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Ripensare il rapporto tra Sé e Altro

3 Vergogna e Solitudine

3.1 Ripensare il rapporto tra Sé e Altro

A questo punto, la domanda che dovremmo porci è la seguente: ma se effettivamente l’altro è essenziale per la vergogna, come è possibile spiegare quelle situazioni in cui l’emozione sorge anche se non è presente nessuno spettatore?

In questi casi la vergogna sembra proprio nascere per l’incapacità di personificare un proprio valore e, poiché il soggetto è in solitudine, il suo dolore non pare riguardare la possibilità che qualcuno gli attribuisca un’identità che lo ponga in cattiva luce, ma semplicemente l’idea di essere un tipo di persona che lui stesso non vorrebbe essere.

La conclusione del punto a) riguardo la teoria di DRT ci ha posto davanti ad un bivio: o deduciamo che ogni qualvolta si è soli non sia possibile provare vergogna (ma altre emozioni come delusione di sé, colpa, auto-disprezzo etc.), oppure bisogna fornire un’argomentazione capace di spiegare perché questa emozione possa essere provata in privato.

La prima strada è a mio avviso quella più complessa: non possiamo ignorare chi dice di aver provato vergogna in un momento di solitudine, né abbiamo il diritto di escludere a priori questa possibilità. Se un caso non rientra nel modello concettuale che stiamo cercando di costruire, ritengo più corretto revisionare la nostra definizione piuttosto che assumere un atteggiamento paternalistico e trattare chiunque sostenga di essersi vergognato in assenza di testimoni come qualcuno che non conosce le sue emozioni (e come se dovessimo essere noi a insegnargli a riconoscerle). Non dobbiamo quindi negare che una

persona possa aver provato tale emozione in quella data circostanza252, ma cercare di capire quali sono i presupposti che fanno emergere la vergogna piuttosto che un’altra emozione. Per questo, non sosterrò che l’artigiano non possa essersi vergognato per aver prodotto un’opera sotto i suoi standard, né dirò che chi sostiene una tesi simile stia in realtà confondendo la vergogna con altre reazioni emotive; quello che farò sarà invece indagare le ragioni per le quali in quel momento l’artista ha potuto sentire vergogna.

Nel primo capitolo abbiamo visto perché DRT abbiano scartato la tesi (4), secondo cui la vergogna richiede sempre uno spettatore reale, e la tesi (5), per la quale la vergogna richiede uno spettatore perlomeno immaginato. Agli autori è bastata l’esclusione di queste due teorie per concludere che la presunta socialità della vergogna non può essere dovuta al contesto. Se possiamo provare vergogna in privato, senza necessariamente rappresentarci qualcuno, l’altro rimane fuori dalla porta e l’emozione risulta in tutto e per tutto una questione personale. Proprio grazie a questo passaggio logico DRT hanno potuto affermare l’esistenza di casi privati di vergogna e potuto gettare le basi per una nuova teoria dell’emozione. Come sappiamo infatti, in forza di questa constatazione essi hanno potuto rivalutare completamente l’importanza dello spettatore anche quando questo è presente: o declassando il suo ruolo a meramente ancillare o riconducendo la sua influenza ad un valore sociale in possesso del soggetto.

Io non credo che il ragionamento di DRT che porta all’esclusione della tesi (5) sia fallace, ritengo piuttosto che poggi su dei presupposti che possono essere messi ragionevolmente in discussione. Siamo costretti ad accettare le loro conclusioni solo se accettiamo la premessa implicita secondo cui l’altro possa darsi solo attraverso la presenza in carne d’ossa o mediante l’uso dell’immaginazione. Questo perché la teoria dell’Io che emerge dalle pagine di In

Defense of Shame e ai quali DRT sembrano far riferimento risulta per certi versi

252 Studi empirici hanno dimostrato che la vergogna, a differenza della colpa, è fortemente

correlata con l’esposizione pubblica. I risultati suggeriscono però che tale condizione non è necessaria e l’emozione può essere provata anche in circostanze in cui nessuno spettatore è presente. V. Smith, R. H., Webster, J. M., Parrott, W. G., & Eyre, H. L., The Role of Public Exposure

in Moral and Nonmoral Shame and Guilt, Journal of Personality and Social Psychology, Vol. 83, No

di matrice cartesiana253: il Self e l’altro sono presentati come due entità separate e a sé stanti, che sì possono influenzarsi a vicenda, ma rimangono pur sempre distinte e contrapposte. Tale struttura dicotomica si riflette inevitabilmente anche sulla teoria dell’identità difesa nel testo; l’individualità del soggetto è plasmata dai valori ai quali questo è attaccato, poco importano i motivi per i quali si è deciso di esemplificarli, se sono stati acquisiti acriticamente o se dipendono fortemente dall’influenza sociale e le relazioni con gli altri: dal momento in cui l’agente orienta la propria condotta sotto la loro guida, questi diventano automaticamente proprietà del Self e parti costitutive della sua personalità. Indipendentemente da come sono arrivato a possederlo quindi, un valore sarà mio dal momento che orienta il mio agire. Il risultato è una concezione dell’Io astorica, centralizzata e decontestualizzata in cui l’altro rimane sempre e comunque fuori dalla sfera del soggetto. La vergogna stessa è infatti presentata come l’epilogo di un processo privato e solipsista che avviene nel mondo interiore dell’individuo: l’agente scopre254 mediante la riflessione di aver disatteso un proprio principio e l’altro, che può aver al massimo avuto un ruolo strumentale nello scatenarlo, non rientra in alcun modo nello spazio soggettivo dell’agente. Questa prospettiva non è appunto poi così diversa da quella di Cartesio dove, come scrive Rochat, «although others have access and can construe something about us from ‘‘outside,’’ from their own allocentric perspective, it does not equate with what

253 Hubert J. M. Hermans cita un lavoro di Straus (1958) come uno dei principali

contributi al tema del Io/altro e scrive: «Descartes’ Cogito implies not only a dualism between mind and body but also a dissociation between self and other. When we are speaking about an “outside world” or about “the other,” Straus reasons, we are in fact using a Cartesian terminology, implying that the world is outside of consciousness, and that, reciprocally, consciousness, including sensory experience, is outside of the world.», cfr., Hubert J. M. Hermans

The Construction and Reconstruction Of A Dialogical Self, Journal of Constructivist Psychology,

Vol. 16, No. 2, 2003, pp. 89-130, p. 92. Su come, per Hermans, il dualism cartesiano venga superato dalla filosofia dei valori di Stern, da Mead e Mikhail Bakhtin si veda M. Hermans,

Valuation, Innovation and Critical Personalism, Theory & Psychology, Vol. 10, No. 6, 2000, pp. 801–814.

254 A voler essere più precisi DRT specificano che non necessariamente la realizzazione di esser

andato contro un proprio valore è vissuta come una scoperta: «According to our account, however, the crucial element is the presence of the relevant evaluation, the content of which, we argued, is sometimes a matt er of discovery or sometimes one of rediscovery—but sometimes one knew it all along. When it is a matt er of discovery or rediscovery, shame may indeed be aided by our adopting another’s perspective on what we do or are, but this is not, we argued, necessarily the case. If what is essential to shame is that we occupy a perspective informed by our values, then thinking about how others would look at us is only one of the possible occasions for occupying it.», Cfr. J. A. Deonna, R. Rodogno, F. Teroni, In Defense of Shame, cit., p. 152.

one perceives from within via the direct experience of the own body or via the indirect process of introspection.»255.

Precedentemente ho dato spazio ad alcune perplessità riguardo questa teoria dell’identità in relazione al tentativo degli autori di difendere l’autonomia della vergogna256. Ignorando le molteplici cause che potrebbero portare una

persona ad agire in un certo modo piuttosto che in un altro e trascurando alcune distinzioni concettuali fondamentali (una tra tutte quella tra valori e desideri), DRT finiscono a mio parere per sostenere una tesi non più utile alla causa per la quale era stata costruita. In questa sezione il mio scopo è quello di mostrare come il processo di autonomizzazione della vergogna messo in atto dagli autori di In

Defense of Shame comporti inevitabilmente l’esclusione da parte dell’altro dalla

sfera personale e l’appiattimento degli interessi del soggetto alla mera preoccupazione di esser capace di esemplificare un proprio valore, al di là del suo contenuto e del perché questo si voglia personificare. Allo stesso tempo esprimerò le ragioni per cui ritengo che l’altro non debba essere pensato come opposto e esterno all’Io, ma come parte integrante della sua struttura interna. Indagando la natura dialogica del Self e dell’identità come processo di co-costruzione in relazione agli altri mostrerò come sia possibile fornire una spiegazione, per quanto riguarda gli episodi di vergogna solitaria, diversa da quella dataci da DRT.