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186 Rassegna bibliografica sua cifra letteraria, che peraltro è anche quella della

scrittura moderna. Le Grand Meaulnes, affresco di un universo rurale silenzioso e melanconico in cui l’amo- re adolescenziale si confronta con le prime prove della vita, verte infatti sui grandi temi cari all’umanità che interessano il pubblico dell’epoca.

[elenamaZZoleni]

anneTTe becKer, La Grande Guerre d’Apollinaire. Un poète combattant, Paris, Tallandier, 2014 («Texto»),

pp. 267.

Annette Be cker è membro dell’Institut Universitai- re de France e professoressa all’Université Paris-Ouest Nanterre. Specialista di violenze estreme e culture bel- liche, la storica ripercorre con vivacità e audacia gli an- ni della Grande Guerra, permettendoci di intrapren- dere un viaggio singolare alla scoperta di un poeta fiero di essere diventato soldato.

Passo passo, ritroviamo Guillaume Apollinaire alle prese con le tappe più significative della sua vita di uo- mo e d’artista, dall’arruolamento nell’estate del 1914 fino alla morte avvenuta il 9 novembre 1918. La no- ia dell’esperienza militare, la paura in prima linea, lo smarrimento in seguito alla ferita alla testa nel 1916 rie- mergono nella biografia letteraria di uno tra i più gran- di poeti della modernità.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ne- gli scritti scelti e proposti dall’autrice non leggiamo l’a- pologia del primo dei due terribili conflitti mondiali, quanto l’incredibile forza della vita nella morte, di cui lo stesso Apollinaire si fa icona nel momento decisivo del suo trauma alla testa.

Anche se violenza, crudeltà e sofferenza sono i perni attorno ai quali ruota la biografia di Annette Be cker, le vicende raccontate permettono prima di evocare e poi di approfondire, tra l’altro, temi quali l’occupazione del Nord della Francia, il fronte, il patriottismo, l’antisemi- tismo e la xenofobia. Attraverso le attente osservazio- ni del poeta ricostruiamo così nel dettaglio il «dietro le quinte» del Grande conflitto mondiale, dallo scoppio di bombe e siluri fino alla nascita di un vero e proprio «artigianato» delle trincee con la lucidatura degli anelli.

Poeta e critico d’arte, inserito in una cerchia di ami- ci intellettuali, artisti, musicisti, nella sua esperienza di combattente ferito, Wilhelm de Kostrowitzky si rivela uomo dalle molteplici identità, scrittore dal duplice no- me, soldato dal nome particolare. Di madre polacca e padre italiano, Apollinaire mostra un grande attacca- mento alla Francia e una certa diffidenza nei confronti della Germania. Con la sua storia personale si intrec- ciano evidentemente le vicende di Picasso e Cendrars, Duchamp, Breton, Éluard, ma anche le avventure di tanti personaggi comuni che hanno condiviso la sua quotidianità, riprodotta in innumerevoli scritti, disegni e registrazioni sonore, trattati come delle fonti nuove ed indispensabili alla conoscenza di un periodo storico tanto significativo.

Studiare Apollinaire sotto questa nuova luce signifi- ca quindi ricostruire la sua battaglia, costituita dalle sue certezze, dalle sue ansie e dai suoi rifiuti, per poi conte- stualizzarla in una guerra universale, che appartiene a tutti. La traduzione dell’esperienza dell’arruolamento nella produzione del poeta, il ricordo del suo impegno militare e della sua ferita toccheranno generazioni di scrittori francesi, e non solo, che si interrogheranno sul reale significato della Grande Guerra.

[elisaborGhino]

mario richTer, Apollinaire. Le renouvellement de l’écriture poétique du xxe siècle, Paris, Classiques Gar-

nier, 2014, pp. 362.

Questo volume propone la traduzione, a cura di Jean-Pierre Baldacci, Jean-François Rodriguez e Françoise Bonali Fiquet, della monografia intitolata

Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica all’i- nizio del Novecento uscita nel 1990 per Il Mulino e co-

stituita da tredici «letture» di altrettante poesie, frutto della ricerca che Mario Richter ha dedicato alla figura di Apollinaire; prova che a più di vent’anni di distanza questo testo rimane fondamentale nella critica apolli- nairiana.

Dopo l’«Avertissement» (pp. 9-10) in cui viene spie- gato il criterio di scelta del corpus e di analisi – pro- spettiva diacronica, esemplarità delle poesie, fedeltà scrupolosa al testo esaminato senza dover necessaria- mente applicare un vero e proprio metodo critico che rischierebbe di condizionarne la lettura – nell’introdu- zione (pp. 11-35) l’A. anticipa e riassume il percorso intrapreso attraverso una delle avventure poetiche più straordinarie e proficue del Novecento, in cui il rin- novamento incessante della forma perseguito dal po- eta è interpretato secondo una chiave di lettura uni- ficatrice. Le innovazioni e la varietà delle poesie che compongono le due raccolte principali di Apollinaire ( Alcools e Calligrammes) sono infatti viste come il ri- sultato dell’accettazione della modernità da parte di un poeta che non rinuncia alla concezione orfica del mon- do e della poesia e quindi alla necessità di ricondurre all’ordine dell’arte il disordine e la volgarità della realtà presente, qualsiasi essa sia.

Contrariamente ad una certa tendenza della critica che ha spesso privilegiato la raccolta Alcools, l’A. ha trat- tato principalmente e con ragione le poesie contenute in

Calligrammes, le quali testimoniano una creatività unica

e audace. Nella prima parte, dedicata ad Alcools («Du “Mélodieux délire” au “Surnaturalisme”», pp. 37-71), Mario Richter evidenzia la programmatica e dolorosa rinuncia del poeta al gusto della lirica simbolista, a cui rimane intimamente legato, e l’approdo alla concezio- ne «surnaturaliste» per cui la poesia diventa un luogo altro di sintesi tra la realtà sensoriale e mnemonica (sia individuale che collettiva). Nella seconda parte («La musique des vers et la musique des formes», pp. 73- 161) l’avvento, in Calligrammes, di un nuovo lirismo dei sensi e soprattutto della vista, volto a instaurare un rapporto diretto e più autentico con il mondo esterio- re, è messo in relazione con la lacerazione intima di un poeta che cerca continuamente di svincolarsi da legami e certezze che impedirebbero di accordare la creazione poetica alla mutevolezza della realtà (ciò che Apolli- naire chiama «vitalité universelle»). Infine, nell’ultima parte («L’écriture poétique en guerre», pp. 163-293), l’A. si sofferma sulle poesie appartenenti al periodo della guerra poiché questa manifestazione tragica della realtà non fa che porre drammaticamente il poeta fra passato e avvenire e quindi conferma, giustifica e rende urgente, ineluttabile, il programma di rinnovamento della scrittura poetica da lui intrapreso.

In appendice, dei tre saggi pubblicati nell’edizione italiana viene mantenuto e tradotto “Soffici e Apolli- naire” («Apollinaire et Soffici. Deux amis, deux vies parallèles», pp. 315-330) che tratta dei rapporti reci- proci tra il poeta francese e il poeta-pittore italiano. A questo ne sono aggiunti due più recenti: «Apollinaire. Signification d’un pseudonyme» (pp. 297-301), dedi- cato al significato dello pseudonimo utilizzato dal po- eta, e «Portraits italiens d’Apollinaire sous le signe de

l’Orphisme (De Chirico et Soffici)» (pp. 303-314), sui ritratti del poeta eseguiti da De Chirico e Soffici. Il vo- lume si conclude con un’ampia e aggiornata bibliogra- fia critica.

[DamianoDePieri]

Marcel ProusT, Contre l’obscurité et autres articles,

s.l., La Nerthe, 2012 («La petite classique»), pp. 60. Il volume ripropone sei articoli che Marcel Proust pubblicò su alcune riviste («Le Figaro», «La Revue blanche» e «N.R.F.») in un arco di tempo molto am- pio, che si estende dal 1896 al 1921. Si tratta di pagine ben note ai lettori di Proust, e già disponibili nei due volumi della «Pléiade», Contre Sainte-Beuve e Jean San-

teuil, curati da P. Clarac et Y. Sandre.

In questa edizione dal formato agevole si possono quindi rileggere molti di quei materiali che confluiran- no in seguito nella Recherche proustiana, costituen- done altrettanti temi-chiave: le considerazioni sulle conversazioni telefoniche e sulla lettura («Journées de lecture», pp. 1-8); lo sbocciare della sensualità nella descrizione dei biancospini del mese di maggio («Au seuil du printemps. Épines blanches, épines roses», pp. 9-15); la promessa di felicità contenuta in una gior- nata quasi primaverile nel cuore dell’inverno («Rayon de soleil sur le balcon», pp. 16-20); l’illusione contenu- ta nei nomi propri di città (l’âge des noms già manifesto di «Vacances de Pâques», pp. 21-28).

I due testi successivi, più teorici, racchiudono la po- etica di un Proust ancora giovane («Contre l’obscu- rité», pp. 29-35), nonché quella della piena maturità («À propos de Baudelaire», pp. 36-60). Nel primo, cri- ticando la «double obscurité […], obscurité des idées et des images d’une part, obscurité grammaticale de l’autre» (p. 30), tipica dei poeti e prosatori della «jeune école» parnassiana e simbolista, Proust insiste sull’in- comprensibilità di fondo di ogni opera d’arte, la quale si può esprimere soltanto per mezzo di una forma stili- stica chiara e individuale, che rinnovi contemporanea- mente lingua e contenuto.

Nel secondo e fondamentale articolo, del 1921, Proust esprime il proprio giudizio sui versi di Hugo, di Vigny, di de Musset, di Leconte de Lisle e di Baude- laire, denunciando gli errori di Sainte-Beuve e crean- do sintesi sorprendenti quando definisce ugualmente

classici, per esempio, Baudelaire e Racine («rien n’est

si baudelairien que Phèdre», p. 45). Il classicismo di Baudelaire è, tra l’altro, particolarmente evidente nelle

pièces condannate come «Femmes damnées». Questi

due saggi dimostrano, ancora una volta, che critica let- teraria e creazione sono per Proust aspetti di una stessa e medesima attività: la «vision du monde» che l’artista propone si traduce ogni volta in scelte sintattiche tanto innovatrici quanto necessarie.

[DaviDevaGo]

manuela raccanello, Proust in Italia. Le traduzio- ni della “Recherche”, Firenze, Le Lettere Università,

2014, pp. 93.

Il contenuto ma denso volume di Manuela Racca- nello figura a pieno titolo tra le pubblicazioni più im- portanti apparse in occasione del centenario della pub- blicazione del primo libro della Recherche du temps

perdu (1913) di Marcel Proust. Apprezzata traduttrice

e studiosa nel campo sia della critica che della storia della traduzione, Raccanello analizza secondo un’otti-

ca critico-comparativa le prime traduzioni italiane del capolavoro proustiano.

Il primo a dare conto ai lettori italiani di Du côté

de chez Swann è stato Lucio D’Ambra, giornalista, ro-

manziere e grande conoscitore della letteratura france- se dell’Ottocento. In un breve articolo apparso nella «Rassegna Contemporanea» manifesta un aperto entu- siasmo e una decisa ammirazione per l’opera proustia- na, paragonando il suo autore a Stendhal. Si tratta tut- tavia di una voce quasi isolata, dato che gli interventi critici successivi, tra cui quelli di Benedetto Croce, di Gabriele d’Annunzio e di Giuseppe Prezzolini, sono stati decisamente severi. Tra i pochi che hanno elogiato lo stile proustiano, vanno menzionati Giuseppe Unga- retti e Giacomo Debenedetti.

Il ritardo con cui si è avviato il processo traduttivo dell’opera proustiana è legato in primo luogo a questo clima polemico e in secondo luogo al fatto che l’impre- sa era innegabilmente impegnativa. Le condizioni sono maturate una decina di anni dopo, anche se occorre precisare che fino ai primi anni Quaranta del Nove- cento sono stati tradotti solo brevi passi della Recher-

che, tutti quanti pubblicati nelle riviste più attente alle

novità letterarie.

La prima traduzione, apparsa il 18 febbraio 1923 sulle colonne del quotidiano indipendente «Il Mon- do», porta la firma di Corrado Alvaro. Il passo tradot- to, intitolato La morte di Bergotte, appartiene al volume postumo La Prisonnière (1923). La versione dello scrit- tore calabrese risente della conoscenza limitata della

Recherche e, come sottolinea Raccanello, la trama del-

le corrispondenze sonore si smaglia, le iterazioni lessi- cali e sintattiche dell’originale sono poco considerate (p. 11). Sotto il profilo lessicale si osserva una tendenza all’ennoblissement del lessico, laddove Proust selezio- nava quest’ultimo in funzione della precisione e non tanto dell’effetto.

Nonostante il regime fascista avesse vietato la tra- duzione dei romanzi dello scrittore francese perché potenzialmente sovversivi, negli anni 1924-1925 sono stati tradotti altri morceaux choisis, tra cui il passo in- titolato I paesaggi di Elstir, pubblicato nell’«Esame» nel 1924 a opera di Renato Mucci e, sempre in quello stesso anno, Soggiorno a Venezia nel dopoguerra, ancora una volta sulle colonne de «Il Mondo», mentre l’anno successivo l’«Eco del Piave» ha ospitato la versione di un passo tratto da Sodome et Gomorrhe, tradotto dallo scrittore Giovanni Comisso.

Nel maggio del 1944 ha visto finalmente la luce una parte cospicua della Recherche. Il volumetto La precau-

zione inutile. Romanzo (Milano-Roma, Jandi Editori),

ampia versione del romanzo La prisonnière siglata da Eugenio Giovannetti, ha inaugurato una nuova stagio- ne editoriale. Un anno dopo appare Soggiorno a Vene-

zia (Venezia, Edizioni del Cavallino), versione del terzo

capitolo di Albertine disparue, firmata dal già ricordato Renato Mucci.

È stato con la fine della guerra che è scattata «l’o- ra X, quella dell’attacco frontale al romanzo» come ha scritto Giacomo Debenedetti. Si è cominciato con la prima parte, ossia Du côté de chez Swann; risalgono al 1946, infatti, Casa Swann (Firenze, Sansoni), Un amo-

re di Swann (Milano-Roma, Jandi-Sapi), La strada di Swann (Torino, Einaudi), tradotti rispettivamente da

Bruno Schacherl, da Armando Landini e da Natalia Ginzburg.

Con quest’ultimo romanzo, La strada di Swann, Giulio Einaudi ha dato inizio a quell’ampio progetto editoriale, concretizzatosi nel 1951, che prevedeva la traduzione integrale della Recherche. Tale iniziativa ha

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