2 Ripensare la Vergogna
2.2 Vergogna e paura sociale
Sono convinto che DRT abbiano ragione nel dire che la vergogna rivela ciò che per l’agente è davvero importante, ma se diciamo che nasce ogni qualvolta falliamo nel soddisfare un nostro valore, ci imbattiamo in uno degli aspetti più problematici della teoria tradizionale: come possiamo, stando a questa definizione, distinguere la vergogna da altre emozioni che implicano un’autovalutazione negativa?
Se non riusciamo ad essere efficienti nel nostro lavoro potremmo provare delusione, se ci comportiamo male con un nostro collega potremmo sentire colpa, se violiamo un nostro principio potremmo adirarci e provare biasimo nei nostri confronti. Qual è allora l’elemento che fa sì che a sorgere sia proprio l’emozione della vergogna?
La tesi che intendo sostenere è che la vergogna nasce nel momento in cui percepiamo minacciato o compromesso, per nostra responsabilità o meno, non un nostro valore o un nostro ideale, ma un particolare tipo di care: il bisogno di accettazione e appartenenza.146
145 Come detto infatti, nonostante In Defense of Shame presenti per certi versi aspetti originali,
condivide gli elementi centrali di quella che è la prospettiva della vergogna più comune e popolare: l’emozione sorge per aver fallito nel vivere secondo la guida di propri valori, standard o valori.
146 A supporto dell’ipotesi che il desiderio di creare e mantenere legami sociali costituisca un
Diversamente da quanto affermato da DRT infatti, non credo che il desiderio di essere riconosciuti positivamente dagli altri debba essere considerato un valore (reputazione), quanto invece un bisogno fondamentale dell’essere umano. Non si tratta cioè di qualcosa che determiniamo in base alle nostre preferenze o scegliamo di soddisfare in seguito ad un atto deliberativo, ma di una tendenza innata che guida il comportamento di ognuno di noi. Tale forza, è sì fuori dal nostro potere decisionale, ma non è comunque vissuta come estranea al nostro essere. Il motivo per cui ho utilizzato il termine care infatti non è casuale: la necessità di essere accettati dagli altri è volizionale ed è vissuta allo stesso tempo come costrittiva ed autoimposta, esattamente come i bisogni. Lo stesso Frankfurt in Necessity, Volition and Love associa infatti questi due termini:
«I believe that it is pertinent to consider, in this connection, the relationship between the notion of importance and the notion of need. As I understand this relationship, things are important to us — whether we recognize their importance to us or not — insofar as we need them; and how important to us they are depends upon how badly we need them. Those things that we do not need at all are of no importance to us; and things are of no importance to us only if they are things for which we have no need. As for what makes something a necessity, I construe the defining characteristic of the things that we need as having to do with what is necessary in order to avoid harm. To assert that a person needs something means just that he will inevitably be harmed in one way or another — he will inevitably suffer some injury or loss — unless he has it. On the other hand, if it is possible for a person to do without a certain thing and yet suffer no harm, then he does not really need that thing.»147
Il bisogno quindi, a differenza del valore, è qualcosa che si caratterizza per essere indispensabile: una sua mancanza ci causerebbe un danno in termini vitali.148 Ad esso corrisponde per cui una paura concernente la possibilità di non
considerevole di prove empiriche in The Need to Belong: Desire for Interpersonal Attachments as
a Fundamental Human Motivation, Psychological Bulletin, Vol. 117, No. 3, June 1995, pp. 497-
529.
147 Cfr., Harry Frankfurt, Necessity, Volition and Love, cit. p. 163.
148 «Now there are many good things that we consider genuinely valuable, that we want, and
that we pursue, but that we do not need. We do not need them because, however attractive or valuable they may be, they are not indispensable to us. Failure to obtain them need not cause us harm, because wholly adequate substitutes for them are available to us at no greater cost. Whatever satisfactions they provide can be replaced without any additional expense by other
poterlo soddisfare. Nel caso del bisogno di accettazione, il timore in questione è probabilmente il più terrificante per un animale sociale come l’essere umano: quello di essere rifiutato, disprezzato, ostracizzato dagli altri.
Come detto, ciò che sosterrò è che l’emozione della vergogna sia strettamente legata a questa paura e sorge ogni qualvolta percepiamo minacciata la nostra immagine sociale. Questa non è chiaramente una tesi originale. La centralità dell’altro nell’esperienza della vergogna è presente già in Aristotele, che nella Retorica definisce l’emozione nel modo seguente:
La vergogna [αἰσχύνη] sia definita un certo dolore o turbamento relativo a quei mali [κακά] presenti, passati o futuri, che appaiono portare disonore [ἀδοξίαν] (Rhet. II 6, 1383b 12-14).149
La dipendenza dal contesto sociale è stata riconosciuta anche in ambito scientifico da Darwin150 e in quello psicologico da Cooley:
«The reference to other persons involved in the sense of self may be distinct and particular, as when a boy is ashamed to have his mother catch
satisfactions that are attainable in other ways. Thus, we can get along just as well without them.». Cfr., Ivi, p. 164.
149 Aristotele, Retorica, trad. it., intr. e note a cura di S. Gastaldi, Carocci Editore, Roma, 2014. In
questo lavoro non farò un’analisi dettagliata della teoria Aristotelica a proposito della vergogna. Si sappia solo che lo Stagirita utilizza due termini differenti per riferirsi all’emozione. Nell’Etica
Nicomachea predilige l’espressione αἰδώς, nella Retorica αἰσχύνη. La scelta terminologica
rimanda a differenti aspetti dello stesso fenomeno: αἰδώς ha una funzione prospettica e inibitoria e ci trattiene dal compiere azioni che potrebbero portare cattiva fama; potremmo dunque dire che il termine coincida con la nostra accezione di pudore. αἰσχύνη invece ha una temporalità diversa e non riguarda esclusivamente mali futuri, ma anche azioni passate e presenti che il soggetto crede possano fargli perdere il rispetto di cui gode agli occhi degli altri. Su questo si veda D. Cairns, Aidōs. The Psychology and Ethics of Honour and Shame in Ancient Greek
Literature, Oxford University Press, New York, 1993, p. 415 e D. Konstan, The Emotions of the Ancient Greeks: Studies in Aristotle and Classical Literature, University of Toronto Press, London
2006. Alessandra Fussi fa una dettagliatissima analisi dell’emozione nelle opere Aristoteliche sia
Per una teoria della vergogna, cit., pp. 47-71, sia in A. Fussi, Agire, patire, temporalità: modi e funzioni della vergogna fra Retorica ed Etica Nicomachea, in B. Centrone (a cura di), La Retorica di Aristotele e la dottrina delle emozioni, Pisa University Press, Pisa 2015.
150 Nel discutere la natura degli stati mentali che provocano arrossimento, Darwin scrive a
proposito della timidezza, della modestia e vergogna: «the essential element in all being self- attention. Many reasons can be assigned for believing that originally self-attention directed to personal appearance, in relation to the opinion of others, was the exciting cause. […] It is not the simple act of reflecting on our own appearance, but the thinking what others think of us, which excites a blush.», cfr., Charles Darwin, The Expression of The Emotions in Man and Animals, Edited by Francis Darwin, Cambridge University Press, New York, 2009, [1890], p. 345.
him at something she has forbidden, or it may be vague and general, as when one is ashamed to do something which only his conscience, expressing his sense of social responsibility, detects and disapproves; but it is always there. There is no sense of "I," as in pride or shame, without its correlative sense of you, or he, or they.»151
Negli ultimi decenni l’idea che la vergogna sia fortemente associata ad una valutazione negativa da parte degli altri, e più in generale all’appartenenza sociale e al timore di essere allontanati o isolati, ha trovato una spiegazione dal punto di vista psicoevolutivo. Secondo la teoria dell’informazione della minaccia152 la vergogna farebbe parte del nostro corredo biologico e rappresenterebbe la strategia difensiva messa in atto dall’organismo al fine preservare la nostra immagine sociale e, di conseguenza, la posizione all’interno di un gruppo.
Questa emozione mette in atto una serie di risposte psicofisiche che fanno capo ad un sistema neurocognitivo che l’essere umano ha sviluppato per scopi adattativi: poiché la sopravvivenza della nostra specie153 dipende fortemente dalla
cooperazione, e quindi la più grande paura per un individuo risulta essere quella di
151 Cfr., Charles Horton Cooley, Human Nature and The Social Order, Scribners, New York, p. 95. 152 The Information Threat Theory è il nome che troviamo nei seguenti studi: Theresa E.
Robertson, Daniel Sznycer, Andrew W. Delton, John Tooby, Leda Cosmides, The true trigger of
shame: social devaluation is sufficient, wrongdoing is unnecessary, Evolution and Human
Behavior, Vol. 39, Issue 5, 2018, pp. 566–573; Daniel Sznycer, John Tooby, Leda Cosmides, Roni Porat, Shaul Shalvi and Eran Halperin, Shame closely tracks the threat of devaluation by others,
even across cultures, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of
America, Vol. 113, No. 10, March 8 2016, pp. 2625-2630; Le premesse di questa teoria, ovvero che la vergogna sia un prodotto evolutivo e abbia la specifica funzione di proteggere la nostra posizione sociale, è l’elemento centrale della Social Self Preservation Theory: si veda Tara L. Gruenewald Sally S. Dickerson Margaret E. Kemeny, Social Function for Self-Conscious Emotions:
The Social Self Preservation Theory, in J. L. Tracy, R. W. Robins, & J. P. Tangney (Eds.), The self- conscious emotions: Theory and research, The Guildford Press, 2007, pp. 68-90; Sally S. Dickerson,
Margaret E. Kemeny, Acute Stressors and Cortisol Responses: A Theoretical Integration and
Synthesis of Laboratory Research, Psychological Bulletin, Vol. 130, No. 3, 2004, pp. 355–391;
Margaret E. Kemeny, Tara L. Gruenewald, Sally S. Dickerson, Shame as the Emotional Response to
Threat to the Social Self: implications for Behavior, Physiology, and Health, Psychological Inquiry,
Vol. 15, No. 2, 2004, pp. 153-160; T. L. Gruenewald, M. E. Kemeny, N. Aziz, J. L. Fahey, Acute
threat to the social self: shame, social self-esteem, and cortisol activity. Psychosomatic Medicine,
66, 2004, pp. 915–924.
153 Non tratterò in questa tesi la questione sulla vergogna animale. Maibom ha sostenuto che
l’emozione che gli animali provano quando si sentono minacciati, e che in vista delle reazioni fisiologiche e comportamentali pare essere vergogna, sia accomunata alla vergogna umana dal fatto che entrambe discenderebbero dalla stessa emozione primordiale. Il motivo per cui anche noi tendiamo ad assumere atteggiamenti di subordinazione sarebbe dovuto al fatto che la nostra vergogna è, come la loro, una modificazione di quella che l’autore chiama proto-shame. V. Heidi. L. Maibom, The Descent of Shame, cit.
venir allontanato e ostracizzato, quest’emozione avrebbe la funzione evolutiva di monitorare la presenza dell’altro, al fine di anticipare le potenziali valutazioni negative ed evitare comportamenti che potrebbero comportare l’emarginazione e la svalutazione sociale.
Delle teorie che ho avuto l’occasione di studiare, questa, ma più in generale quelle che riconoscono il ruolo cruciale giocato dall’altro ai fini di suscitare l’emozione, è senza dubbio la più convincente. Nelle prossime pagine cercherò di dimostrare che nella vergogna non è tanto importante il fallimento personale e la conseguente autovalutazione negativa da parte del soggetto, quanto invece un giudizio che minaccia in qualche modo la nostra immagine sociale e mette a repentaglio il bisogno di essere accettati e riconosciuti dagli altri. Come vedremo, a differenza della teoria tradizionale, questa tesi è in grado di fornire una soluzione soddisfacente per la maggior parte degli episodi di vergogna.
Nella prossima sezione mostrerò come un account sociale possa facilmente dar conto delle reazioni fisiche e psicologiche dell’emozione e distinguerla così dalle altre emozioni negative come la delusione di sé: un’analisi più attenta della fenomenologia154 ci permette di comprendere che non è l’incapacità di esemplificare un valore a caratterizzare questa emozione, né la percezione di avere un’identità non voluta.
In secondo luogo, mostrerò perché una teoria di questo tipo è capace di spiegare quegli episodi in cui la vergogna sorge in pubblico per qualcosa che invece in privato non crea problemi: a questo proposito parlerò sia dei casi in cui l’emozione sorge anche se la responsabilità del fallimento non è attribuibile al soggetto, sia di quei casi in cui la vergogna si produce anche se l’agente non fallisce rispetto ad alcun valore o standard di sua appartenenza. Mentre la teoria
154 DRT sono stati infatti più volte criticati per aver posto poca attenzione all’aspetto
fenomenologico. Felipe León ad esempio scrive: «While the relevance of thinking about shame in terms of a distinct self-evaluation can hardly be disputed, as well as the idea that the attachment to certain values is at least partly constitutive of the subject’s identity, the phenomenological dimension of the self of shame seems to be somehow underplayed by a too narrow focus on the evaluative dimension of this emotion. To put it differently, it doesn’t seem clear that some of the phenomenological features typically exhibited by the self of shame can be appropriately illuminated by defining this self solely in terms of certain values attachments, ad Deonna, Rodogno, Teroni and others theorists tend to do.», cfr., Felipe León, Shame and Selfhood, Phänomenologische Forschungen änomenologische Forschungen, Vol. 2012, 2013, pp. 193-211, p. 196.
tradizionale è costretta a classificare questi casi come irrazionali, o a trattarli come casi di imbarazzo o umiliazione, la teoria dell’informazione della minaccia sociale riesce a darne conto senza ricorrere alla creazione di nuove e ambigue classificazioni.
Nell’ultima parte spiegherò come anche nei casi di vergogna privata quest’emozione rimanga comunque un fenomeno interpersonale piuttosto che intrapersonale.