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DAL PROGETTO PILOTA ALLA RICERCA AZIONE SITUATA

2. LA METODOLOGIA DELLA RICERCA

2.3 Il RUOLO DEL RICERCATORE

Il ruolo del ricercatore è strettamente intrecciato e connesso al paradigma teorico di riferimento. Soprattutto nella ricerca situata, anche il ricercatore è situato, avendo un genere, una storia, un’età una provenienza culturale e professionale. Il ricercatore, infatti, si inserisce nella realtà così come essa si presenta nel suo modo di apparire ordinario. La postura del ricercatore è come quella del naufrago, nel senso che egli è chiamato ad entrare nella realtà nuova in cui si avventura senza gli strumenti ordinari e poi mettersi ad ascoltare le cose per capire come vogliono essere conosciute. In questo senso, l’essenza del metodo è quella dell’essere a-metodico: come fosse un ospite che approfitta di ogni porta aperta sulle cose per comprenderle e guardarle (ZAMBRANO 2003). Gli atteggiamenti che maggiormente caratterizzano il ricercatore in questo lavoro sono quelli del rispetto e della riflessività.

Riguardo al primo, possiamo dire che il rispetto è verso l’Altro e l’ambiente. Il rispetto verso l’altro è dato non solo dalla consapevolezza di tenere distinti il mondo fisico, da quello fenomenico a quello retorico (CANESTRARI, 1984), ma anche dal fatto di saper accogliere quest’ultimo così come si presenta, senza per forza doverlo ricondurre a delle categorie specifiche; inoltre, il rispetto verso l’altro è dato dall’adozione di una pluralità di approcci (POJAGHI 2008), che non si contraddicano tra di loro, e che consenta di cogliere la complessità e la ricchezza dell’Altro. Il materiale linguistico raccolto andrà trattato con estremo rispetto affinché si producano risultati suscettibili di essere discussi, nella consapevolezza che

La parola non è trasparente, ma è una costruzione dialogica complessa” per cui “è necessaria una digressione semantica per analizzare le strutture di significato” (DEMAZIÈRE, DUBAR, 1997/2000, pp. 5-6).

Approcciarsi alla conoscenza nel rispetto dell’Altro non va inteso come vago e generico modo di benevolenza, ma come specifico approccio psicologico alla relazione con l’Altro. In tal senso la relazione rispettosa si concretizza

nell’accogliere le parole della persona come espressione della sua realtà interiore alla quale va ascritta una dignità sua propria indipendentemente dal fatto che rispecchi altri livelli di realtà; nel sospendere ogni valutazione (o svalutazione) per considerare la realtà interiore della persona nelle sue caratteristiche peculiari e originali;

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nel lasciare che la realtà interiore della persona si manifesti attraverso il discorso con il suo tipo di struttura (GALLI G., 1990, p. 49).

Il rispetto verso l’Ambiente, invece, va inteso come la capacità del ricercatore di assumere questo ruolo all’interno di un contesto dove lavora come operatore; rispettare l’ambiente quindi, significa stare in quel delicato confine che separa il ruolo del ricercatore da quello dell’operatore. Le situazioni di ricerca in campo sociale sono dinamiche e il ricercatore è un partecipante e non solamente un osservatore (LEWIN, 1951). Nella ricerca situata, infatti, l’operatore, indossa i panni del ricercatore e con questa veste opera all’interno del contesto dove nella quotidianità lavora come operatore. E’ come se il ricercatore entrasse sullo stesso palcoscenico, dove generalmente recita la parte dell’operatore, con le vesti del ricercatore; egli si deve far ri-conoscere in un ruolo diverso portando con sé, un inquadramento teorico ben definito, una metodologia specifica e degli strumenti adeguati alla stessa. Rispettare l’ambiente, significa negoziare l’accesso al campo insieme ai differenti livelli decisionali, rispettare i tempi del contesto in cui ci si trova ad operare, negoziare con i partecipanti il progetto di ricerca (ZUCCHERMAGLIO, 2013).

L’atteggiamento della riflessività è strettamente legato a quello del rispetto verso l’Altro; la riflessività del ricercatore è necessaria per poter andare verso l’Altro e l’ambiente nel quale egli vive cogliendo tutti quegli aspetti che appartengono alla sua unicità e complessità ed essendo disposto a mettersi in discussione rispetto ai possibili limiti e difetti del disegno di ricerca e rispetto ad altre possibili interpretazioni dei dati (CICOGNANI, 2002). La riflessività del ricercatore diventa una pratica di ricerca.

Il ricercatore è naturalmente inserito in un mondo morale, è una persona che ha un’etica, posizione e preferenze politiche, E soprattutto nel caso della ricerca situata che studia pratiche sociali quotidiane, i temi e gli oggetti della ricerca sono sempre ineludibilmente intrisi di scelte valoriali (ZUCCHERMAGLIO, 2013, p. 37).

La riflessività guida il ricercatore verso una maggiore attenzione della propria soggettività e della consapevolezza di come la conoscenza dell’Altro viene costruita. E’ necessaria una vigilanza sulle proprie pratiche di ricerca e sulla posizione politica, culturale, sociale del ricercatore. (SASSO, BAGNASCO, GHIROTTO 2015). Il ricercatore deve continuamente riflettere sulle sue caratteristiche ed esaminare come queste influenzano la raccolta e l’analisi dei dati. Uno strumento che il ricercatore può utilizzare per dare spazio alla sua riflessività è il diario di bordo, che deve contenere tre tipi di informazioni: il programma dell’intervento giornaliero, definito in termini di giorni, tempi e attività, andamento dell’attività svolta con particolare attenzione ad eventuali criticità sopraggiunte, riflessione sull’esperienza.

104 Fondamentale è la disposizione a praticare la disciplina della riflessione che consiste in un’auto-interrogazione mirata a pensare il luogo dal quale si pensa (MORTARI, 2007). Il ricercatore in questo processo di autocomprensione è dotato di una zona chiara che è lo sfondo paradigmatico che ha scelto e lo sfondo opaco, l’insieme dei valori, delle credenze che nutre verso l’oggetto di indagine e la ricerca stessa. La metacognizione circa lo sfondo opaco contribuisce a rendere esplicito ciò che tende ad accadere tacitamente così che sarà possibile criticarlo e se necessario modificarlo. La posizione della ricercatore è di esserci con co-scienza al fine di interrogare la zona del posizionamento soggettivo. E’ necessario sviluppare quell’atteggiamento che viene definito dell’autopresenza, ovvero stare con il pensiero raccolto sull’azione cognitiva nel suo divenire impedendo alla mente di lasciarsi assorbire dall’attività in cui è coinvolta. Questa riflessività è detta anche umiltà (ZAMBRANO, 2003) del ricercatore intesa come la capacità del medesimo di valutare criticamente e con continuità ogni passo che intende compiere. Inoltre richiede di abbandonare le proprie teorie senza restare ad esse tenacemente abbarbicati anche quando se ne avverte la debolezza:

La soggettività del ricercatore viene attraverso la riflessività trasformata da problema a risorsa per migliorare la qualità dell’analisi (ZUCCHERMAGLIO, 2013, p. 38).

La riflessività quindi sostiene il processo di analisi circolare, l’analisi e l’interpretazione dei dati ed evita che la metodologia diventi ortodossia, ovvero

Si mantenga flessibile per adattarsi in modo situato appunto, ai problemi che vuole affrontare. L’essere riflessivi, quindi serve anche per imparare ad essere anche metodologicamente «scorretti» e creativi quando questo sia utile ad aumentare il valore conoscitivo della ricerca (ZUCCHERMAGLIO, 2013, p. 38).

Nel nostro progetto di ricerca la riflessività ha caratterizzato tutto il percorso mettendo in discussione non solo le azioni messe in campo ma anche l’analisi dei dati che di volta in volta andavano emergendo, cercando di renderle sempre più esplicite al ricercatore, all’operatore e all’utente.

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