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164 Rassegna bibliografica alla Société du Cheval Rouge – va sottolineato come

questa «amitié dégradée» tra i due autori si sia limitata a polemiche o ad accuse essenzialmente sul piano per- sonale e finanziario senza mai intaccare il rispetto reci- proco sotto la prospettiva letteraria ed artistica. Karr, fiero sostenitore della libertà e dell’amicizia, mal sop- portava le stravaganze dell’autore di César Birotteau (pubblicato nel «Figaro»), «les ingratitudes qui condu- isent Balzac à tenter de piller, sans vergogne, les bon- nes recettes des camarades» (p. 18). Dal canto suo, Bal- zac ironizza sovente sull’attività letteraria di Karr, ma gli rende indirettamente omaggio, nella Monographie

de la presse parisienne, dove «il cite longuement l’aven-

ture journalistique de Karr, comme une catégorie nou- velle de presse parisienne» (p. 19).

Di Alphonse Karr, è riprodotto, alle pp. 29-31, un interessante documento pubblicato nel primo nume- ro de «Les Guêpes» (novembre 1839), in cui vengono considerati i rapporti tra libertà di stampa e potere po- litico (La presse et le gouvernement, vus par Alphonse

Karr. Extrait du premier numéro des “Guêpes”, novem- bre 1839).

Altra figura di primo piano di questa “camaraderie” giornalistico-letteraria è quella di Henri de Latouche su cui riflette sempre Hervé Plagnol nell’articolo de- dicato appunto all’autore di Fragoletta (Hyacinthe, dit

Henri de Latouche, l’ami renié, pp. 21-28). Una sincera

stima e un intimo rapporto di amicizia legarono Balzac e Latouche a partire dal 1825: la benevola recensione a

Wann-Chlore ne «La Pandore» del novembre 1825 (un

romanzo che, secondo Latouche, «mérite d’obtenir un brillant succès») e la collaborazione alla stesura del te- sto de Les Chouans nel 1829 rendono conto del lega- me profondo, sotto il profilo umano ed artistico, che strinse tra loro i due autori. Come nel caso di A. Karr, furono i malintesi e i contrasti legati alla pubblicazione e alla vendita del primo romanzo “a firma Balzac” a minare quasi irreversibilmente l’amicizia profonda tra Latouche e Balzac. Latouche riconobbe sempre la su- periorità di Balzac; dal canto suo, Balzac deve molto ad alcune tematiche letterarie presenti nell’autore di Fra-

goletta (come, ad esempio, il tema dell’«homme-fem-

me»). È possibile quindi affermare che «cet échange de sympathie puis de reproches entre les deux permet à Balzac de nourrir ses thèmes de prédilection, d’affi- ner sa pratique et de développer sa théorie du roman moderne» (p. 28).

Antoine Faivre (Propos de magnétiseurs et paroles d’outre-tombe: Balzac dans le “Journal du magnétisme” de 1845 à 1856, pp. 33-42) offre un interessante con-

tributo centrato sull’analisi della portata dell’influenza balzachiana «chez les magnétiseurs […] ainsi que chez les spirites» (p. 33) attraverso l’esame della presenza del romanziere nelle pagine del «Journal du magnéti- sme» fondato e diretto da J.D. du Potet de Sennevoy dal 1845 al 1856.

I saggi che segnaliamo di seguito completano le pa- gine del fascicolo: Anne-Marie baron, Sur les écrans. Le monde enchanté de Jacques Demy […], pp. 43-44; “L’Artiste et son modèle” de Fernando Trueba, pp. 45-

46; René benjamin, En librairie, p. 47; Deux expositions dans l’esprit balzacien, p. 48; Cuvier célébré, p. 49; Ex- position David d’Angers, p. 50; La nuit des musées à la Maison de Balzac, pp. 51-52; Les manifestations de la Maison de Balzac, pp. 53-54.

[marcosTuPaZZoni]

henry james, Honoré de Balzac, in L’Arte del roman- zo. Saggi sulla scrittura e ritratti di autori, introduzio-

ne di Agostino lombarDo, Milano, Pgreco Edizioni,

2013, pp. 61-95.

Questo saggio di Henry James (tratto da Notes on

Novelists with Some Other Notes, 1894, 1914) rappre-

senta probabilmente uno fra i tributi più alti che uno scrittore (e un critico) potesse offrire al suo maestro, l’atto di omaggio più sincero, più leale, più intensa- mente personale che un romanziere si sentisse inti- mamente in dovere di rivolgere al proprio «benefat- tore» e al proprio «padre». Balzac – «Benedettino del presente» (p. 66), «Gulliver fra i pigmei» (p. 65) – si stacca in modo rilevante da ogni altro scrittore, e non solo della sua epoca. Tra tutti i romanzieri, egli «è il più serio» (ibid.) non perché mancasse del senso del comico, ma in quanto volle realizzare, dall’inizio alla fine della suo percorso letterario, «tutto ciò che poteva essere fatto», vale a dire «leggere l’universo, nel modo più aspro e più forte possibile, dentro la Francia del suo tempo, con occhi che consideravano la sua opera sia come il dramma dell’uomo che come uno specchio della massa dei fenomeni sociali» (p. 66). Lo schema e lo scopo costituirono, dunque, per lui, la cosa supre- ma: Balzac – che vedeva il suo soggetto con ineguaglia- ta intensità di visione fantastica, ma, allo stesso tem- po, con la passione quasi maniacale per l’esattezza dei dettagli e per l’infinità delle loro possibili combinazio- ni ricomponendole alla luce della storia e della scien- za – visse e scrisse «in questo perpetuo conflitto e finale impossibilità» (p. 68). L’artista della Comédie humaine è «quasi soffocato dallo storico»: in Balzac, l’ambizio- ne di rappresentare il “grande tutto” si accompagna con la «molteplice ossessione del reale» (p. 74), con gli impulsi dell’ardente e instancabile ricercatore, con l’«infinita estensione, in lui, del pittore e del poeta» (p. 71). Egli visse nella sua commedia umana, in un mondo che, immerso negli aromi del passato, si è rive- lato la sua «gabbia»: Balzac «fu condannato dalla sua stessa costituzione, dal suo inveterato vedere “questa cosa che deve essere fatta” come parte integrante, co- me vera e propria essenza della sua intrapresa» (p. 84). La sua fantasia era tutta la sua esperienza: le sue alluci- nazioni fantastiche si sono concretizzate soltanto nell’i- dea e nella forma dell’insieme compiendo in tal modo «il miracolo di risolversi totalmente in una molteplice conoscenza» (p. 88).

[marcosTuPaZZoni]

boris lyon-caen, Du réalisme comme objection: Balzac, avril 1830, «Romantisme. Revue du xixe siècle»,

n. 162, 4e trimestre 2013, pp. 103-112.

Momento fondamentale di articolazione e di veico- lazione di un nuovo concetto di realismo, la pubblica- zione delle Scènes de la vie privée di Balzac nell’aprile 1830 segnano un punto di svolta estetico fondamentale nella rappresentazione del reale e nella drammatizza- zione dell’«ordinaire» che non hanno nulla da condivi- dere né con «l’“imitation” au sens classique et idéaliste du terme», né con «les modifications et les consécra- tions ultérieures de la mouvance réaliste-naturaliste» (p. 104). Si tratta di un concetto di realismo inteso co- me «objection», come una nuova ermeneutica sociale e psicologica che si manifesta attraverso un «difficile et […] inquiétant apprentissage des signes» (p. 108). Il nuovo statuto accordato a questa nuova rappresen- tazione della realtà implica una radicale evoluzione della figura dello scrittore romanzesco che si preci- sa nella duplice immagine autoriale di “peintre” e di

“analyste”. Nelle Scènes de la vie privée, conclude l’A., il reale, «d’abord appréhendé comme force d’objec- tion, […] féconde ainsi un travail d’objectivation subtil – sachant aussi bien jouer des ellipses de la nou- velle que des multiples savoirs du nouvelliste» (p. 112). [marcosTuPaZZoni]

maDDalena maZZouT-mis, Oltre la teratologia, in Mostro. L’anomalia e il deforme nella natura e nell’ar- te, nuova edizione riveduta e ampliata, in appendice

E. GeoFFroy sainT-hilaire, Mostro. V. huGo, «Prefa-

zione» al Cromwell. H. De balZac, «Prefazione» a La Comédie humaine, Milano, Guerini Scientifica, 2013,

pp. 105-161.

Agli inizi del xix secolo, gli studî di Étienne Geoffroy

Saint-Hilaire e del figlio Isidore consentono di defini- re uno statuto autonomo relativamente alla scienza del- le mostruosità. Riconoscere un fondo comune a tutti gli esseri viventi, un’idea trascendente nella quale il mostro, alla stregua di qualsiasi altra creatura, si incardina, signi- fica stabilire un piano ideale – il piano unico di compo- sizione – avente una funzione costitutiva che ingloba la mostruosità inserendola in un contesto che la faccia as- surgere a disciplina teorica (la teratologia) dotata di un metodo d’indagine e di principî teorici specifici. Oppo- nendosi alle teorie fissiste di Cuvier, É. Geoffroy Saint- Hilaire identifica nel principio dell’analogia l’elemento- chiave per seguire un organo e un essere nelle loro diffe- renti conformazioni, metamorfosi e funzioni.

Le teorie di Saint-Hilaire sembrano accordarsi pie- namente con i fondamenti della poetica letteraria di Balzac e con le teorie estetiche sviluppate dallo scrit- tore nell’Avant-propos del 1842 (la cui traduzione ita- liana integrale è presente alle pp. 237-250 del volume), che trovano proprio nel concetto di unità di composi- zione «un modello metodologico di comprensione del mondo» (p. 106). Il riferimento costante di Balzac alle teorie e alle suggestioni del pensiero mistico costitui- sce parallelamente la chiave di volta non soltanto per comprendere il reale, ma per rendere intellegibile l’u- niverso soprannaturale. Il principio del “piano unico di composizione”, fondamento della scienza anatomi- co-teratologica, è definito con maggior precisione gra- zie all’estensione dell’elemento analogico che Balzac ri- cava dai pensatori mistici. Il salto qualitativo imposto dal romanziere a tale principio risiede, dunque, osserva l’A., «in una concezione mistico-teologica dell’analo- gia, assunta come base estetico-conoscitiva dell’univer- so» (p. 121). Da questo punto di vista, anche le disso- nanze e le anomalie insite nell’essere mostruoso (è il ca- so, ad esempio, dell’androgino), che si configura come tale in quanto risultato delle influenze dell’ambiente in cui vive, si risolvono in una visione unitaria fondata su leggi universali e sul riconoscimento di un’ottica sinte- tica che riunisce e ricompone in sé la dimensione so- ciale dei personaggi e il principio soprannaturale di cui essa non è che il rispecchiamento.

[marcosTuPaZZoni]

GaeTana PranDi, Immagini laiche dell’aldilà, in L’Uomo che non muore mai. Religione naturale e psico- analisi, Roma, Armando Editore, 2013, «Scaffale aper-

to. Psicologia», pp. 178-208.

Nell’ambito generale di uno studio dei rapporti tra psicologia, psicoanalisi e religione, l’A. considera alcu-

ni esempi circa l’«estremo limite rappresentativo cui può aspirare lo sforzo espressivo di una mente laica per elevarsi oltre il mondo della contingenza al quale la nostra natura fisica ci lega e ci condanna» (p. 179). In questo senso, Séraphîta di Balzac, romanzo filosofi- co «affascinante e complesso ma alquanto stravagante» (ibid.) pubblicato nel 1835, e Clara di Schelling costi- tuiscono due modelli alquanto differenti, per non dire opposti, di rappresentazione letteraria di immagini ul- traterrene prodotte da una mente laica.

Fondato sulla dottrina swedenborghiana, il percor- so di iniziazione e di perfezionamento spirituale de- scritto da Balzac non riesce, secondo l’A., a coinvol- gere ed a rendere pienamente partecipe il lettore in quanto le intuizioni di Balzac si fondano esclusivamen- te sulla esperienza religiosa, del tutto personale, dello scrittore. Dissimilmente dal Paradiso dantesco, ciò che il testo balzachiano non riesce a trasmettere «è proprio il sentimento della religiosità» (p. 188) che è il limite stesso del pensiero laico. La mancanza di uno spirito sinceramente religioso nel romanzo e il modo eccessi- vamente intellettualizzato, non mistico, attraverso cui si esprime Séraphîta risultano essere, sempre secondo G. Prandi, funzionali soltanto ad una rappresentazione plastica del mondo spirituale che, altrimenti, sarebbe collocato ai limiti della rappresentabilità. Diversamen- te da Séraphîta, la lettura di Clara «coinvolge il letto- re assai più profondamente» (p. 195): la vertiginosa concezione balzachiana di un aldilà, dove l’individuo si spoglia di ogni sua caratteristica terrena, si muta, in Schelling, nella visione di un’ascensione ultraterrena in cui «l’uomo continua a vivere non solo come spirito ma provvisto anche della sua identità e individualità cor- porea, liberata però dalla caducità spazio-temporale e resa eterna» (p. 192).

[marcosTuPaZZoni]

vicTor huGo, Le Promontoire du Songe, préface

inédite d’Annie le brun, Paris, Gallimard, 2012,

«L’Imaginaire», pp. 112.

Grâce à Annie Le Brun, Gallimard a republié au printemps dernier un texte souvent méconnu de Vic- tor Hugo, un reliquat de son William Shakespeare (1864) en forme de manifeste esthétique. Le Promon-

toire du songe, hymne au rêve et à l’imagination, est

ainsi aujourd’hui accessible dans la bien nommée col- lection «L’Imaginaire». La leçon est celle de l’édition critique fournie par René Journet et Guy Robert, sous le titre Promontorium somnii, aux Belles Lettres en 1961, seule publication séparée de cet essai avec celle de Michel Crouzet, Le Promontoire du songe, parue également aux Belles Lettres, en 1993. Jusqu’alors les présentations les plus accessibles du texte étaient celle d’Yves Gohin dans la section «Proses philoso- phiques 1860-1865» du volume Critique des Œuvres

complètes (Robert Laffont, [1985], 2002), et celle de

Dominique Peyrache-Leborgne dans son édition du

William Shakespeare (Flammarion, «GF», 2003). Cette

nouvelle publication voulue par Annie Le Brun intègre sa réflexion sur le rôle du noir comme condition de lumière et de vision dans l’œuvre du mage romantique, réflexion inaugurée en 2011 avec un essai publié chez Gallimard et dont le titre, Si rien avait une forme, ce se-

rait cela, est déjà une citation du Promontoire du songe.

En 2012, elle poursuit son hommage hugolien sous la forme d’une trilogie: cette réédition du texte qui l’ins- pire, accompagne l’exposition dont elle est la commis- saire à la Maison de Victor Hugo à Paris, «Les arcs-en-

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Rassegna bibliografica

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