e 1535. A fronte del testo latino di Erasmo vengono pubblicate la traduzione francese di Antoine Macault (dei libri I-V pubblicata nel 1539, condotta con buo- na probabilità sulla seconda stampa del 1532) e quel- la di un ignoto continuatore (dei libri VI-VIII pubbli- cata nel 1553). Viene inoltre offerta la rielaborazione in versi, ad opera di Guillaume Haudent, di una par- te degli Apophtegmata (Les Faitz et gestes memorables
de plusieurs gens remplis d’une admirable doctrine et condition […], Lyon, 1557) e la traduzione in versi ad
opera di Gabriel Pot (Les deux premiers Livres […], e Suitte des troisieme et quatrieme Livres […], Lyon, 1574). Questo corpus imponente è accompagnato da
commentaires minuziosi che indicano la fonte di ogni apophtegma, segnalando le varianti della versione la-
tina di Erasmo rispetto all’originale greco. Strumenti utili di ricerca sono un Tableau de concordances ove la numerazione della presente edizione viene raffrontata a quella delle edizioni del 1531, 1532 e 1535, e a quel- la delle traduzioni francesi di Macault e del continua- tore; un Lexique accurato dei testi francesi; un Index
personarum; e soprattutto un Index sententiarum che
permette agli editori di testi debitori degli Apophteg-
mata di muoversi agevolmente nella selva di citazioni.
Inoltre l’ampia monografia, che costituisce l’introdu- zione (pp. 13-160), non solo illustra la struttura («Le découplage en livres», pp. 59-92) dell’opera erasmia- na, ma affrontando il problema del ruolo rivestito in Erasmo dalla forma breve, sottolinea i rapporti istitu- iti dal grande umanista con l’opera di Plutarco, i cui testi forniscono un materiale di primaria importanza per la frammentazione in massime operata dagli Apo-
phtegmata.
[michelemasTroianni]
romain menini, Rabelais altérateur. “Græciser en François”, Paris, Classiques Garnier, 2014 («Les Mon-
des de Rabelais», 2), pp. 1143.
Romain Menini, cui già dovevamo un interessante saggio su Platone in Rabelais (Rabelais et l’intertexte
platonicien, Genève, Droz, 2009: cfr. questi «Studi»,
n. 162, 2010, p. 540), pubblica ora un lavoro di mag- gior peso sulla grecità in Rabelais, allargando l’inchie- sta precedente sull’intertesto platonico a tutti que- gli altri autori greci da Rabelais riletti «en philologue pour leur faire subir sa métamorphose comique». In questa sua ricerca, l’A. vuole evidenziare gli elemen- ti caratterizzanti l’imitatio messa in opera da Rabelais, per cui questa si configurerebbe più come un processo di altération (di qui l’etichetta di altérateur impiegata per definire Rabelais nel corso dell’indagine) che come un’imitazione che presuppone una semplice trasposi- zione di fonti classiche. Il termine altération, fra l’al- tro, ha il merito «de faire porter notre regard sur le nécessaire changement qu’il induit, avec une nuance symptomatique de dégradation qui sied au jeu parodi- que de la geste pantagruéline, ce miroir déformant où les autorités littéraire sont invitées à venir se dévoyer».
R. Menini considera la lettura e lo studio dei greci da parte di Rabelais come un’impresa di grecizzazio- ne non solo della cultura in genere ma, in particolare, della lingua, dell’espressione e della forma mentis che presiede al linguaggio. Stabilita peraltro l’importanza degli autori della grecità, ne sono scelti due che dall’i- nizio alla fine della vita di Rabelais lo introducono nella conoscenza approfondita dell’ellenismo e lo sostengo- no nella sua volontà di græciser en François: Luciano
e Plutarco. Come giustamente viene sottolineato, «les œuvres profuses et éclectiques de Lucien et Plutarque apparaissent comme autant de prismes à travers le- squels Rabelais redécouvrit toute la littérature grecque: le premier jouait avec l’épopée d’Homère, l’histoire d’Hérodote, la comédie d’Aristophane e le dialogue de Platon; le second remettait en jeu les savoirs de l’Égyp- te, les secrets du pythagorisme tout comme la démo- nologie et le mythe platoniciens». Il primo, Luciano, è echeggiato soprattutto nel Quart Livre, vera e propria corrispondenza a una fiction lucianesca, che peraltro traluce in filigrana dietro ciascuno dei cinque libri. Il secondo, Plutarco, è l’autore che figura in prima fila fra i testi greci che Gargantua consiglia a Pantagruel di leggere (Pant., VIII), anche se sono soprattutto il Tiers e il Quart Livre a usufruire di spunti narrativi ricavati dai Moralia, da cui sono ricavati episodi celebri come la morte di Pan o le parole gelate. Sempre, comunque, appare il carattere ludico ed erudito ad un tempo.
Stabilita l’importanza di questi due autori per l’im- presa rabelaisiana di græciser en François, non viene applicata la stessa metodologia d’investigazione per stabilire la portata dei debiti contratti nei loro confron- ti. Per quanto concerne Luciano, «l’étude prend appui, en premier lieu, sur une enquête de type historique de- stinée à éclaircir la nature et les causes de l’attrait pour le Samosatois». Così, viene ricostruita la diffusione e la fortuna di Luciano presso i contemporanei di Rabe- lais (uomini di lettere ma anche stampatori); vengono individuati atteggiamenti “lucianei” come la parrhesía; viene illustrata quella che è definita la «philosophie du rire» della Chronique. Per quanto concerne Plutarco, si fonda l’indagine su uno studio di bibliografia ma- teriale. Abbiamo, infatti, volumi provenienti dalla bi- blioteca di Rabelais che contengono opere di Plutarco e sono arricchiti di annotazioni autografe in margine. È oggetto dello studio dell’A. soprattutto un esempla- re dei Moralia omnia (BnF GR Rés. g. R. 33: del tutto ignorato dagli studiosi) che Rabelais annotò di sua ma- no in previsione della stesura del Tiers e Quart Livre: esemplare che dimostra come il Rabelais altérateur fos- se anche grande filologo.
Ma è l’aspetto d’altération che interessa questa ma- gistrale e vasta indagine, ove, come egli stesso dichiara, l’A. ha voluto «envisager les pouvoirs fabuleux de la fiction altératrice de Rabelais, cette prodigieuse blague érudite vers laquelle convergèrent ensemble le rigou- reux assèchement nécessité par le labeur lettré et la sa- tisfaction de “haulser le temps” avec un sourire non dissimulé».
[michelemasTroianni]
Guillaume berThon, L’Intention du poète. Clément Marot “autheur”, Paris, Classiques Garnier, 2014 («Bi-
bliothèque de la Renaissance», 13), pp. 654. L’A., in questa interessante thèse che vuole in qual- che modo essere anche un manifesto che rivendica l’esigenza di ritrovare il sens dopo decenni di derive ad opera di critici strutturalisti e affini, riassumendo e sintetizzando il suo lavoro sottolinea come «les trois parties de l’étude convergent toutes vers un dessein commun: mettre en évidence la façon dont Marot, ten- tant de tourner à son avantage les contraintes qui s’im- posent à lui (la vie de poète-courtisan, l’imprimerie, l’édition non autorisé de ses œuvres et le succès), a lui- même conçu, défini ou exprimé son propre statut d’au- teur. À cet égard, les deux premières parties examinent successivement les réalités et les représentations du
métier d’auteur dans l’œuvre de Marot. La troisième, à travers l’analyse de l’ensemble des éditions autorisées des œuvres de Marot, met en évidence la nature et le sens du projet éditorial marotique» (pp. 34-35).
Nel ripercorrere le tappe del cursus honorum del poeta, attraverso una minuziosa analisi e reinterpre- tazione dei documenti in nostro possesso e lo studio sistematico delle opere, così come sono state successi- vamente pubblicate con varianti di titolo e di testo, l’A. mette in luce in che modo Marot trasformi pezzi di cir- costanza in un’opera libera da legami occasionali, pas- sando da riferimenti a situazioni biografiche particolari a un discorso di ethos più generale. Non solo: Marot riflette sulla propria funzione di “autore”, funzione che è denunciata dall’uso stesso dei termini acteur/au-
theur/auteur e dalle scelte lessicali con cui il poeta di-
segna la sua attività; scelte lessicali che corrispondono a quella produzione, propria del Rinascimento, di una terminologia che comporrà il campo semantico di ciò che noi definiamo écriture.
Soprattutto, però, in questo studio che mira a sve- lare la genesi e lo sviluppo del progetto poetico nella sua completezza e coerenza, l’A. analizza tutta l’attività editoriale di Marot, a partire dagli interventi in que- sto campo su testi che appartengono ad altri autori, e precisamente dalle edizioni di Villon e Jean Marot, preparate da Clément nel 1533, che svelano nell’ordi- ne imposto ai testi, nei titoli (anche solo mediante il significato che assumono termini come Recueil oppure
Œuvres) e nei paratesti una precisa concezione auto-
riale. Per quanto concerne la produzione vera e pro- pria di Marot, vengono esaminate le prime versioni de
L’Adolescence clementine (1532) e de La Suite de l’A- dolescence clementine (1533), che le circostanze delle
pubblicazioni obbligano a dei mutamenti, quanto al- la struttura, in vista delle esigenze del mercato. Inte- ressante è l’analisi del manoscritto offerto ad Anne de Montmorency, poiché è l’unico manoscritto antologico concepito dal poeta, nel quale la scelta dei pezzi e la lo- ro organizzazione differiscono dall’edizione a stampa preparata qualche mese dopo, nel 1538, per Étienne Dolet, edizione che rappresenterà l’ultima occasione per Marot di ridisporre le sue composizioni. L’inda- gine bibliografica di Guillaume Berthon è esemplare ed è uno strumento essenziale per illuminare le inten-
tions del poeta. Non solo: essa rende conto una volta
più delle difficoltà poste, a livello di scelta testuale, agli editori dei testi rinascimentali, e, per quanto concerne Marot, offre degli utilissimi suggerimenti di metodo e offre piste di lavoro ai futuri editori, che evidentemen- te debbono riconoscere l’impossibilità di raggiungere risultati definitivi.
[DarioceccheTTi]
michelDe l’hosPiTal, Carmina. Livre I, édité, tra-
duit et commenté par Perrine GalanD et Loris Pe- Tris, avec la participation de David amherDT, Genève,
Droz, 2014 («Travaux d’Humanisme et Renaissance», n. DXXXI), pp. 398.
Nel quadro di un rinato interesse per la poesia neo- latina del Cinquecento francese si sono negli ultimi decenni moltiplicate le edizioni di testi (possiamo ci- tare la pubblicazione dei poemata di Du Bellay, Jean Second, Jean Salmon Macrin, Étienne Dolet, Jean Do- rat, ecc.), che ricordano come questa produzione ne- olatina accanto all’affermarsi del volgare «dimostri il perdurare di una forte tradizione in latino della poetica
érasmisante a fianco dell’illustration della lingua fran-
cese, che continua ad essere inquadrata e influenzata dal permanere di questa stessa tradizione latina». È ora benvenuta l’edizione critica dei Carmina di Michel de L’Hospital di cui esce il primo libro.
L’Hospital è ricordato soprattutto sul piano della storia civile come esponente, nel momento in cui hanno inizio in Francia le guerre di religione, di una politica di pacifi- cazione, quasi precursore dell’idea di tolleranza (peraltro secondo una mitizzazione del personaggio a volte fuor- viante). In realtà ha una doppia appartenenza, al mondo del Diritto e al mondo delle Lettere, per la sua attività di magistrato e per la sua formazione umanistica, debitrice delle idee di Erasmo e Budé sulla conciliazione tra eser- cizio della politica e pratica letteraria. Ottenne d’altronde una fama notevole proprio per i suoi Carmina (Epistolae
seu Sermones) che si apparentavano, nel momento in cui
trionfava il genere dell’ode oraziana, al genere (anch’esso oraziano) dell’epistola metrica e del sermo. I carmina di L’Hospital offrono anzitutto una riflessione sull’ispirazio- ne poetica che si riallaccia alle nuove definizioni che Po- liziano, sulla scorta di Quintiliano e di Stazio, aveva dato della natura del poeta: il furor divino descritto da Platone era sostituito dal calor, slancio affettivo sostenuto da una profonda erudizione, più adatto alle effusioni intime che all’epopea o alla tragedia; più adatto anche all’espressione dei sentimenti e dei pensieri dell’uomo politico, immerso negli impegni della quotidianità. Il libro I, come saranno anche i libri successivi, è una testimonianza interessante della spiritualità sia dei letterati usciti dall’Umanesimo erasmiano sia di una classe sociale formata da politici e giuristi impegnati nel servizio dello stato. Si tratta di una spiritualità impregnata di evangelismo e di stoicismo. In- fatti, da un lato abbiamo considerazioni sul ruolo che la vita spirituale e la fede hanno – al di là di qualsiasi disqui- sizione di teologia dogmatica – al centro dell’esistenza (I, 11), come pure considerazioni sul senso spirituale della malattia (I, 6) e della morte (I, 9); dall’altro, vediamo trat- teggiato il profilo del magistrato integro e inaccessibile ai vizi quasi fosse il modello del saggio stoico (I, 2). Ancora, L’Hospital definisce (I, 7) cosa può intendersi per poesia cristiana, spoglia dell’ornatus pagano e incentrata su una semplicità che traduce la sincerità.
L’edizione critica è veramente esemplare, basata sul testo autografo del manoscritto Dupuy, quando esiste; sul testo delle plaquettes edite quando L’Hospital era in vita, se ce ne sono; in mancanza di questi testi, su quello dell’edizione del 1732. Oltre ad avere una nitida traduzione a fronte (cosa utile, data la difficoltà a volte del latino umanistico), ciascun carmen è accompagna- to da un’analisi che lo inquadra nel contesto culturale, illustrandone gli orientamenti spirituali, filosofici e po- litici, la struttura retorica, i giochi intertestuali; inoltre un «Commentaire», ricco di annotazioni minuziose, evidenzia fonti ed enuclea tematiche. Si segnala, infine, l’accuratissimo «Index des matières» utile per reperire gli argomenti trattati (in funzione del riferimento con la produzione coeva).
[DarioceccheTTi]
François rouGeT, Ronsard et ses Discours: iden- tifications de nouvelles impressions inconnues (1564- 1565), «Revue des Amis de Ronsard», XXVI, 2013,
pp. 23-33.
In questo articolo F. Rouget, cui dobbiamo ampie e fondamentali indagini sulla diffusione dell’opera ron- sardiana – diffusione manoscritta e a stampa – e sul nesso tra questa diffusione e la genesi letteraria della stessa opera (Ronsard et le livre, Genève, Droz, 2010 e
136
Rassegna bibliografica
2012: cfr. questi «Studi», n. 163, 2011, p. 157, e n. 171,2013, pp. 592-593), nel prosieguo della sua inchiesta volta a scoprire cinquecentine sconosciute delle poesie di Ronsard, pubblicate separatamente o in raccolta, si interessa alle edizioni dei Discours ronsardiani compar- se fino al 1572 (data delle ultime stampe separate). Si tratta di tre plaquettes (Discours des miseres de ce tem-
ps, Paris, G. Buon, 1565; Continuation du Discours des miseres de ce temps, Paris, G. Buon, 1564; Responce aux injures et calomnies, Paris, G. Buon, 1964), di cui
viene fatto un esame preciso e minuzioso.
[michelemasTroianni]
jean braybrooK, Les larmes de Pierre de Ronsard,
«Revue des Amis de Ronsard», XXVI, 2013, pp. 35- 46.
L’A. analizza il trattamento del tema delle lacrime nella Franciade, leggendo il poema ronsardiano in pa- rallelo con l’Eneide. Le lacrime di Francus, come quelle di Enea, sono segno di rimpianto: mentre però Virgilio collega il pianto individuale alla sofferenza universa- le («sunt lacrimae rerum»), Ronsard disegna un Fran- cus ripiegato in se stesso e sulle sue pene interiori («se laissant en larmes consommer»), le cui lacrime eviden- ziano sempre una profonda stanchezza. Anche quando le lacrime, in una prospettiva funeraria, sono manife- stazione di lutto, la ritualità del canto VI dell’Eneide cede al larmoyer sans confort della Franciade. Diversa- mente fedele alla classicità, Ronsard riprende il tema delle lacrime nella poesia amorosa di deuil (l’A. legge brevemente in questa prospettiva il sonetto «Comme on voit sur la branche au mois de May la rose»).
[michelemasTroianni]
jean-Pierre DuPouy, La figure de Peithô, déesse de la persuasion, dans la poésie de Ronsard, «Revue des
Amis de Ronsard», XXVII, 2014, pp. 43-65. Partendo dall’analisi del sonetto XXXII del- le Amours – un elenco della qualità di cui le divinità adornano la Cassandre amata dal poeta –, l’A. si sof- ferma sul significato che riveste il dono – la voix – fatto alla donna dalla dea Persuasione (Peithô). Nel sonet- to infatti viene capovolta l’immagine esiodea di Zeus che invia agli uomini un regalo avvelenato: la donna, appunto, che con la voce (la parola) ingannerà i mise- ri mortali. Ronsard invece per celebrare la sua donna crea un’“altra” Pandora, che non “persuade” per in- gannare, bensì per esercitare un fascino positivo. L’arti- colo passa in rassegna vari passi ronsardiani in cui la te- matica della parola/persuasione compare e li mette in parallelo con la trattazione analoga del tema da parte di poeti contemporanei (Baïf, Pontus de Tyard, Belleau); così pure analizza i differenti significati che assume, in testi ronsardiani celebrativi, la stessa nozione di Peithô.
[michelemasTroianni]
ioannis calvini, Varia. Volumen I (Congrégations et Disputations), edidit Erik Alexander De boer, Genève,
Droz, 2014, pp. XXV-491.
A Ginevra con il termine congrégation si indicava la riunione di pastori, insieme ad altri membri della Chie-
sa, che si teneva la mattina del venerdì dopo il culto mattutino e nella quale su di un testo biblico o su di un problema teologico dibattuto si faceva un’exposition da parte di chi presiedeva la riunione, seguita da inter- venti dei presenti. Con il termine Congrégation vengo- no anche designati i testi (giunti a noi nella trascrizione di uno scrivano). Tra il 1549 e il 1564, anno della morte di Calvino, dovrebbero essersi tenute oltre settecento
congrégations, di cui moderatore sarebbe stato Calvi-
no, ma ci sono pervenuti soltanto una trentina di testi trascritti. Nelle Congrégations, qui pubblicate, abbia- mo sia expositions del grande riformatore sia sue ad- dizioni, come pure abbiamo interventi di altri membri delle assemblee. Si tratta quindi di una testimonianza eccezionale non solo del pensiero e dell’attività di Cal- vino predicatore, ma anche della ricezione del suo pen- siero da parte della Chiesa ginevrina e della riflessione teologica comunitaria. L’edizione di E.A. de Boer of- fre l’insieme di questi testi, che in genere offrono com- menti biblici (su brani di Giuda, di Giovanni, dell’Eso-
do, dei Galati, di Giosué, di Isaia) ma anche esposizioni
e dibattiti dottrinali, come l’importante Congrégation
sur l’election nouvelle de Dieu che affronta un tema
centrale della teologia calviniana e soprattutto ci infor- ma di un débat che fece scalpore, quello contro Jérôme Bolsec. Queste Congrégations hanno anche un grande interesse sul piano linguistico, sia per essere frutto di interventi in parte caratterizzati dall’immediatezza sia per essere risultato di trascrizioni ad opera di scrivani uditori, il che pone una serie di problemi filologici il- lustrati nell’introduzione alla presente edizione. Ogni
Congrégation è anche preceduta da una limpida prefa-
zione che commenta e inquadra i testi.
[michelemasTroianni]
huGues Daussy, Le parti huguenot. Chronique d’u- ne désillusion (1557-1572), Genève, Droz, 2014 («Tra-
vaux d’Humanisme et Renaissance», n. DXXVII), pp. 882.
Hugues Daussy, uno dei più validi storici del pro- testantesimo francese del secondo Cinquecento, dopo aver consacrato la sua thèse de doctorat a ricostruire il pensiero e l’impegno politico di Duplessis-Mornay (Les huguenots et le roi: le combat politique de Philippe
Duplessis-Mornay, 1572-1600, Genève, Droz, 2002) – e
attraverso lo studio di questo personaggio a ricostruire la politica protestante, sul piano pratico e su quello te- orico, negli anni che precedono l’editto di Nantes –, ha dedicato il suo lavoro di habilitation allo studio delle scelte politiche dei réformés negli anni che precedono la Saint-Barthélemy. Sono anni che sono stati relativa- mente trascurati dalla storiografia, per quanto riguarda la formazione e strutturazione di un “partito” hugue-
not. Il periodo studiato – dal 1557 al 1572 – vede affer-
marsi, da parte dei protestanti, non soltanto la speran- za ma la convinzione di un possibile trionfo della Rifor- ma in Francia, convinzione che si trasformerà, con la Saint-Barthélemy, in disillusione. Per l’A., pertanto, «il a paru intéressant d’étudier non seulement l’imaginai- re, dans lequel s’est enraciné ce fol espoir d’une victoi- re totale, mais aussi les moyens humains auxquels les leaders du mouvement réformé ont eu recours, afin de transformer leur rêve en réalité». Questi «mezzi uma- ni» sarebbero appunto la messa in opera di una vera e propria organizzazione politica. Ora, mentre gli stori- ci della Riforma francese si sono essenzialmente occu- pati della formazione e del funzionamento del sistema
ecclesiastico, l’indagine di H. Daussy ricostruisce le strutture politiche – evidenziando quella che definisce l’«autonomisation de la structure politico-militaire», creata in parallelo al sistema presbitero-sinodale – e il- lustra i movimenti di una società parallela con i suoi centri di potere e i suoi capi, il cui enjeu è di fare cam- biare rotta alla Francia cattolica, tentando di spostare sulle proprie posizioni la corona (la regina madre e il re). Il discorso dello storico si appoggia su una docu-