veva restaurarsi per essere adibita a residenza del Podestà.
Nel pensiero del doge la nuova estensione di case avrebbe dovuto avere anche la propria chiesa, ma i finalesi si contentarono della pieve non molto discosta e di una cappella già ivi esistente (3).
11 Filelfo, scrittore contemporaneo, accenna a questo stato di cose e racconta il malanimo di quelli che erano rimasti fedeli al marchese Giovan
ni, tornato vittorioso nel Finale, contro gli altri, che, fabbricando alla Mari
na, ne avevano tradito la fede. Ecco le sue parole: « Constituit Johannes
« Marchio Finarium descendere et ita est factum... qui secum erant Fi-
« narienses nobiles, Georgius et Thomas Celle, Herricetus, Johannes (la
vir-(1) Girolam o Rossi, Gli statuti della Liguria, in Atti citt., Vol. XIV, pag. 64.
(2) Un addio cit., pag. 17.
(3) Appendice, Doc. n. LXXV.
« gola è fuor di luogo), et alii plurimi, qui marchionem fuerant sequuti
con-« tinue, neque passi erant Finarii sub Fregosiorum Principatu moram trahere,
«
decurre/unt ad maris littus
,quod jam coeperat a Finariensibus habitari
,«
cum minime auderent
,ubi jam Oppidum fuerat
,tunc solo aequata moenia commorari
, illic in praedam verterunt eas res omnes quas invenissent in« lembis, qui pote quod eorum forent, qui male et cum Qaleoto, et cum
« Johanne Marchione fecissent; ipsi vero male sentientes aufugere nunc
« exules » (1).
Ma la Marina è diventato un centro troppo importante per essere considerata a lungo nemica. Le case ivi sorte, il numero degli abitanti spingono il marchese Giovanni a frenare gli impeti bellicosamente vendica
tivi dei sùoi più fidi; Genova interviene con i suoi trattati riservando a sè Castelfranco e la vita vi si svolge attiva e feconda anche quando il Borgo vede rialzate le sue mura e stende di nuovo sulla riva del mare il suo dominio.
Tale l’origine della comunità della Marina.
Affermando questo non dico una cosa nuova.
Già or è più di un secolo fu scritto: « En 1450 Finale-Marine com
mença à être bâtie » (2). Ed un altro storico soggiunge che negli ultimi cinquant’anni del secolo XV la Marina aveva tolto al Borgo circa mille persone (3).
Se ciò non bastasse, si può portare ancora la testimonianza di un marinese, il conte Francesco Maria Malvasia, che nel secolo XVII, in una me
moria scritta per ottenere la separazione della Marina dal Borgo, non nasconde che essa,
di puoche persone e case che era in quel tempo munita, è cresciuta a maggior numero di quelle del Borgo
(4).Alle case fabbricate dai finalesi si aggiunsero altre fatte da alcuni te
deschi, che avevano in affitto da Genova per un certo tempo « quella menna de fina » nella quale avevano fatto « grandi edificii e spexe assai », come ci dice un documento del 13 gennaio 1451 (5).
Solo in questa circostanza perdette il suo valore il decreto del marchese Giacomo.
(1) M u r a t o r i , R. I. S., Vol. XXIV, coll. 1222-1223.
(2) Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d’Acqui et de parti de la Province de Mondovi formant l'ancien département de Montenotte par le compte De C h a b r o l de V o lv ic conseiller d'état, prefet de la Seine, Tome premier, Paris Imprimerie de Jules Didot, Aine, imprimeur du roi, Rue du pont-de-lodi N. 6, 1824, pag. 191.
(3) Qa r o n i, Op. cit., pag. 193.
(4) Dal volume di memorie manoscritte e stampate, a mani del Sig. Manera Eugenio di Finalborgo.
(5) Arch. di Stato, Litterarum Reg. 18, n. 772.
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— 17Ò
-Del resto, con un esame accurato ai fabbricati che anche, attualmente esistono a Finalmarina, ci convinciamo dell’epoca in cui furono eretti. Sono in gran parte della seconda metà del secolo XV; case più antiche non è dato di rintracciare.
Quando il Filelfo scriveva che intorno al Borgo vi erano solo tre
dici ville:
Finarium oppidum... hinc villae circumquaque tresdecim
(l), diceva una grande verità. Queste ville erano: Pia, Perti, Varigotti, Gorra, Calice, Carbuta, Orco, Feglino, Calvisio, Portio, Monticello, Rialto, Verzi.
Nel secolo XVI e XVII nei vari atti fatti dal Consiglio del marche
sato, alle anzidette si unisce la villa della Marina, portando a quattordici il numero delle ville, oltre il Borgo.
È ancora un argomento per provarci che prima la
ripa Finarii
non costituiva unacomunitas.
Certo una grande fortuna accompagnò questi inizi che svilupparono un rigoglio stupendo, tanto che nella prima metà del secolo XVI vengono attribuiti alla nuova comunità 200 fuochi (2).
Noi abbiamo un elenco degli uomini della Marina del 1558 in cui sono nominati 86 capi-casa (3).
Ora anche ammettendo che non tutti furono presenti a questa adunan
za, conoscendo però che erano rappresentate per l’occasione le due terze parti della comunità, questo numero non può salire oltre i cento venti o cento trenta, se vogliamo abbondare.
Nè giova supporre aumenti e diminuzioni fantastiche per giustificare un errore, perchè, ad esempio, Pia, che nel 1449 ha oltre 60 capi famiglia, nel 1558 ne ha 89 (4). Monticello, che nel 1449 ne ha 33, nel 1558 sale fino a 38 soltanto (5).
Il Giustiniani adunque va preso con molte cautele; e ci può far ve
dere solo l’aumento subito dalla popolazione marinese dalla seconda meta del secolo XV alla metà del secolo XVI.
Ad ogni modo la Marina nella metà del secolo XVI non era ancoia fiorente come ci si vorrebbe far credere (6). Abbiamo in proposito un do
cumento dell’8 dicembre 1558 assai esplicito. Pietro Ravaschieri raccomanda alla Signoria di far proseguire i lavori iniziati per completare le fortificazioni di Castelfranco ed apporta due motivi per raggiungere più facilmente lo scopo.
(1 ) M u r a t o r i,R. I. S., Vol. XXIV, col. 1154.
(2 ) Gi u st i n i a n i, O p. cit., Vol. I, pag. 41.
(3 ) Ma r e n g o, O p. cit., in Atti e Voi. citt., pagg. 140 e 141.
(4 ) M a r e n g o, O p. cit., in Atti e Voi. citt., pagg. 136-138.
(5 ) Ma r e n g o, O p . cit., in Atti e Voi. citt., pagg. 126 e 127.
(6 ) S , O p . cit., pag. 121.
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gli sostiene che quell’opera « mantiene anche riputazione tra i.popoli, tra i quali non mancano homini di borgo i quali semino mille zizanie », e soggiunge. « non è anco di poco momento l’agiuto che si dà a parecchie Poveielle, le quali o si morrebbero di fame o sarebbero sforzate esser
« puttane non havendo da vivere; e, come le Signorie Vostre Illustrissime ponno sapere,
il più povero luogo di questo stato è la marina di castel
«
franco....
molti privati a questi tempi fanno fabricare, tanto più i principi« devono continuare » (1).
La pieve rispecchiava le condizioni generali del luogo. Messa a con
fi onto della chiesa di Pia nel 1549 si riscontrava che la prima « est ecclesia
« ruralis nullo curtus ornatu et in qua diebus festivis tantum una missa cele-
« biatui et in qua nulla adest religio et observantia »; la seconda invece
« est et esse reputatur celeberrima et religione et ad quem (sic) cum maxima
« devotione cumfugitur a diversis ittalie partibus et constat insigni numero
« venerandorum patrum qui ibidem commorant divina officia celebrant et
« alia gerunt que celebri monasterio conveniunt et ipsos venerandos patres
« decet » (2). Un altro documento, ripetendo queste medesime cose, soggiun
ge che alla pieve « prò libito etiam Animalia confugere possent » (3).
Nel breve tempo che Genova, scacciato il marchese Alfonso II, domi
nò sul Finale, fece sentire gli effetti della sua predilezione per la Marina.
Infatti il Borgo, risorto dalle sue rovine per opera di Giovanni I del Carretto, aveva sempre fra le altre ville un grado di preminenza, e per que
sto moltissimi artieri anche delle altre ville vi avevano le proprie botteghe.
Pietro Ravaschieri, commissario della Repubblica, sulla fine del novem
bre 1558, tentò rompere questa tradizione, non curando le proteste dei borghesi;
e così ne scrisse alla Signoria il 30 dello stesso mese:
<(... feci fare bando che gli uomini della nostra giurisdittione (di
« Castelfranco) i quali fanno arti in Borgo dovessero venire al castelfranco.
« sotto pena della privatione de beni e d’essere perpetuamente banditi de
« quali niuno sin qui s’è aggravato anzi per quanto mi vien detto tutti si
« proporono a venire e già si dura fatica a trovare case e molti hanno pre-
« so bottig(h)e, hieri gli homini del Borgo con gran segretezza mi fecero
« di questo bando grandissima querella, come che fusse contro quel che si
« accordò con loro quando si resero alle Signorie Vostre III.me et io le feci
« toccare con mano che ciò non era altro che usare le ragioni nostre
ch’es-(1) Arch. di Stato, Finale, filza III, n. 149.
(2) Archivio della Badia di Finalpia, Ada R. Domini Canonici Hieronimi de Fossato Cathedralis Albinganensis super Funeralibus.
(3) Arch. della Badia di Finalpia, Consilium Iohannis Baptiste Flisci Ridi Doctoris ex Dominis Judicibns venerandi collegii excelse civitatis Janue.
172
-* send o noi patroni se volivamo comandare a nostri sudditi questo era prò-
« prio nostro, che da quelli ricevevano utile che il comandarli che venissero
« ad habitare con noi non era privarli del loro quelli del Borgo, ma valersi
« noi stessi di quel ch’è nostro- hora penso che verranno alle S. V. 111.me
« e si dorranno di me. e forse metterranno insieme che si facci che i mulat-
« tieri i quali vengono di lombardia vendino le loro mercantie qui alla ma-
« rina e vero che si fa. ma non al modo che dicono loro perchè si compia
« e piuttosto che si partino con esse. Le faccio comprare io accio che si
« die avviamento al luogo, hora se vengano e si dolgino di me quelle (le '< S. V.) sanno le mie iscusationi » (1).
E prima ancora il 27 novembre:
«...il paese si va tuttavia rassettando e accomodando, e qui si
« metteranno molte botighe spero che presto si ridurrà questo luogo in bo-
« nissima forma » (2).
Tomaso D ’Oria, che, a nome del Principe Andrea D’Oria, aveva pre
so possesso del Borgo e della sua giurisdizione, si era opposto a questa disposizione, ordinando la confisca de’ beni per quelli che fossero andati ad abitare altrove, ma Giorgio della Chiesa, con sua lettera del 3 dicembre, prese le difese di Genova, scrivendo:
« ...il magnifico messer Thomaso ha fatto publicare con una
« crida nel borgo che non sia alcun artefice che faccia et esserciti l’arte in
« borgo presuma partirsi sotto pena di confiscatione di tutti suoi beni et più
« che niuno non puossia vender li suoi stabili per andar habitar altrove sotto
« la medesima pena, cosa che non bastò mai l’animo al Sig. Marchese con
« tutta la sua tirannide di farlo, cosa cruda toglier la libertà di puotersi ag-
« giostare del suo et che non conviene a un depositario al parer mio. E se
« bene gionto che fui qui (era stato a Genova) ritrovai ch’el magnifico mes-
« ser Pietro haveva ordinato che quei
della giurisditione di Castel franco a
«
far l’arte di qua,
non ha da far l’una cosa con l’altra, perchè Punoèprin-« cipe, l’altro è depositario et l’uno usa le sue raggioni, l’altro toglie via la
« libertà.. . . E se io mi fussi ritrovato qui quando il magnifico meser Pietro
« fece quello bando che le persone se dovessero retirare, fuorsi che non
« seria seguito » (3).
L’esito del piato non ci è detto esplicitamente, ma si può bene arguire che, come si usava allora, la ragione fu dalla parte del più forte, ed in que
sto caso i più forti erano i genovesi.
E crebbe ancora il paese della Marina.
(1 ) Arch. d i Stato, Finale, filza 3, n. 113.
(2) Arch. d i Stato, Finale, filza 3 , n. 119.
(3) Arch. d i Stato, Finale, filza 3, n. 139.
- 173 — grafie indicano una medesima casata, quella dei Buraggi tuttora esistente in Finalç.
(4) Un’altra copia ha Bartolomeo.
— 174
« Buraggio, Burone, Bocciardo, Bravi, Busci, Barilario, Bizzi, Boraxio, Bottari,
« Bonorino, Cappello, Cassiccio, Conte, Canaveri, Colombini, Della Chiesa,
« De Grimaldi, De Scilva, De Bergallis, De Negro, Fenoggio, Finale, Ferri,
« Giordani, Grossi, Garrone, Gallo, Garbarino, Locella, Luglia, Merello,
« Mendari, Maffei, Marazzani, Meirano, Massaferro, Nolasco, Pollano, Poma,
« Petriolo, Pelleri, Pellero, Pastorino, Porro, Rogero, Pevere, Rosciano,
« Ferrario, Sasso, Sterla, Siccardi, Sporeto, Siccherio, Sirio, De Caminata,
— 175 —
i Buraggi da Verzi e dal Borgo; i Casiccio da Monticello; ed altri da altri paesi del marchesato.
Ari icchita di tanti elementi nuovi la Marina guardava fidente il lieto avvenire veiso cui si avviava; ed essa che fino a questo momento non aveva arricciato il naso nel sentirsi chiamare
villa,
un secolo dopo, fiera del suo sviluppo, ricorse per mezzo dei suoi consoli al capitano di giustizia del marchesato contro i Padri Conventuali del Borgo che avevano osato cotanto. Il 27 settembre 1685 in suo favore fu decretato: