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180 Rassegna bibliografica nell’ambito dell’ampio dibattito del tempo fra spiritua-

listi e materialisti.

Il motivo delle «rovine» guida il percorso di Véro- nique cnocKaerT nell’opera di Zola e la porta rapida-

mente a scoprire che il vero interesse dello scrittore è per le «ruines vivantes», esemplificate qui in due figu- re emblematiche: Tante Dide e Irma d’Anglars (Ruines

de chair). Forse il carattere più interessante di questi

personaggi fisicamente devastati è la loro capacità, co- me scrive l’A., «de faire signe vers une antériorité qui n’est plus mais qui insiste et persiste», di estendersi nel tempo, come segno di radicamento e di rinnovamento, come le rovine di pietra.

Stéphane GouGelmann approfondisce in Le natura- liste, l’homosexuel et «l’éloquence de la vérité» un pro-

blema affrontato da Zola con disagio e molte resistenze ideologiche («un inverti est un désorganisateur de la famille, de la nation, de l’humanité»), accettato pro- babilmente solo per amore della verità e per rispetto della sincera passione espressa dall’autore del Roman

d’un inverti-né, di cui Zola fa pubblicare il manoscritto

con una sua prefazione fondata su una lettera ricevuta da un altro scrittore omosessuale.

“Fécondité”, conte, légende, féerie chiude il volume

dedicato a Cabanès con uno studio di Jacques Noi- ray che, da specialista di Zola e dell’ultimo Zola, rileva l’«expansion de l’immagination et de la narration» che caratterizza l’opera dello scrittore a partire da Paris e classifica Fécondité come «légende» a causa delle sue volute «invraisemblances et simplifications» nonché del suo schematismo antitetico. Anche la féerie, gene- re teatrale molto amato nel xix secolo, è chiamata in

causa con le sue convenzioni esibite, la sua imprecisa collocazione temporale, lo statuto simbolico dei perso- naggi, cui corrisponde uno stile semplice e quasi inge- nuo, prodotto da un romanziere divenuto ormai «libre créateur de fictions».

[mariaemanuelaraFFi]

alain PaGès, Zola et le groupe de Médan. Histoire d’un cercle littéraire, Paris, Perrin, 2014, pp. 479.

Sebbene la bibliografia critica e storico-letteraria dedicata al Naturalismo e ai suoi protagonisti sia ormai ampia e dettagliata, mancava una storia di sintesi del cosiddetto “groupe de Médan”. Ed è proprio questo vuoto che Alain Pagès, direttore dei «Cahiers natura- listes», uno dei massimi esperti del Naturalismo e di Émile Zola, cui ha dedicato gran parte delle sue ricer- che, ha voluto colmare con il presente volume.

Nei sei capitoli, inquadrati da un prologo (pp. 7-14) che presenta l’argomento e un epilogo (pp. 423-427) che ne trae le conclusioni, l’A. ripercorre cronologica- mente la nascita, l’affermazione e la disgregazione del Naturalismo osservandolo attraverso la lente dell’espe- rienza collettiva, dei legami personali ed affettivi, po- nendo al centro di questa rete di relazioni, ovviamente, la figura di Zola. Fin dalle prime pagine infatti («Le berceau provençal (1840-1868)», pp. 15-59) viene sot- tolineato lo spirito di amicizia e di gruppo del giova- ne Zola che dalla provincia del sud si ritrova a Parigi per muovere i suoi primi passi da scrittore entrando a far parte, come è d’obbligo, delle cerchie letterarie animate dai maestri Flaubert e Goncourt, e diventan- do ben presto a sua volta un riferimento per scrittori poco più giovani di lui («Maîtres et disciples (1868- 1876)», pp. 61-108). Ma è nei capitoli centrali («La ba- taille de L’Assommoir (1876-1878)», pp. 109-169 e «Le cercle de Médan (1879-1881)», pp. 171-267) che l’A.

ricostruisce, in parallelo al consolidarsi dell’estetica na- turalista, la nascita e l’affermarsi del gruppo compo- sto, oltre che dallo stesso Zola, da Paul Alexis, Henry Céard, Léon Hennique, Joris-Karl Huysmans e Guy de Maupassant, consacrato letterariamente, com’è noto, dalla pubblicazione nel 1880 della raccolta Les Soirées

de Médan. Questo cenacolo, definito da Alain Pagès

un «foyer nécessaire pour que l’amitié se développe et que des projets intellectuels prennent corps» e un luo- go «pour l’invention d’une nouvelle forme de littéra- ture», diventa di conseguenza il simbolo del Naturali- smo stesso, protagonista reale della battaglia intrapresa da Zola e dai suoi discepoli per il rinnovamento della letteratura. Infine, l’A. mostra come l’emergere di una nuova generazione e di posizioni letterarie diverse in seno al gruppo («La nouvelle vague naturaliste (1882- 1887)», pp. 269-358) segni definitivamente i rapporti personali di Zola – che muteranno radicalmente con il concorso dell’«affaire Dreyfus» –, determini un su- peramento dell’estetica naturalista e porti allo sciogli- mento del gruppo di Médan che acquisirà nel tempo, attraverso le celebrazioni di Zola e del Naturalismo, una dimensione quasi leggendaria («L’avenir d’un my- the (1887-1930)», pp. 359-421).

Come dimostrato dalla bibliografia finale, il corpus è costituito dalla corrispondenza tra i vari protagonisti, le reciproche memorie, nonché le cronache e le rubri- che letterarie dell’epoca. Nonostante la documentazio- ne sia vasta ed eterogenea, Alain Pagès riesce ad orche- strarla con sapienza alleggerendo l’estremo rigore del- la ricostruzione storico-letteraria grazie a una scrittura narrativa che non esita a rievocare anche aneddoti ap- parentemente insignificanti per completare un mosaico in cui vita e letteratura si fondono restituendo così un ritratto completo dei protagonisti.

[DamianoDePieri]

michel arouimi, Rimbaud malgré l’autre. [Re]lire Rimbaud, Lyon, Jacques André éditeur, 2014, pp. 194.

Rimbaud continua a suscitare l’attenzione della critica e sembra anche sollecitare i più diversi e sin- golari modi di leggerlo e di valutarlo. Ecco dunque che anche Michel Arouimi, già noto per avere recen- temente indagato a modo suo sulle “réminiscences” di Rimbaud in Ramuz e in Bosco, adesso si impegna a rintracciare anche quelle che il poeta di Charlevil- le avrebbe tratto da Victor Hugo, in particolare da

L’Homme qui rit (1869) e in parte dal Poe della no-

vella fantastica The Fall of the House of Usher, tradot- ta da Baudelaire. L’impegno critico di Arouimi scarta programmaticamente la cultura che orienta gli studi attuali, specie quelli universitari, una cultura che si è sviluppata sulla base delle regole fondamentali che positivismo e storicismo hanno elaborato e trasmes- so al secolo scorso, specialmente per quanto riguarda lo studio delle “fonti”. Ponendosi al di fuori e anche contro ogni attuale metodo di critica letteraria, l’A. si sente in tal modo del tutto dispensato dal sapere che cosa prima di lui si è detto sul suo stesso argomento di studio. Così, ad esempio, non dice una sola parola sull’Homme juste, né si esprime sull’esame che a que- sto testo ha dedicato Yves Reboul (cfr. Parade sauvage, 2, 1985) per riconoscere in termini del tutto convin- centi nell’“uomo giusto” proprio Hugo (e non Ge- sù Cristo come si è a lungo creduto). Appoggiandosi invece sull’autorità di Ernst Jünger, citato due volte, Arouimi non esita ad attaccare frontalmente l’attuale

realtà culturale che si ritiene fondata sulla tecnica e sulla globalizzazione. Occorre dire che, come di solito avviene di fronte alle novità, si prova un certo disagio e quasi un senso di rifiuto a seguire un tipo di critica dal carattere programmaticamente emozionale e psi- cologico come quella qui praticata dall’A.

Senza volerci qui soffermare sulle varie argomenta- zioni alle quali Arouimi ricorre per provare l’influen- za esercitata da Hugo (nello sfondo c’è anche Poe) sull’inconsapevole Rimbaud, ci limitiamo a riportare alcune sue frasi che possono dare un’idea sufficien- temente precisa del risultato essenziale di un’indagi- ne fondata sul riconoscimento delle “strutture menta- li” e dell’ “effluvio”: «…la plume de Rimbaud paraît se livrer à la fusion des détails similaires qui font une sorte de lien entre ce chapitre “Résidu” [del romanzo

L’Homme qui rit di Hugo] et le poème de Roderick,

dans La chute de la maison Usher [di Poe]. Sans do- ute ce poème comme ce chapitre, dans leurs grandes lignes et dans leur imagerie, témoignent-ils de struc- tures mentales qui perdurent dans les œuvres d’art, depuis des temps immémoriaux. Mais sous la plume de Rimbaud, le nom d’Edgar Poe et celui de Hugo recouvrent des problèmes qui dépassent le cadre, pourtant si large, de cette survivance […] La fumée comme l’effluve, sont les métaphores, dépréciative ou valorisante, d’un art d’écrire [celui de Hugo] qua- si magique, dont Rimbaud aurait été la victime pri- vilégiée […] Le public moderne, surtout universitaire, n’est pas enclin à adopter ce point de vue métaphysi- que […] Le verbe poétique, avec les ombres qu’il doit à sa nature humaine, agirait sur un destin particulier, comme le Verbe sur les destins humains, régis par des lois, des mesures, dont le Verbe ne fait que nommer le mystère» (pp. 171, 188, 189, 190).

Nonostante le perplessità che queste affermazioni suscitano in chiunque concepisca lo studio delle “fon- ti” in termini di positività logico-storica, non si può af- fermare che le interpretazioni di Arouimi siano prive di una loro peculiare suggestione, che è comunque di natura più poetica che critica. Si tratta infatti di un au- tore capace di scrivere con abilità e sottigliezza, rive- landosi anche pacificamente consapevole del carattere

delirante della sua ricerca.

[mariorichTer]

henriDe réGnier, Francis jammes, Correspondance (1893-1936), édition de Pierre lachasse, Paris, Classi-

ques Garnier 2014, pp. 244.

Il volume completa la corrispondenza di Régnier con André Gide (1997), con Pierre Louÿs (2012) con Viélé-Griffin (2012, a cura di Pierre lachasse), e rac-

coglie centottantasette lettere inedite, conservate in larga parte alla biblioteca Doucet e all’Institut de Fran-

ce. Si tratta di una corrispondenza significativa non so-

lo dei rapporti tra i due autori, ma anche espressiva dei loro caratteri. P. lachasse ha messo molto bene in luce

l’ombrosità di Jammes, che si rivolge a Régnier solo per sollecitare recensioni o spazi su quotidiani e pe- riodici, ma teme che l’altro possa in realtà complotta- re per ostacolare la sua ascesa; mentre Régnier appare sempre come un gran signore, che passa sopra alle pic- cole meschinità, ed esprime delle riserve su Jammes so- lo quando le innovazioni formali gli sembrano troppo spinte, o quando la militanza religiosa gli pare soffoca- re lo spirito poetico. Dal canto suo Jammes apprezza la tendenza di Régnier a una sempre maggiore clarté, e lo ricollega alla tradizione classica. lachasse rende

così conto di un’amicizia fondata sui rapporti lettera- ri, talvolta difficile e interrotta, sorretta tuttavia da una reciproca stima.

[iDamerello] Henri de Régnier, tel qu’en lui-même, enfin?, sous la

direction de bertrand viberT, Paris, Classiques Gar-

nier 2014, pp. 333.

Nell’introduzione, B. viberT affronta la questione

del valore dell’opera di Régnier, mostrando la necessità di svincolare il giudizio su un autore dalle sue caratteri- stiche innovative, e l’esigenza di riconoscere la «genia- lità» anche di un’opera discontinua e contro tendenza, rivolta sempre più al passato. R.A. ruiZDe casTilla

(pp. 25-36) si interroga sulla dipendenza di Régnier da Mallarmé: va considerato un discepolo, oppure un in- terlocutore che, pur subendo l’influenza dell’altro, ha dato il suo contributo proprio ai mardis di rue de Ro- me? L’A. appoggia la seconda ipotesi, mettendo in ri- lievo la qualità autoriale di Régnier.

Pierre lachasse (pp. 37-48) legge le prose di

Régnier, a partire dagli inizi su «Lutèce», mettendo in evidenza la loro autonomia, legata a un gusto lirico e allegorico, non disgiunto dallo spirito beffardo di Vil- liers, e ben lontano dal realismo degli altri testi narrati- vi. L’A. coglie anche due elementi centrali della poeti- ca: la rivelazione del fenomeno della memoria involon- taria e l’indistinzione tra reale e immaginario, cui si ac- compagna la ricerca di una lingua allegorica. Evidenzia quindi il nesso tra prosa e poesia, accostandovi i Soirs

intimes et mondains, opera sperimentale, dove i temi

simbolici e allegorici tratteggiano uno spazio mentale, attraverso una lingua difficile.

Mireille losco-lena (pp. 49-62) prende in consi-

derazione l’opera teatrale, in cui, come nelle poesie, gli elementi simbolici corrispondono a stati d’animo, inquietudini e angosce prossime al teatro di Maeter- linck, e si sofferma in particolare su La Gardienne, ope- ra difficile da mettere in scena. L’A. ricorda come l’ar- gomento simbolicamente rappresentato – il cammino verso la propria anima – fosse difficile da comprendere per lo spettatore medio, e come i registi pretendessero per questo il silenzio in sala. Sebbene l’A. riprenda il giudizio di Szondi, sul fatto che si tratti di una lezione di morale insipida, mette tuttavia in luce l’abilità dia- lettica della pièce.

Grazie all’osservazione attenta del mondo delle «petites revues», Julien schuh (pp. 63-80) mostra le

modalità con cui si è verificata l’evoluzione di Régnier dagli esordi simbolisti a un nuovo classicismo, fatto per non dispiacere all’Accademia. In una prima fase, dagli inizi su «Lutèce», fino agli «Écrits pour l’art» di René Ghil, attraverso «La Décadence» e «Le Sca- pin», l’A. vede l’affermazione di una strategia di pote- re di Régnier all’ombra di Mallarmé. In seguito, dopo l’apertura alle riviste belghe della «Wallonie» e della «Jeune Belgique», Régnier opera una sempre più am- pia occupazione degli spazi, con una piena afferma- zione di sé all’interno della politica di relazione delle «petites revues». L’A. rende conto quindi del progres- sivo slittamento di Régnier verso un ritorno all’ordine classico sempre più evidente, fino alla svolta del 1896, quando i simbolisti e i nouveaux poètes non lo ricono- scono più come uno di loro, e gli attribuiscono delle mire di potere. In effetti J. Schuh conferma la svolta, che si manifesta in primis con la collaborazione alla «Revue des deux mondes» e si conferma nel 1912 con l’elezione all’Académie.

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Rassegna bibliografica

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