manoscritta delle opere di Maria (K. busby, The manu- scripts of Marie de France, pp. 303-317).
Si tratta dunque di una raccolta molto ricca di in- formazioni e aggiornata sul complesso dossier Maria di Francia, alla quale tuttavia manca, come già accennato, un lavoro sulla questione dell’identità storica dell’au- trice, liquidata come «mystery» (p. IX) sul quale non esisterebbero prove convincenti; al contrario, una ri- presa della questione avrebbe potuto fornire, oltre a un quadro di riferimento per il lettore, anche varie sug- gestioni per la comprensione dell’opera di Maria e dei punti che i saggi raccolti hanno ben evidenziato.
[WalTermeliGa]
Beroul, Tristano e Isotta, a cura di Gioia ParaDisi,
Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013 («Gli Orsatti. Testi per un Altro Medioevo», 35), pp. 419.
Il Tristan di Béroul (autore che lavora in Inghilterra e scrive in normanno) è tràdito da un unico testimone (il parigino BnF fr. 2171), il quale ci consegna 4495 versi (mancano la parte iniziale e quella finale). L’ope- ra è da collocarsi, a parere della maggior parte degli studiosi, tra gli anni Sessanta ed i primi Ottanta del xii
secolo, pur se nessuno degli elementi valutabili ai fini di una datazione è tale da essere realmente dirimente.
Il volume curato da Gioia ParaDisi offre finalmen-
te – e se ne sentiva davvero la mancanza – una tradu- zione in italiano, accompagnata da una densa introdu- zione e da note filologiche ed esegetiche, dell’opera, fondandosi su un testo critico affidabile costituito sulla base del testimone unico e in un’ottica «conservativa» (e comunque sempre segnalando tramite asterisco ogni intervento), pur se la curatrice interviene laddove a suo avviso necessario e tenendo conto (ottimamente) del- le principali edizioni preesistenti e dei contributi spe- cialistici di taglio ecdotico. L’apparato affianca ai dati relativi alle lezioni rigettate la discussione di una serie di loci significativi sia dal punto di vista della constitu-
tio textus sia sotto il rilievo filologico ed interpretativo.
Nell’«Introduzione» si segnalano in particolare per interesse e originalità le osservazioni sugli aspetti es- senziali che l’amore incarnato da Tristano e Isotta ri- veste nella versione elaborata da Béroul: un amore ben lontano dall’avere come «paradigma di riferimento» il «codice comportamentale tipico degli innamorati pro- posto dalla lirica d’amore» (p. 16). Notevole anche l’a- nalisi del percorso che ha portato una storia legata nei suoi nuclei più antichi alla trasmissione del potere re- gale a divenire una vicenda d’amore, così come l’ap- profondimento delle relazioni che la vicenda instaura con i racconti della tradizione celtica.
Forse, pensando alla «spendibilità» didattica del volume, sarebbe stata necessaria qualche nota esegeti- ca in più, così come sarebbe stato auspicabile accom- pagnare con una traduzione i testi letterari in antico francese diversi dal Tristan citati. Va tuttavia notato che è la curatrice stessa a dichiarare che «in attesa di una più ampia pubblicazione, nella quale possano fi- gurare lo studio analitico della veste grafico-linguistica e della versificazione, il glossario e un commento più completo, si presentano in questa sede il testo critico, la traduzione e una strumentazione esegetica essenzia- le» (p. 47, nota).
Chiude il volume una ricca e ben organizzata «Bi- bliografia».
[GiusePPenoTo]
jacques chocheyras, Réalité et imaginaire dans le “Tristan” de Béroul, Paris, Honoré Champion, 2011
(«Essais sur le Moyen Age», 49), pp. 160.
Le volume rassemble treize articles parus d’abord entre 1992 et 2012; il est organisé en deux parties: «Sur les traces du poète Béroul» et «A la recherche du sens de l’“estoire” selon Béroul». L’«Introduc- tion» (pp. 9-14) brosse une lecture «littéraire» et ro- manesque du texte et formule quelques hypothèses «à partir de constatations d’évidence» (p. 10): les deux amants s’astreignent non à la chasteté, mais à la continence, les oreilles du roi Marc sont un avatar des cornes, les trois barons agissent car ils craignent la nais- sance d’un héritier qui limiterait leur pouvoir, tout le monde est subjugué par Iseut, magicienne irlandaise, Tristan préfigure Hamlet.
Voici les titres, avec la date de leur première paru- tion. Première partie: “Boron”, “buron” et “borie” de
Béroul à nos jours (1998), Trois lieux historiques du “Tristan” de Béroul: le “cellier” d’Orri, la Table Ronde d’“Isneldone”, “Saint Lubin” (2004 et 2012), Les lieux dits “La Croix Rouge” au Moyen Âge et leur significa- tion (2005), La “Vie de saint Gilles” et le trafic maritime à l’époque du “Tristan” de Béroul (1992-1995), La voix de “Beros” dans son “Purgatoire de saint Patrice” (2004).
Deuxième partie: Souffrance physique, souffrance psy-
chique dans le “Tristan” de Béroul (2002), Le sens du terme “félon” dans la “Chanson de Roland” et le “Tris- tan” de Béroul (1997), De la tromperie à l’erreur, séman- tique du “faux” au Moyen Âge (2002 et 2005), Sur le dernier épisode du “Tristan” de Béroul (2004), Chrétien de Troyes et “Tristan”: une nouvelle approche (1996), Le personnage d’Arthur dans le “Tristan” de Béroul (1995), Le regard d’Iseut la Blonde (1995), Du “Tristan” de Tho- mas au “Tristan” de Béroul. La querelle d’Iseut (2004).
L’«Index des noms propres» et l’indication des réfé- rences des premières parutions terminent l’ouvrage.
[G. maTTeoroccaTi]
alFonso D’aGosTino e serena lunarDi, Il “fabliau” della Vedova consolata (NRCF, 20), prefazione di Oli-
vier colleT, Milano, Led – Edizioni Universitarie di
Lettere Economia Diritto, 2013 («Biblioteca di Filo- logia e Linguistica romanze», II. Testi. «Sfuggiti all’In- dice», 2), pp. 230.
Con i suoi sei testimoni (e dunque con una tradizio- ne manoscritta ben nutrita, se calibrata all’interno del
corpus fabliolistico a noi giunto) il duecentesco e ano-
nimo «conte à rire» di norma conosciuto col titolo Cele
qui se fist foutre sur la fosse son mari si presenta come
«una germinazione isolata nel tronco tradizionale della cosiddetta Matrona di Efeso, meccanismo narrativo e successivamente anche teatrale» (p. 19) che per secoli è stato fonte di continua ispirazione e molteplici rie- laborazioni.
Nella prima parte il libro ricostruisce con rigore e perizia il «viaggio», o meglio i «viaggi» nel tempo, nel- lo spazio e attraverso culture e sensibilità differenti che il tema della «vedova consolata» compie, a partire da Petronio e Fedro (e parzialmente da Esopo) per giun- gere – attraverso più rivoli – alla rielaborazione fablio- listica e alle versioni di poco posteriori a questa, ma derivate per altre strade da fonti comuni.
L’edizione del testo, cui è dedicata la seconda sezio- ne del volume, mi pare davvero esemplare, poiché è capace di rispondere alle necessità sia del rigore scien-
tifico sia della «spendibilità» (e della funzionalità) di- dattica, attraverso una strategia ecdotica «totalizzante» in cui ogni elemento (ovvero i capitoli dedicati a: Que-
stioni filologiche; La lingua e la versificazione; Testo, ver- sioni e note, unitamente ad un Glossario e ad un Rima- rio) è parte del sistema che – nella sua globalità – costi-
tuisce appunto, unitamente al testo, l’edizione critica: la constitutio textus, in particolare, risponde alle ragio- ni di «un prudente lachmannismo, verificato lezione per lezione, senza accordare privilegi speciali ad alcun manoscritto» (p. 136); l’apparato critico è organizzato in modo da separare le osservazioni del filologo dal- la mera registrazione delle varianti e contempla anche (aspetto a mio parere del tutto commendevole) le le- zioni più importanti delle precedenti edizioni critiche. Alla luce dell’accorta analisi condotta, il breve rac- conto (poco più di 120 versi) si rivela – in conclusio- ne – come il crocevia di molteplici relazioni interte- stuali, frutto di ri-scrittura (a fini comici) di opere sia della tradizione latina classica e medioevale sia del pa- trimonio volgare: in questo senso almeno, esso appare dunque testo esemplare per comprendere i meccani- smi della tradizione letteraria del Medioevo romanzo.
Davvero esaustiva e ben organizzata la bibliogra- fia (comprensiva di una sezione dedicata ai «Materiali consultabili in linea») esibita al fondo del volume.
[GiusePPenoTo] La tradizione della lirica nel Medioevo romanzo. Pro- blemi di filologia formale, a cura di Lino leonarDi, at-
ti del Convegno Internazionale Firenze-Siena, 12-14 novembre 2009, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2011 («Archivio Romanzo», 21), pp. 476.
Il convegno ha come oggetto lo studio diacronico dei canzonieri lirici romanzi e dei loro rapporti all’in- terno delle rispettive tradizioni. Della lirica d’oïl tratta- no il contributo di M. S. lannuTTi, Sulle raccolte miste di lirica galloromanza (pp. 153-178), che tratta in parti-
colare dei canzonieri con sezioni in lingua d’oc, e quel- lo di L. barbieri, Contaminazioni, stratificazioni e ricer- ca dell’originale nella tradizione manoscritta dei trovieri
(pp. 179-240), che affronta varie questioni della tradi- zione dei trovieri, in particolare per quanto riguarda il problema della contaminazione.
[WalTermeliGa]
heDZer uulDers, “Salutz e amors”. La lettre d’amour dans la poésie des troubadours, Paris-Leuven-Walpole,
MA, Peeters, 2011 («Mediaevalia Groningana. New Series», 17), pp. 200.
Il lavoro è un serio approccio al genere poetico del
salut, che rappresenta una parte rilevante della produ-
zione non-lirica dei trovatori occitani. Si tratta di un genere minore ma che occupa uno spazio letterario non piccolo e che doveva godere di un certo apprezza- mento da parte del pubblico, come una recente edizio- ne complessiva ha dimostrato (“Salutz d’amor”. Edizio-
ne critica del “corpus” occitanico, 2009: si veda «Studi
francesi», LV, n. 165, pp. 618-619).
Nel volume di uulDers si segnala in particolare la
parte dedicata alla tecnica letteraria e allo statuto del
salut («Technique poétique et statut générique»), dove
sono presenti anche una bella analisi del più celebre fra i salutz di Arnaut de Marueil, maestro riconosciuto del genere, insieme a un esame della tradizione manoscrit-
ta e della presenza del salut nel resto della produzione contemporanea.
[WalTermeliGa]
Denis FoulechaT, Éthique chrétienne et philosophie antique. Le Policratique de Jean de Salisbury, Livres VI et VII, édition critique par Charles brucKer, Genève,
Droz, 2013, («Publications Romanes et Françaises», 260), pp. 750.
Le Policraticus: de nugis curialium et vestigiis philo-
sophorum de Jean de Salisbury (1159) fait partie des
ouvrages qui s’intéressent à des aspects précis du gou- vernement d’un royaume embrassant des problèmes à la fois politiques et moraux. En 1372, le frère mi- neur Denis Foulechat a transposé la pensée de Jean en moyen français, tout en laissant apercevoir les ana- logies et les contrastes entre la société de l’époque d’Henri II Plantagenêt et celle du milieu du règne de Charles V, ainsi qu’en ajoutant à ce miroir des princes composé en latin quelques interventions personnelles qui insistent davantage sur l’éthique chrétienne.
Même si l’influence de l’Institution de Trajan du Pseudo-Plutarque et de la métaphore du corps, dont se dégage l’argumentation du Livre V, se poursuit dans une bonne partie du Livre VI, l’éditeur considère les Livres VI et VII une «unité bien soudée»; le choix de les publier à part s’explique par la prédominance dans le Livre V du problème politique alors qu’à partir du Livre VI la démarche de Jean est orientée plutôt vers l’étude de la nature humaine, notamment de l’éthique chevaleresque et militaire, pour s’ouvrir ensuite, dans le Livre VII, sur des questions de morale étayées par les réflexions des philosophes de l’Antiquité.
Le Policratique français est conservé par cinq té- moins, dont deux fragments (voir la description et le classement des mss. dans l’éd. des Livres I-III, Droz 1994, pp. 24-35). Comme pour ses éditions précé- dentes, l’éditeur a choisi comme manuscrit de base celui de dédicace, Paris, BnF fr. 24287 (sigle N), en se servant des mss. de contrôle Bibl. de l’Arsenal, 2692 (sigle A) pour le Livre VI (pp. 123-276) et Bibl. de Sainte-Geneviève, 1145 (sigle G) pour le Livre VII (pp. 277-517). Si l’édition du Livre V était accompa- gnée d’un riche apparat de variantes figurant à la fin du texte édité, ici elles ont été réduites à l’essentiel et pla- cées en bas de page, ce qui permet des comparaisons immédiates. Même si les variantes se trouvent au même niveau des autres notes explicatives et si l’on souhaite- rait simplifier les renvois en redémarrant la numérota- tion dans chaque page, les artifices graphiques choisis permettent une lecture claire et aisée de l’ensemble de l’apparat.
L’édition est précédée d’un «Avant-propos» (pp. 7-20) qui rappelle les données principales concer- nant l’ouvrage, le traducteur et la tradition manuscrite et énonce les critères d’édition; cette partie liminaire enchaîne avec l’analyse commentée des Livres VI et VII articulée suivant les paragraphes du texte (pp. 23- 80). Les «Remarques sur la langue de Denis Foulechat d’après le manuscrit de base» (pp. 81-116) intègrent par des nouveaux exemples le riche dossier textuel des autres éditions en apportant une contribution remar- quable à l’étude du moyen français. La bibliographie ici publiée est minimale, son intention étant de compléter celle qui figure dans les travaux précédents (pp. 117- 121). L’édition est suivie par des listes: «Proverbes, phrases sentencieuses» (pp. 519-520), «Thèmes clés et champs notionnels des énoncés proverbiaux» (p. 521),