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UNA RICERCA LONGITUDINALE IN ETA‟ PRESCOLARE Patrizia Demicheli, Adriano Pagnin

La rappresentazione del sé corporeo in condizioni pediatriche caratterizzate da patologie croniche diversamente trattate di G Perricone, C Polizzi, M R Morales

UNA RICERCA LONGITUDINALE IN ETA‟ PRESCOLARE Patrizia Demicheli, Adriano Pagnin

Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Psicologia, P.zza Botta 6-27100 Pavia E-mail dell‘autore: [email protected]

Introduzione

La Teoria della Mente (ToM) e la metacognizione rappresentano due ambiti di studio ben distinti. Esse si sono occupate di aspetti diversi della conoscenza sulla mente, hanno posto la loro attenzione su popolazioni differenti e raramente sono state messe in relazione l‘una con l‘altra (Flavell, 2000). Mentre gli studi in ambito metacognitivo si sono occupati delle conoscenze sul funzionamento della mente in bambini in età scolare, gli studi sulla ToM hanno coinvolto prevalentemente bambini in età prescolare a cui è stato chiesto di attribuire stati mentali per spiegare il comportamento altrui. Inoltre, mentre la ricerca metacognitiva si è occupata di identificare le conseguenze delle variabili metacognitive sulla prestazione cognitiva, la ricerca sulla ToM ha investigato i predittori e le cause delle prestazioni nei compiti stessi di teoria della mente.

Nonostante tali differenze, due diverse considerazioni spingono a sostenere un legame fra ToM e metacognizione. La prima nasce dalla constatazione che la metacognizione sia un costrutto più ampio che comprende al suo interno una componente di conoscenza metacognitiva sugli stati mentali (Flavell, 2000). La seconda rimanda al modello teorico proposto da Deanna Kuhn (2000) in cui la ToM e la metacognizione sono due componenti di uno stesso costrutto: la ToM viene considerata una meta- conoscenza di tipo dichiarativo (metacognitive knowing) e la metacognizione come una meta- conoscenza di tipo procedurale o strategico (metastrategic knowing).

Partendo da questi presupposti, alcuni studi empirici hanno messo in evidenza la presenza di una relazione significativa tra la ToM e diversi ambiti metacognitivi come la metamemoria (Lockl e Schneider, 2007) e la metacomprensione del testo (Zocchi et al., 2010). Tali associazioni sembrano essere indipendenti da capacità cognitive più generali come il linguaggio (Lockl e Schneider, 2007) e la capacità di comprensione del testo (Lecce, Palladino e Pagnin, 2007) e avere una natura causale nella direzione per cui la ToM predice la successiva conoscenza metacognitiva in età prescolare e scolare (Lecce et al., 2010).

Obiettivi

L‘obiettivo della presente ricerca è quello di indagare l‘esistenza di una relazione tra la ToM e la metamemoria in bambini di età prescolare considerando sia la dimensione della conoscenza sul funzionamento di memoria, già indagato in precedenti ricerche (Lockl e Schneider, 2007), che l'utilizzo di strategie di memoria.

Metodo

Partecipanti. Complessivamente hanno partecipato allo studio 94 bambini (51 M). Al Tempo 1 tutti i bambini frequentavano il secondo anno di Scuola dell‘Infanzia con età media pari a 4 anni e 8 mesi (SD= 3.55 mesi). Al Tempo 2 tutti i bambini frequentavano l‘ultimo anno della Scuola dell‘Infanzia con età media pari a 5 anni e 2 mesi (SD= 3.54 mesi).

Misure. Sia al Tempo 1 che al Tempo 2 sono stati somministrati un test di vocabolario (Wechsler, 2008) e una batteria di prove per valutare la comprensione delle credenze di I° ordine (TMT-Pons e Harris, 2002; Perner e Wimmer, 1985; Wimmer e Perner, 1983). Le conoscenze di metamemoria sono state indagate tramite la favola ―La principessa imprigionata‖ (Cornoldi e Orlando, 1988), la favola ―Il

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cagnolino malato‖ (Cornoldi, Giordano, Mattalia e Venturino, 1990) e le Tavole di metamemoria sviluppate da Mazzoni, Chiesa e Tressoldi (1995). L‘utilizzo delle strategie di memoria sono state indagate attraverso la prova di memoria di De Beni e Mazzoni (1991).

Risultati

I risultati evidenziano un effetto età su tutte le variabili considerate, t > 2.49, p < .05, e una stabilità delle differenze individuali, r > .50, p < .05.

L'analisi delle correlazioni ha poi mostrato che le differenze individuali nella ToM al Tempo 1 sono significativamente correlate alle differenze individuali nella metamemoria al Tempo 2, sia conoscenze, r > .24, p < .05, e strategie, r > .20, p < .05, indipendentemente dal vocabolario e dalle variabili metacognitive al Tempo 1.

Conclusioni

Complessivamente, i risultati confermano che la ToM ha un effetto sullo sviluppo della metamemoria in bambini di età prescolare. In particolare influenza l‘uso di strategie di codifica e di recupero.

Bibliografia

Cornoldi, C., e Orlando, L. (1988). La metamemoria. Psicologia e Scuola, 37, pp.3-14.

Cornoldi, C., Giordano, N., Mattalia, I., e Venturino, C. (1990). Il ruolo della metacognizione nel ritardo mentale, Saggi, 1, pp. 13-32.

De Beni, R., e Mazzoni, G. (1991). L‘attribuzione e la fiducia nelle proprie abilità mnestiche. Età Evolutiva, 38, pp. 32-50.

Flavell, J. H. (2000). Development of children‘s knowledge about the mental world. International Journal of Behavioral Development, 24, 15-23.

Kuhn, D. (2000). Theory of mind, metacognition, and reasoning: A life-span perspective. In P. Mitchell e K. J. Riggs (a cura di), Children‘s reasoning and the mind (pp. 301-326). Hove: Psychology Press. Lecce Lecce S., Palladino P., e Pagnin A. (2007). Theory of mind and metacomprehension: which relationship?. In O. Liverta Sempio, A. Marchetti e A. Valle (a cura di), Intersubjectivity, Metacognition and Theory of Mind (pp.147-149). Pubblicazioni ISU Università Cattolica, Milano. Lecce, S., Zocchi, S., Pagnin, A., Palladino, P., e Taumoepeau, M. (2010). Children‘s understanding of cognitions and emotions: a longitudinal study on the links between Theory of Mind and Metacognition. Child Development.

Lockl, K., e Schneider, W. (2007). Knowledge About the Mind: Links Between Theory of Mind and Later Metamemory. Child Development, 78, 148-167.

Mazzoni, G., Chiesi, F. e Tressoldi, E. (1995). Metamemoria, linguaggio e riflessività. Età Evolutiva, 50, pp. 19-30.

Perner, J., e Wimmer, H. (1985). John thinks that Mary thinks that…: Attribution of second-order false- belief by 5 to 10- year-old children. Journal of Experimental Child Psychology, 30, 437-471.

Pons, F., e Harris, P. (2002). Theory of mind test (TMT). Cambridge: Harvard University.

Wechsler, D. (2008). Wechsler Intelligence Scale for Children-III. Adattamento Italiano di A. Orsini e L. Picone. Giunti O. S. Organizzazioni Speciali, Firenze.

Wimmer, H., e Perner, J. (1983). Beliefs about beliefs: representation and constraining function of wrong beliefs in young children‘s understanding of deception. Cognition, 13, 103-128.

Zocchi S., Lecce S., Palladino P., e Pagnin A. (2010). Teoria della mente e metacomprensione del testo: uno studio su bambini di IV e V elementare. Giornale Italiano di Psicologia.

155 Lo sviluppo della teoria della mente dopo l‟infanzia: Preadolescenza e adolescenza a sviluppo tipico

Ilaria Gabbatore, Maurizio Tirassa, Francesca M. Bosco.

Centro di Scienza Cognitiva - Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino. Via Po, 14 10123 Torino

[email protected]

Introduzione: La teoria della mente è l‘abilità di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri e utilizzare questa conoscenza per prevedere e spiegare le azioni e i comportamenti che ne conseguono (Premack e Woodruff 1978). La letteratura mostra che non si tratta di una capacità unitaria: innanzitutto si realizza attraverso diversi tipi di stati mentali, come ad esempio credenze e desideri (Bartsch e Wellman, 1989) che possono essere relativi a se stessi (ToM in I persona) o agli altri (ToM in III persona) (Vogeley et al., 2001) ed essere analizzati da una prospettiva egocentrica o allocentrica (Frith e de Vignemont, 2005). La ToM inoltre si articola in differenti livelli di complessità di ragionamento (ToM di I e di II ordine) (Perner e Wimmer, 1985).

Le ricerche sulla teoria della mente si sono concentrate tradizionalmente sui bambini in età prescolare e scolare e sono invece pochi gli studi sullo sviluppo di questa abilità in preadolescenza e adolescenza (Steinberg, 2005). Tuttavia, la letteratura indica come in questa fase dello sviluppo avvengano una serie di cambiamenti sia a livello cognitivo che affettivo, e che tali cambiamenti coinvolgano anche la teoria della mente (Bosacki, 2000).

Il presente lavoro fornisce un assessment completo dei diversi aspetti che compongono la teoria della mente in ragazzi preadolescenti e adolescenti, attraverso l‘utilizzo dell‘intervista semi-strutturata Theory of Mind Assessment Scale (Thomas, Bosco et al, 2006; 2009) e una serie di compiti classici per la valutazione di tale abilità: Strange Stories (Happè, 1994), la storia del carretto dei gelati (Baron-Cohen, 1989) e la storia del ladro (Happè e Frith, 1994).

Ipotesi: Ipotizziamo che ci sia un miglioramento delle prestazioni in tutti i compiti di teoria della mente indagati all‘aumentare dell‘età dei partecipanti. In particolare, ipotizziamo che i ragazzi siano più abili nel riflettere sulla teoria della mente in I rispetto a quella III persona e che abbiano prestazioni migliori nei compiti di primo ordine rispetto a quelli di secondo ordine. Ci aspettiamo inoltre che le ragazze abbiano prestazioni migliori rispetto ai ragazzi. Infine, a scopo esplorativo abbiamo indagato l'esistenza di differenze nella comprensione di diversi tipi di stati mentali (credenze, desideri ed emozioni). Metodo: Il campione è composto da 80 ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, suddivisi

equamente in 4 fasce di età: 11;00-11;11 anni;mesi (M = 11.34; DS = 2.88), 13;00-13;11 (M = 13.57; DS = 2.67), 15;00-15;11 (M = 15.49; DS = 3.48), 17;00-17;11 (M = 17.09; DS = 3.06). Ogni fascia d‘età è composta da un uguale numero di maschi e femmine. Ad ogni partecipante sono state presentate individualmente la Theory of Mind Assessment Scale, un‘intervista semi-strutturata che stimola l‘intervistato ad esprimere la propria conoscenza sugli stati mentali propri e altrui, e alcuni test classici di teoria della mente: una selezione di 6 Strange Stories (Happè, 1994), la storia del carretto dei gelati (Baron-Cohen, 1989) e la storia del ladro (Happè e Frith, 1994). Thomas si articola in 4 scale - Io-Me, Altro-Sé, Me-Altro, Altro-Me - ciascuna delle quali indaga quattro differenti tipi di stati mentali: credenze, desideri, emozioni positive ed emozioni negative.

Risultati: Come ipotizzato, all‘aumentare dell‘età dei partecipanti aumenta la loro prestazione ad ogni scala di Thomas (ANOVA: F(3,76) = 13.41; p < .001). I nostri dati mostrano che non sia rilevabile lo

stesso incremento delle prestazioni ai compiti classici di teoria della mente all‘aumentare dell‘età (F(1.76)

= .29; p = .84), tuttavia coerentemente con la letteratura i compiti di II ordine sono più difficili da risolvere di quelli di primo ordine (F(2,152) = 14.94 p < .001). Come ipotizzato, i ragazzi ottengono

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prestazioni migliori alla scala di Thomas che indaga la TOM in I persona rispetto alla III persona (TOM di I ordine) e ottengono prestazioni migliori alla scala che indaga la TOM di I ordine rispetto a quella di II ordine (F(3,237) = 21.75; p < .001; Bonferroni p < .001). Le femmine hanno prestazioni migliori dei

maschi in tutte le quattro scale (F(1,78) = 5.18; p = .026) così come nella comprensione dei differenti stati

mentali indagati (F(1, 78) = 5.11; p = .027). Infine, gli adolescenti hanno prestazioni migliori nelle

domande che indagano le emozioni negative rispetto a quelle relative agli altri stati mentali indagati (F = 21.75; p <.001; Bonferroni p <.001).

Conclusioni: I risultati del presente lavoro forniscono un quadro completo della teoria della mente nei preadolescenti e adolescenti. Grazie alla capacità di Thomas di indagarne i diversi aspetti è stato possibile mettere in luce come tali abilità non completino la loro maturazione durante l‘infanzia ma continuino a evolvere durante l‘adolescenza.

Bibliografia

Baron-Cohen, S. (1989). The autistic child‘s theory of mind: A case of specific developmental delay. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 30, 285–297.

Bartsch, K., & Wellman, H. (1989). Young children‘s attribution of action to beliefs and desires. Child Development, 60, 946-964.

Bosacki, A.L. (2000). Theory of Mind and Self-Concept in Preadolescents: Links With Gender and Language. Journal of Educational Psychology, 92, 709-717.

Bosco, F. M., Colle, L., Fazio, S. D., Bono, A., Ruberti, S., & Tirassa, M. (2009). Th.o.m.a.s.: An exploratory assessment of Theory of Mind in schizophrenic

subjects. Consciousness and Cognition, 18, 306–319.

Bosco, F.M., Colle, L., Pecorara, R., & Tirassa, M. (2006) Th.O.M.A.S., Theory of Mind Assessment Scale: Uno strumento per la valutazione clinica della teoria della mente. Sistemi Intelligenti, 215-242. Frith, U. & de Vignemont, F. (2005). Egocentrism, allocentrism, and Asperger syndrome.

Consciousness and Cognition, 14, 719-738.

Happé, F. (1994) An advanced test of Theory of Mind: Understanding of story characters' thoughts and feelings by able autistic, mentally handicapped, and normal children and adults. Journal of Autism and Developmental Disorders, 24, 129-154.

Happè, F., & Frith,U. (1994). Theory of mind in autism. In E. Schopler, & G. Mesibov (Eds.), Learning and cognition in autism. New York: Plenum Press.

Perner, J. & Wimmer, H. (1985). John thinks that Mary thinks that. Attribution of second order beliefs by 5-to 10-year-old children. Experimental Child Psychology, 39, 437-471.

Premack, D. & Woodruff, G. (1978). Does the chimpanzee have theory of mind? Behavioral and Brain Sciences, 1, 512-526.

Steinberg, L. (2005). Cognitive and affective development in adolescence. Trends in Cognitive Sciences, 9, 69-74.

Vogeley, K., Bussfeld, P., Newen, A., Herrmann, S., Happé, F., Falkai, P., Maier, W., Shah, N. J., Fink, G.R., & Zilles, K. (2001). Mind reading: Neural mechanisms of theory of mind and self-perspective. NeuroImage, 14, 170-181.

157 Le qualità dell‟immagine diretta negli adolescenti: analisi di self report

Paola Nicolini e Luisa Cherubini

Dipartimento di Scienze dell‘educazione e della formazione Università di Macerata [email protected]

Introduzione

L‘adolescenza rappresenta il momento privilegiato in cui l‘individuo scopre di essere portatore di un mondo interiore complesso e strutturato (Inhelder e Piaget, 1955), che diviene importante in quanto lo caratterizza e lo identifica rispetto a ogni altro (Palmonari, 1997 e 2001). Grazie all‘interazione con gli altri significativi e l‘ambiente sociale (Mead, 1934) l‘individuo costruisce il concetto di sé cioè la rappresentazione mentale che concorre a formare l‘idea che la persona ha di se stessa. Riprendendo quanto Harrè (1998) teorizza riferendosi al Sè2, il concetto di sé è rappresentato da quell‘insieme mutevole di attributi personali che sono in gran parte relazionali e in un continuo flusso poiché le relazioni con l‘ambiente sociale e materiale si trasformano e cambiano il senso che si ha di se stessi. Il concetto di sé, dunque, è un sistema relativamente durevole e sfaccettato, costituito da diversi sottosistemi (immagini di sé o rappresentazioni di sé) che servono per esplicitare il processo di autoconoscenza dell‘individuo stesso quando assume i ruoli e i volti dell‘identità (Tuner, 1981, Salvini & Zanellato, 1998).

In questa ricerca si vuole esplorare quali sono le caratteristiche dell‘immagini di sé (o rappresentazioni di sé) che gli adolescenti esperiscono: l‘insieme, implicito o esplicito, di valutazioni e giudizi personali che, associati a particolari stati cognitivi e affettivi, sono utili a definire il concetto che gli adolescenti hanno di se stessi.

La ricerca intende indagare - attraverso uno studio di tipo longitudinale - quali aggettivi utilizzano i giovani nel descrivere di se stessi, caratteristiche riconducibili al processo di costruzione dell‘identità; in particolare, ci si propone di esplorare le qualità attorno a cui, adolescenti compresi tra i 12 e i 16 anni, fanno gravitare la propria autopresentazione, riferendosi in particolare all‘immagine diretta, cioè legata all‘auto riflessione.

Il campione

Il campione coinvolto è costituito da circa 250 studenti così suddivisi: 12 anni (a.s. 2010/2011, 20 studenti); 13 anni (a.s. 2010/2011, 100 studenti); 14 anni media (a.s. 2009/2010 – 60 studenti); 15 anni (a.s. 2006/2007 – 100 studenti); 16 anni (a.s. 2009/2010 – 100 studenti). In particolare, per quanto riguarda i giovani nella fascia di età 15-16 anni, sono state prese in esame 5 classi appartenenti a differenti scuole superiori (licei, istituti tecnici e professionali), garantendo in tal modo il raggiungimento di adolescenti molto diversi per estrazione socio-culturale.

Gli strumenti

Lo strumento utilizzato per la raccolta dei dati è un questionario di autopresentazione (Zuczkowski, 1976; Nicolini 1999), costituito da 5 domande aperte: una delle domande intende indagare l‘immagine diretta di sé, ulteriori quattro fanno invece riferimento all‘immagine riflessa da altri significativi (Palmonari 1997; Nicolini, Bomprezzi & Cherubini 2009).

158 Metodologia di analisi dei dati

In questo contributo viene riportata l‘analisi condotta sugli aggettivi utilizzati dagli adolescenti per rispondere alla sola prima domanda del questionario, quella riferita all‘immagine diretta di sé. I dati raccolti dai questionari somministrati in forma anonima, sono stati inizialmente immessi in un programma di elaborazione testi (Word), in seguito sono stati trattati come testi a carattere linguistico mediante un software di analisi lessicale e testuale (TalTac2) che consente di condurre analisi di tipo statistico/lessicometrico. Grazie al software SPSS verrà condotta un‘analisi statistica al fine di evidenziare il livello di significatività dei dati emersi.

Risultati

Considerando che l‘analisi è ancora in corso, il dato principale fino a ora emerso dal campione dei 16 anni, è che dei 190 aggettivi utilizzati per parlare di se stessi, la maggior parte è riferita a dimensioni sociali e relazionali (es.: estroverso/a, allegro/a, socievole). Ciò in linea con quanto emerso dagli studi di Damon e Hart (1992) secondo cui nella preadolescenza il soggetto scopre un nuovo principio organizzatore del concetto di sé: le implicazioni interpersonali, cioè l'importanza che hanno determinati aspetti di sé nell'interazione con gli altri.

Nell‘ambito del gruppo sociale-relazionale, l‘aggettivo più utilizzato è simpatica/o (F 33%; M 38%), vale a dire che suscita negli altri un‘istintiva disposizione benevola o l‘impressione di una immediata congenialità a causa dell‘aspetto fisico gradevole o dell‘atteggiamento psicologico aperto, affabile, comunicativo, anche con riferimento alle doti stesse, fisiche e spirituali, all‘aspetto, all‘atteggiamento; che suscita propensione amorosa; che riscuote il favore popolare; cordiale, amichevole. Il suo significato è legato al tipo di rapporto sociale e dimostra la necessità degli adolescenti di essere in contatto con gli altri; conferma inoltre quanto l‘essere in relazione con gli altri e ricevere una accettazione sociale positiva sia considerato importante dagli adolescenti. È possibile rilevare molti riferimenti alla dimensione esteriore (particolarità fisiche: M 32%; F 38%), sia per i maschi che per le femmine; sono invece pochi i riferimenti agli aspetti morali (responsabile M 5%, F 4%) e ancora meno quelli per la dimensione cognitiva (bravo/a a scuola solo M 1%, intelligente nessuno). Rispetto alle differenze di genere, al momento è possibile rilevare una maggiore produzione linguistica da parte delle femmine intuibile dal numero di aggettivi utilizzato per parlare di sé (F 324; M 126); inoltre, il termine permaloso/a - riferito ad una qualità personale - è utilizzato più dalle femmine e meno dai maschi (F 22%; M 5%) mentre questi ultimi usano di più il termine socievole (F 18% M 40%) che è una qualità riferibile alla dimensione sociale-relazionale.

Discussione

Essendo l‘analisi ancora in corso, i dati riportati possono essere al momento interpretati soltanto in modo indicativo, tuttavia si rivelano interessanti non solo rispetto alla tipologia di aggettivi utilizzati ma anche dal punto di vista delle differenze di genere. Inoltre, offrono indicazioni sui possibili punti di forza e punti di debolezza nella costruzione dell‘immagine di sé in un momento delicato per questo compito di sviluppo quale quello dell‘adolescenza

159 Bibliografia

- Damon W., Hart D. (1992), Self-understanding and its role in social and moral development, in H. Bornstein e M.E. Lamb (eds), Developmental Psychology, Erlbaum, Hillsdale

- Harrè, R. (1998) La singolarità del Sé. Introduzione alla psicologia della persona. Trad. It. Milano: Raffaello Cortina (2000)

- Inhelder, B., Piaget, J. (1955). Dalla logica del fanciullo alla logica dell'adolescente. Trad. it. Firenze: Giunti-Barbera, 1973.

- Mead, G. H. (1934). Mente, sè e società. Trad. It. Firenze: Giunti-Barbera, 1966

- Nicolini, P. (1999). Che pensi di te stesso? Le autopresentazioni degli adolescenti. Milano: Franco Angeli.

- Nicolini P., Bomprezzi M., Cherubini L. (2009) La costruzione dell‟identità negli adolescenti: tra immagini dirette e riflesse, Infad. Revista de Psicologìa, 1, 2009, pp.387-398

- Palmonari, A., Pombeni, M. L. & Kirchler, E. (1990). Adolescents and their peer-groups: a study on the significance of peers, social categorization processes and coping with developmental tasks. Social Behaviour, 5, 33-48.

- Palmonari, A. (Ed.). (1997). Psicologia dell‟adolescenza. Bologna: Il Mulino. - Palmonari, A. (2001). Gli adolescenti. Bologna: Il Mulino.

- Salvini A. e Zanellato L., (1998) La costruzione del sé e dell‘identità, in A. Salvini, Argomenti di psicologia clinica, Padova: Upsel Domeneghini Editore

- TalTac2: www.taltac.it

- Turner, J. C. (1981) Towards a cognitive redefinition of the social group, in Cahiers de psychologie cognitive, n. 2, pp. 93-118

- Zuczkowski A. (1976) Autodescrizione e concetto di sé. Problemi e metodi di studio, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Macerata, IX, pp. 281-321

160 Tratti alessitimici e deficit di empatia in un campione di genitori di bambini con Sindrome di Asperger.

Claudio Paloscia, Rossella Guerini, Luca Surian e Augusto Pasini

Claudio Paloscia, U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Roma Tor Vergata, Ass. La Nostra Famiglia Brindisi e Lecce

Rossella Guerini, Dipartimento di Scienze Cognitive e della Formazione, Università degli Studi di Trento

Luca Surian, Dipartimento di Scienze Cognitive e della Formazione, Università degli Studi di Trento Augusto Pasini, U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Roma Tor Vergata

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Introduzione. Negli ultimi anni alcuni studi hanno evidenziato la presenza di tratti alessitimici in circa il 50% di pazienti con diagnosi di spettro autistico (Hill et al., 2004; Silani et al., 2008) rispetto al 10% di alessitimia che caratterizza la popolazione generale (Salminen et al., 1999). È stato ipotizzato che il deficit di empatia nelle persone autistiche sia dovuto ad alterazioni enterocettive collegate all‘alessitimia piuttosto che allo stesso autismo (Silani et al., 2008). Recentemente, è stata dimostrata l‘associazione tra gravità dell‘alessitimia e capacità empatiche (Bird et al., 2010). Elevati livelli di alessitimia sono in grado di predire ridotte risposte empatiche a livello della corteccia dell‘insula anteriore sinistra (Bird et al., 2010). Quindi la presenza di alessitimia oltre a caratterizzare solo una parte dei pazienti autistici avrebbe un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di deficit delle capacità empatiche, consentendo di caratterizzare almeno un possibile sottotipo di autismo. Alcuni studi sulle famiglie di pazienti con diagnosi dello spettro autistico hanno evidenziato che oltre alla trasmissione del fenotipo autistico potrebbero segregare nei parenti di primo grado alcuni tratti autistici senza tuttavia soddisfare i criteri diagnostici dei disturbi pervasivi dello sviluppo (Bolton et al., 1994; Piven et al., 1997, 2001; Szatmari et al., 2000). Questi tratti vengono definiti con il termine di ―Broader Autism Phenotype‖ (BAP). La presenza del BAP appare associata con deficit a livello cognitivo, alterazioni nella socializzazione e a volte a disturbi psichiatrici, come è evidente in alcuni studi sui genitori di bambini autistici (Murphy et al., 2000; Yirmiya e Shaked 2005). Recentemente, è stata riscontrata la presenza di elevati livelli di alessitimia in soggetti con Sindrome di Asperger (Tani et al., 2004) e in adulti con disturbi dello spettro autistico ad alto funzionamento (Hill et al. 2004). Questa difficoltà di elaborazione delle emozioni si è mostrata essere stabile nel tempo nei pazienti (Berthoz e Hill, 2005). Szatmari e coll. (2008) hanno identificato nell‘alessitimia una caratteristica importante del BAP in genitori di pazienti autistici. La nostra ricerca si pone come obiettivo di identificare se questo fenotipo (elevata alessitimia e deficit di empatia) è riscontrabile nei genitori di ragazzi con Sindrome di Asperger (S.A.) e se quindi possa rappresentare una caratteristica endofenotipica che si distribuisce nelle famiglie.

Metodo. 30 genitori di 15 bambini con Sindrome di Asperger (8-15 anni) e 35 genitori di bambini della stessa età senza diagnosi neuropsichiatrica hanno compilato la Toronto Alexithymia Scale 20 (TAS 20; Bagby, Parker e Taylor, 1994) e la scala Empathy Quotient (EQ; Lawrence et al., 2004). È stata

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