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The Unity Problem

2 Ripensare la Vergogna

2.1 The Unity Problem

Per riuscire a capire in cosa consista e perché nasca l’emozione della vergogna è necessario risolvere quello che è stato chiamato The Unity Problem142.

Poiché possiamo vergognarci per dei nostri tratti fisici, se veniamo visti in una situazione che desideravamo rimanesse privata o ancora per aver violato dei nostri valori morali, cosa effettivamente causa questa reazione emotiva? Qual è la parte del Self o della nostra identità che viene colpita quando proviamo vergogna?

Nel tentativo di rintracciare un aspetto che riuscisse ad accomunare i diversi tipi di valutazione insiti nell’emozione, molti filosofi hanno cercato di fornire una risposta esauriente al problema. Kant ha sostenuto che la vergogna è intrinsecamente connessa al nostro status di persona e nasce ogni qualvolta, a causa nostra o di altri individui, percepiamo minacciato il rispetto che ogni essere razionale dovrebbe avere per se stesso. Rawls, convinto che la causa della valutazione non sarebbe dovuta essere rintracciata nella natura di determinati tipi di valori, quanto invece nella relazione che il soggetto intrattiene con questi (a prescindere quindi da quali essi siano), vide nel concetto di autostima una possibile soluzione al dilemma e affermò che la vergogna sorge dalla consapevolezza di avere meno valore di quanto si pensasse di possedere. D’altro canto, Tylor, nonostante condividesse l’approccio di Rawls contro quello kantiano, si rese conto dei limiti di questa teoria e ne propose una capace di dar conto della severità che contraddistingue la vergogna dalle altre emozioni negative: l’autrice propose l’idea per la quale all’origine dell’emozione non vi è una semplice diminuzione dell’autostima, ma la percezione di aver perso in qualche modo la nostra integrità.

DRT, come abbiamo visto, mostrano come ognuna di questa tesi presenti delle difficoltà e non riesca, vuoi per un motivo vuoi per un altro, a risolvere in

142 V. Fabrice Teroni & Julien A. Deonna, The Self of Shame, In Mikko Salmela & Verena Mayer Emotions, Ethics, and Authenticity, John Benjamins Pub. Co., Amsterdam, 2009, pp. 33-50.

maniera soddisfacente il dilemma. In In Defense of Shame essi propongono una tesi che individua il filo conduttore dei vari episodi di vergogna non nella caratteristica di determinati valori o nel rapporto psicologico che il soggetto instaura con questi, bensì nel particolar tipo di fallimento che origina l’emozione. Sostenendo che la vergogna venga prodotta dall’incapacità del soggetto di esemplificare un valore al quale egli è attaccato, DRT presentano una teoria che a prima vista offre dei vantaggi rispetto a quelle sopra elencate: a differenza di quella di Taylor riesce ad abbracciare quei casi meno severi in cui non viene intaccata la nostra integrità, contrariamente a quella di Rawls promette di offrire una spiegazione per distinguere la vergogna da altre emozioni negative che implicano abbassamento dell’autostima e, basandosi su una nozione di identità non restrittiva come quella kantiana, riesce a dare una spiegazione di quei casi in cui il soggetto non è responsabile del motivo che causa vergogna. Nel capitolo precedente ho spiegato perché a mio parere la tesi esposta dagli autori rimane comunque insoddisfacente. Ora invece vorrei far luce sul perché una soluzione di questo tipo non possa riuscire a risolvere i problemi presentati. Il mio sospetto è che la teoria di DRT non riesca a fornire risposte più esaurienti di quelle sopra citate poiché ne conserva il medesimo approccio. È importante notare infatti che le teorie di Kant, Rawls, Tylor e DRT143, nonostante arrivino ad offrire differenti conclusioni, condividono lo stesso punto di partenza. Ognuna di esse si basa sulla convinzione che la vergogna preveda un’autovalutazione negativa da parte del soggetto per non essere riuscito ad esemplificare un proprio ideale, una norma, uno standard o un valore che avrebbe voluto impersonare. Sebbene dunque ci sia un disaccordo riguardo la natura del fallimento (rispetto di sé, autostima, self-

relevant values etc) o del suo livello di gravità, vi è un consenso nel ritenere

l’emozione in questione il risultato dell’incapacità dell’individuo di soddisfare ciò che per lui è davvero importante144. Se per certi versi questo approccio offre dei

143 Ma anche quelle di Lewis, Tangney e per certi versi, come spiegherò più avanti, Sanchez e

Zahavi. Questi ultimi, sebbene rivalutino completamente il ruolo dell’altro, sostengono che la vergogna sia un’emozione che prevede un’autovalutazione negativa da parte di chi la prova.

144 Heidi L. Maibom scrive: «With few exceptions (e.g. Sartre 1943/1992, Velleman 2006),

everybody agrees that failing to live up to standards, norms, and ideals is absolutely central to shame, but disagrees about how to think of this. Some think that such failure causes the self to feel diminished, injured, or threatened (Deigh 1983, Williams 1993), others that it causes the person to lose her self-esteem or self-respect (Rawls 1973, Taylor 1985). In the former cases, the

vantaggi, specie dal punto di vista morale in cui l’emozione acquista un ruolo positivo e costruttivo nel segnalarci i nostri errori e, inducendoci a monitorare le nostre azioni, trattenendoci dal commetterne, per altri aspetti esso si dimostra problematico e incapace di dar conto di molti episodi di vergogna. Nel capitolo precedente ho infatti mostrato come la teoria di DRT non permetta di distinguere la vergogna dalla delusione di sé, non riesca a dare una soluzione soddisfacente ai casi in cui ci vergogniamo in pubblico per qualcosa che in privato tolleriamo tranquillamente e, come mostrerò più avanti, è costretta a fare appello all’irrazionalità per spiegare i casi che non rientrano nella definizione proposta. Ma per quale motivo questa strategia non riesce a chiarire questi episodi?

Io credo che la ragione per cui il modello basato sul fallimento dell’esemplificazione dei valori non potrà mai risolvere in maniera soddisfacente

The Unity Problem è perché basato su una concezione di soggetto che ne trascura

la dimensione sociale.

Considerare la vergogna un’emozione che prevede un’autovalutazione negativa per non esser riusciti a soddisfare qualcosa di importante è senza dubbio la soluzione più auspicabile per chi vuole restituirle dignità morale e scampare alla minaccia del conformismo; tuttavia, questa strategia mira a soddisfare una nozione di autonomia che, come visto precedentemente, si fonda su una concezione individualistica dell’Io che svaluta il ruolo dell’altro e poggia le sue fondamenta sul mito dell’autodeterminazione e dell’autosufficienza. Perdendo di vista l’importanza delle relazioni sociali, sia in termini vitali sia in termini identitari, essa è destinata inevitabilmente a incorrere nei problemi appena citati senza poterne offrire una soluzione soddisfacente.

Il questo capitolo intendo proferire come sia possibile pensare ad una teoria della vergogna più solida e convincente scardinando la dicotomia io/altro implicita nell’analisi di chi sostiene questo modello esplicativo. Quello che farò è ribaltare il modus operandi degli autori di In Defense of Shame e percorrerlo in direzione opposta: DRT sono partiti dai casi di vergogna privata e hanno cercato

reduced or threatened self is solidly located in society; it is not merely by comparison to its former glory that the self is diminished, but also by comparison to other selves. In the latter, shame in essence concerns the agent's own standards, ideals, and norms.», cfr. Heidi. L. Maibom,

The Descent of Shame, Philosophy and Phenomenological Research, Vol. 80, No. 3, May, 2010,

di dimostrare come anche quelli sociali possono essere ricondotti all’identità di chi prova l’emozione, io, invece partirò piuttosto da quelli in cui l’altro è determinante e mostrerò perché possiamo considerare sociali anche quegli episodi in cui nessuno spettatore è presente. Ci tengo a sottolineare che il mio obiettivo non è propriamente quello di presentare una critica personale alla teoria di DRT, ma più precisamente quello di mostrare, prendendo come punto di riferimento la loro tesi, come sia possibile offrire una spiegazione alternativa al punto di vista tradizionale145.