere Ministri, Torino, m azzo 29, n. g. 2516, let­

tere 16 e 19 marzo; Governo provvisorio, mazzo 5, n. g. 2949, 23 marzo e segg. Il Massuc­

cone, contrario a quella unione, l’aveva detta necessaria perchè voluta dal Direttorio padrone dello Stato. Egli era mal visto dal Direttorio e perciò fu arrestato dal Grouchy; Sfo rza,

Contributo ecç., pag. 171.

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legislatori francesi decreteranno fra breve

che non vi sono più le Alpi.

Noi vedremo che la natura sanzionerà il loro decreto ». E a proposito della no­

mina di Eymar a commissario delle arti e delle scienze in Italia: « Non si comprende bene che cosa voglia dire il Commissario delle scienze. L’Italia però sa troppo bene che sia un Commissario delle arti. La Toscana forse non tarderà ad avere un qualunque saggio dell’abilità di siffatti Commissari » (1 ).

Era veramente notevole che in condizioni di tutela prepotente e mentre i francesi parevano al massimo della potenza il giornale osasse pubblicare parole così chiare e di così aperta italianità.

Il

Redattore

aveva anche seguito in interessanti corrispondenze con ammirazione e simpatia gli avvenimenti di Napoli, il costituirsi della Repubblica Partenopea, le sue prime vicende: ma l’entusiasmo era assai più per la « rige­

nerazione » del paese e per l’opera dei patrioti che per l’azione dei francesi, e nel dissidio tra lo Championnet e il Faypoult si schierò naturalmente per il generale. Si crede generalmente - dice una corrispondenza vera o sup­

posta da Parigi — « che il Commissario trionferà per aver ciecamente eseguiti gli ordini del Direttorio; si pretende che le istruzioni date dal Governo francese tanto al Generale che al Commissario, fossero soltanto di occupar Napoli senza rivoluzionarlo; e che in conseguenza volesse quest’ultimo riporre l’autorità in mano di persone servilmente devote agli Agenti Francesi, e le quali non avessero la confidenza dei Patrioti. Ma il Generale ha ben veduto che non potea nè occupar Napoli nè mantenersi in questo paese senza unirsi ai Patrioti e senza permetter loro di stabilire un nuovo ordine di cose. La politica può dunque bensì sacrificare il bravo Championnet, ma i fatti e i principi lo giustificano abbastanza, e niente può diminuire ed oscurare la sua gloria » (2).

Allo stesso modo e con eguale carattere si occupa delle vicende degli altri Stati, finché il 2 aprile assume, col numero 20, il titolo di

Redattore Italiano

, e ne spiega la ragione in un avviso al pubblico nel numero suc­

cessivo. Ci sono nei singoli Stati italiani molte, anche troppe, gazzette, ma tutte con caratteri e intenti locali; manca un giornale che dia notizie di tutti gli Stati italiani, che abbia cioè carattere italiano e non regionale soltanto.

Il

Redattore

si propone di compiere questa funzione resa più facile dalla posizione geografica di Genova, e per questo assume un nuovo nome (3).

(1) N. 18, 26 marzo, pag. 144. Pochi giorni prima un articolo redazionale « Bonaparte e gli Scipioni » aveva aspramente condannato, anche riferendo il giudizio di Polibio, il di­

ritto di conquista accampato dalla Francia sulle cose artistiche italiane aggiungendo: * La storia severa ed imparziale dirà un giorno che Bonaparte fu il primo a dare questo funesto esem pio e lo dirà nell’atto medesimo in cui racconterà le sue vittorie e i suoi prodigi >; N. 16, 19 marzo, pag. 125. La materia è ripresa nel n. 23, 13 aprile, pag. 188.

(2) N. 12, 5 marzo, pag. 94.

(3) N. 21, 6 aprile, pag. 170.

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Singolare coincidenza, lo stesso numero che porta la nuova denomi­

nazione comincia una serie di articoli veramente importanti nei quali la concezione unitaria, da prima appena adombrata, si chiarisce via via come conseguenza dei mutamenti politici avvenuti e come unica salvezza per l’Italia e, s ’intende, anche per la Francia. Questi articoli si riattaccano a tutta una serie anteriore della quale vogliono essere il logico sviluppo. Fin dal n. 5 del 9 febbraio era cominciata un’ampia trattazione dell’argomento «

Vantaggi e progressi del Governo Repubblicano

» intesa a dimostrare « contro la fredda indifferenza, o piuttosto contro l’avversione, che la più parte degli uomini manifestano contro la Libertà » i benefici della forma di governo repubblicana democratica. L’autore prende le mosse dell’antichità classica e poi esamina le moderne repubbliche e anche la monarchia inglese per con­

cludere dall’esame delle rispettive costituzioni che la miglior forma di governo è la democrazia rappresentativa istituita in Francia come la più adatta a una grande repubblica. Col 2 aprile, primo numero del

Redattore Italiano

, comincia una nuova serie di articoli intitolati

Vantaggi delle grandi repubbliche.

Ricollegandosi ai precedenti, affermano coll’autorità di Rousseau medesimo (che aveva detto la democrazia pura non convenire che a un popolo di dei) la necessità della democrazia rappresentativa per i popoli che aspirano a conquistare e conservare la libertà. « La ricerca dei vantaggi delle grandi Repubbliche ha per oggetto la soluzione di questo importante problema,

trovare una forma di Governo

, la quale non solo sia la più atta a conser­

vare l’indipendenza delle nazioni, ma la più confacente ai loro bisogni, alle circostanze ed al grado attuale di civilizzazione ». Tale forma è la demo­

crazia rappresentativa, ma, raggiunta in questa la propria indipendenza, le piccole repubbliche che si siano in essa organizzate si trovano esposte alle avidità e alle vendette del dispotismo che « è divenuto possente in Europa e tiene soggiogate diverse grandi Nazioni ». L’accenno alla debo­

lezza delle nuove Repubbliche italiane di fronte alle potenze alleate è di una chiara evidenza. « Quale resistenza potranno (i popoli liberi) opporre all’impeto di numerose armate, ove sieno gli uni divisi dagli altri, e dove medesimi bisogni ed interessi non li abbiano congiunti in grandi masse capaci di equilibrarsi con qualunque forza esterna, e

reagire

gagliardamente contro l’urto combinato dei despoti? » (1).

La necessità dell’unione fra gli Stati democratici d’Italia esce dunque dalla visione delle condizioni presenti e della minaccia degli austro-russi già vittoriosi. È, in fondo, la concezione di Melchiorre Oioia e di Matteo

(1) N. 23, 13 aprile, pag. 177 e 178.

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Galdi nei Iavori Presentali al concorso del 1796 (1), ma corroborata dal­

l’esperienza e dal grave pericolo incombente. La tesi è esposta sin qui con caiatteie generale; all’Italia e alle sue attuali condizioni, presenti sempre allo spirito dello scrittore, non si accenna ancora specificamente, volendo far apparile la necessaria unione come la logica conseguenza di premesse teoriche. Alcuni, aggiunge l’autore, probabilmente riferendosi al famoso con­

corso, hanno immaginato un sistema di piccole repubbliche federate; ma egli insiste nel concetto che « le Nazioni non possono conservare la loro indipendenza se non si formano in grandi masse valevoli ad equilibrarsi con le forze dei despoti che le circondano e che stanno in agguato per sorprenderle e soggiogarle ». La natura stessa ha predisposto queste for­

mazioni politiche con le sue barriere geografiche. Il pensiero corre naturalmente all Italia, ma il nome non è fatto ancora. Compare invece, sia pure in forma di ipotesi, nell ultimo articolo della serie. Tra i vantaggi delle grandi Repub­

bliche c è anche quello di poter favorire le difficili imprese che mirino al vantaggio di una vasta estensione di paesi. « Suppongasi che il bene di tutta l’Italia suggerisca una grande intrapresa. Credete voi che divisa così com’è in tante piccole parti le une separate dalle altre e per interessi e per costumi e per genio, potrebbe unire le sue forze per procurarsi un generale vantaggio? Laddove se formasse una sola repubblica gli interessi di tutte le sue parti andrebbero a riunirsi in un centro comune, nè le une cerchereb­

bero di nuocere alle altre, di paralizzarsi scambievolmente, siccome avvenne nell’antica Grecia » (2).

Mentre così lo scrittore che trattava teoricamente i temi politici indicava come meta all’Italia la formazione di una repubblica unitaria, naturalmente foggiata sulle istituzioni democratiche francesi, gli eventi si incaricavano di mostrare la debolezza delle nuove repubbliche, a cominciare dalla Cisal­

pina. Era natuiale si pensasse che l’essere piccole e divise ne costituiva la debolezza, quando in realtà, sorte da un movimento esterno e superficiale erano destinate a seguire la vicenda delle armi francesi che le avevano create’

E a un’altra causa era naturale venisse attribuita la rapida scomparsa dei nuovi Stati iravolti dalle armi austro-russe e dalla reazione popolare: a quel sistematico ladroneccio prepotente e oppressivo al quale generali e commis­

sari francesi si erano impunemente abbandonati tra qualche blanda deplora­

sari francesi si erano impunemente abbandonati tra qualche blanda deplora­

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