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La questione dei condoni Iva del 2002 concessi dalla Repubblica Italiana.

AGEVOLAZIONI TRIBUTARIE POSTE AL VAGLIO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

5. La questione dei condoni Iva del 2002 concessi dalla Repubblica Italiana.

Ultimata l’analisi relativa alla compatibilità comunitaria delle agevolazioni fiscali riconosciute alle società cooperative nel nostro ordinamento giuridico, conclusasi con un giudizio positivo da parte della Corte di Giustizia Europea, si intende esaminare un’ulteriore questione, che ha invece portato ad una dichiarazione di incompatibilità da parte degli organi giurisprudenziali comunitari.

La vicenda alla quale si fa riferimento attiene ai condoni Iva riconosciuti in favore di talune categorie di contribuenti 403, sulla base delle previsioni di cui agli articoli 8 e 9 della Legge n. 289/2002.

403

Risultano esclusi dalla possibilità di beneficiare delle agevolazioni di cui all’art. 8 della L. 289/2002 le seguenti categorie di contribuenti:

- coloro ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218; in caso di avvisi di accertamento di cui all’articolo 41

In particolare, l’art. 8 della suddetta Legge, rubricato “ Integrazione degli

imponibili per gli anni pregressi ”, prevedeva la possibilità per i contribuenti di

rettificare le dichiarazioni Iva, attinenti ai periodi d’imposta compresi tra il 1998 e il 2002, mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa 404.

Questa doveva essere accompagnata dal versamento della maggiore imposta dovuta, il cui importo veniva determinato sulla base delle disposizioni normative vigenti in ciascun periodo d’imposta, entro il termine finale fissato al 16 aprile del 2003. Il comma 4 dell’art. 8 riconosceva altresì la possibilità di presentare la dichiarazione in forma riservata, fatta eccezione per i soli contribuenti che non avevano presentato alcuna dichiarazione per i periodi d’imposta in questione. Come è facile intuire, le disposizioni poc’anzi delineate producevano degli effetti fiscali non indifferenti.

Mediante il versamento di un’imposta doppia rispetto a quella precedentemente dichiarata, il contribuente beneficiava della estinzione di tutte le sanzioni amministrative tributarie, dell’esclusione della punibilità per alcuni reati tributari e per ogni altro tipo di accertamento tributario e, qualora la dichiarazione fosse

– bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, relativamente ai redditi oggetto di integrazione, ovvero di cui all’articolo 54, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, l’integrazione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 16 marzo 2003 le somme derivanti dall’accertamento parziale notificato entro la predetta data;

- coloro ai quali, alla data di presentazione della dichiarazione integrativa sia stato già avviato un procedimento penale per gli illeciti di cui alle lettere c) e d) del comma 6, di cui il soggetto che presenta la dichiarazione ha avuto formale conoscenza.

Sono invece esclusi dalle agevolazioni di cui all’art.9 della medesima Legge i contribuenti di seguito indicati:

- coloro ai quali, alla data di entrata in vigore della presente Legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento nonché invito al contraddittorio;

- coloro nei cui confronti sia stata esercitata l’azione penale per gli illeciti di cui all’art. 9, comma 10, lettera c), della stessa legge, e della quale abbiano avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa;

- coloro che abbiano omesso di presentare l’insieme delle dichiarazioni relative a tutti i tributi di cui all’art. 9, comma 2, e per tutti i periodi d’imposta di cui allo stesso art. 9, coma 1.

404

Ai sensi del comma 3 dell’art. 8, la dichiarazione integrativa si considerava valida solo se i maggiori importi versati eccedevano, di almeno 300 euro per ogni periodo d’imposta, l’importo precedentemente dichiarato.

stata presentata in forma riservata, anche dell’esenzione da ogni verifica diversa da quella riguardante la coerenza delle dichiarazioni integrative.

L’art. 9 della Legge n. 289/2002, intitolato “ Definizione automatica per gli anni

pregressi ”, attribuiva invece ai contribuenti la facoltà di presentare

spontaneamente dei dati, al fine di determinare gli importi da dover versare per poter usufruire del beneficio del condono fiscale 405 e, quindi, sottrarsi al pagamento dell’imposta ordinariamente dovuta .

La Commissione Europea, nell’esaminare le agevolazioni sopra indicate, le considerava incompatibili con gli articoli 2 e 22 della VI direttiva CE ( ora artt. 2, 260, 250, 273 della direttiva n. 2006/112/CE ) 406, nonché con gli articoli 10 407 e 249 del Trattato CE.

Per tali ragioni, la Commissione, dopo aver intimato alla Repubblica Italiana di conformarsi al suo parere 408, e al fine di far valere le sue ragioni, decideva di presentare ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Europea.

Nel ricorso, la Commissione Europea evidenziava per prima cosa che le agevolazioni introdotte dalla Repubblica Italiana, dovessero considerarsi contrarie agli articoli 2 e 22 della VI direttiva CE, in quanto introducevano una deroga alla legislazione generale disciplinante l’Iva nel nostro Paese.

In particolare, riguardo all’art. 2, che impone agli Stati membri l’obbligo di assoggettare all’imposta tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, si è evidenziato che, gli stessi Stati, non possono sottrarsi a tale obbligo unilateralmente. Per quanto concerne invece le disposizioni di cui all’art. 22, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare l’esatta riscossione delle imposte, predisponendo degli opportuni controlli e verifiche in capo ai contribuenti.

405

La determinazione dell’importo da versare per poter usufruire del beneficio del condono fiscale avveniva sulla base delle indicazioni previste dal comma 2, lettera b) dell’art. 9, L. n. 289/2002. 406

Trattasi della VI direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, operante in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.

407

Ai sensi dell’art. 10 del Trattato CE: “ Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità. Essi facilitano quest’ultima nell’adempimento dei propri compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere a realizzazione degli scopi del presente Trattato ”.

408

La Commissione Europea, in conformità con le disposizioni di cui all’art. 226 del Trattato CE, aveva inviato alla Repubblica Italiana una lettera di diffida, in data 16 dicembre 2003, seguita da un parere motivato, presentato in data 18 ottobre 2004, in cui intimava allo Stato interessato di adeguarsi alla sua decisione.

La Commissione concludeva la sua valutazione rilevando che la Repubblica Italiana, con l’introduzione delle disposizioni in esame, aveva ecceduto i propri margini di discrezionalità, rinunciando in modo indiscriminato e preventivo ad ogni accertamento e verifica in materia di Iva.

Ciò avrebbe potuto provocare delle gravi distorsioni nel corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta 409, oltre che violare il principio della neutralità fiscale e generare un’ingiustificata disparità di trattamento, accordando, in un certo senso, un “ aiuto di Stato ”.

La Repubblica Italiana argomentava a contrario sostenendo che, le disposizioni introdotte, non producevano effetti né sugli obblighi dei contribuenti, né sugli elementi costituivi dell’imposta. Il loro ambito di applicazione riguardava solo l’attività di controllo e riscossione dell’imposta, in riferimento alle quali gli Stati membri sono dotati di potere discrezionale.

Inoltre, la censura operata da parte della Commissione Europea avrebbe costituito, per gli stessi Stati, un impedimento all’impiego di strumenti di conciliazione e definizione delle liti pendenti, in grado di evitare contenziosi tributari ed assicurare, allo stesso tempo, un gettito immediato per le casse erariali.

A sostegno della presente tesi, si evidenziava che, il gettito riscuotibile mediante la legge di condono era certamente maggiore di quello che si sarebbe potuto ottenere mediante una ordinaria attività di accertamento.

Infine, in merito alla necessità di scoraggiare l’evasione fiscale, si osservava che, le disposizioni previste dall’art. 8, erano state formulate in modo tale da “ spingere ” soggetti, non ancora individuati dall’Amministrazione Finanziaria come evasori, a sanare volontariamente la propria posizione, dichiarando spontaneamente l’imponibile evaso e versando una somma pari al 50 % dell’imposta. Diversamente, le agevolazioni previste non trovavano applicazione nei confronti dei contribuenti già individuati quali evasori d’imposta 410. Pertanto, l’Italia riteneva che le agevolazioni da essa previste dovessero considerarsi compatibili con le norme comunitarie.

409

La distorsione a cui si fa riferimento è inerente al fatto che non esiste alcun nesso logico tra l’ammontare dell’imposta determinata secondo le regole ordinarie e gli importi da versare, per i contribuenti aderenti al condono.

410

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 17 luglio 2008, causa C – 132/06 411, si è pronunciata in merito alla compatibilità, con la normativa comunitaria, delle norme in materia di condono Iva, ponendo in evidenza il fatto che, dalle disposizioni di cui agli articoli 2 e 22 della VI direttiva, nonché dall’art. 10 del Trattato CE, discendesse, a carico degli Stati membri, l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative rivolte ad assicurare l’intera e corretta riscossione dell’imposta nel proprio territorio.

Nonostante venisse riconosciuto, a favore degli stessi Stati, un certo margine di libertà nella scelta dei mezzi idonei ad assicurare il rispetto degli obblighi da parte dei contribuenti, ciò che la Corte poneva in rilievo, ed allo stesso tempo intendeva evitare, era il possibile abuso nell’esercizio di tali libertà, tale da poter generare delle differenze significative tra i contribuenti, oltre che ostacolare l’effettiva riscossione delle risorse proprie della Comunità.

In tale prospettiva, la Corte precisava che, gli importi corrisposti in seguito all’adesione alla disciplina condonistica, non coincidevano con quelli che si sarebbero dovuti corrispondere ordinariamente. Si trattava, invece, di somme forfettarie, versate non in modo proporzionato al fatturato prodotto.

A parere della Corte, lo squilibrio generatosi tra gli importi effettivamente dovuti e quelli diversamente versati poteva intendersi come una “ quasi esenzione fiscale ”. In conclusione, la Repubblica Italiana, rinunciando in modo generale ed indiscriminato all’accertamento delle operazioni imponibili in riferimento a determinati periodi d’imposta, era venuta meno agli obblighi su di essa incombenti, ai sensi degli articoli 2 e 22 della VI direttiva CE, nonché dell’art. 10 del Trattato CE e, in qualità di parte soccombente, veniva pertanto condannata alle spese.

411

Per il testo integrale della sentenza, con relativo commento, cfr. G. TINELLI, Per la Corte di giustizia i condoni IVA contrastano con il diritto comunitario, nota a Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 17 luglio 2008, causa C – 132/06, in Rivista di Giurisprudenza tributaria n. 11, 2008, pagg. 937 – 946.

6. Il recepimento della sentenza della Corte di Giustizia da parte della

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