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3.5. La scelta del tasso di attualizzazione
La scelta del tasso di sconto costituisce la maggiore difficoltà dell'applicazione della DCF analysis, poiché la necessità di operare una scelta introduce per definizione un certo grado di soggettività pressoché ineliminabile. Empiricamente s’intuisce subito l'esigenza di scontare i flussi di operazioni diverse con tassi differenti, per una serie di motivi tra i quali emerge il grado di rischio che varia di progetto in progetto. Non esiste, quindi, la possibilità di applicare una formula di determinazione del tasso di sconto che sia universalmente valida e nemmeno un'istituzione che renda pubblico un tasso da utilizzare per l'attualizzazione, che goda del riconoscimento del mondo finanziario.
Tuttavia il metodo, che nella prassi viene utilizzato più frequentemente, prevede che il flusso di cassa operativo venga scontato ad un tasso corrispondente al costo medio ponderato del capitale (WACC, Weighted Average Cost of Capital): l’approccio del WACC prende il via dall’intuizione che i progetti delle imprese sono finanziati contemporaneamente da debito e capitale azionario. Il costo del capitale deve essere pari alla media ponderata del costo del debito e del costo del capitale azionario.
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(
S+ B)
=pesoapplicatoalcapitaleazionario SIl grado di leva finanziaria, ovvero la proporzione tra capitale di debito e capitale proprio, deve essere calcolata a valori di mercato. Nel contesto del project financing, il costo del capitale del progetto deve riflettere la struttura del capitale della project company e non degli sponsor, poiché come si è più volte affermato la project company è un soggetto giuridico indipendente dagli sponsor. Inoltre, secondo questa teoria, gli aggiustamenti necessari per tener conto del rischio finanziario devono essere fatti sulla base del soggetto che ha la responsabilità giuridica per le obbligazioni finanziarie: nel project financing, le obbligazioni sono a carico della project company. Il project financing, infatti, è una tecnica
"off-balance sheet" dove la valutazione prescinde dal livello obiettivo di indebitamento degli sponsor, i quali creano un veicolo proprio per limitare la propria responsabilità patrimoniale.
Il costo del capitale di debito deve essere considerato al netto dell’imposizione fiscale societaria e viene calcolato come il costo marginale a lungo termine praticato sugli strumenti di finanziamento utilizzati dalla project company. Esso dipende da due principali fattori: il livello corrente dei tassi di interesse e la possibilità che la società progetto non sia in grado di rispettare i propri impegni di rimborso delle quote capitali ed interessi. Perciò il costo del debito è pari alla somma di un tasso base che esprime il rendimento corrente dei finanziamenti a lungo termine senza rischio e uno spread, che dipende dal rischio di insolvenza e viene stimato sulla base dei rendimenti a scadenza dei finanziamenti a lungo termine negoziati da imprese appartenenti alla medesima classe di rischio; le banche d'affari dispongono di studi di settore che evidenziano i tassi relativi ai vari settori dell'economia. Lo spread dipende a sua volta dal livello raggiunto dal tasso free-risk. Le ipotesi di base possono
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essere modificate per testare la robustezza della valutazione al modificarsi della situazione congiunturale del mercato finanziario.
Molto più complessa è invece la definizione del costo del capitale proprio che dovrebbe esprimere il rendimento medio atteso dagli azionisti, per un investimento di pari rischiosità e con le stesse caratteristiche di struttura finanziaria di quello intrapreso. Esistono numerosi approcci alla scelta del costo dei mezzi propri, a partire da quello puramente soggettivo, che consiste nella scelta di un tasso rappresentativo del costo opportunità dell’investimento, in base al giudizio del valutatore, fino a quelli più sofisticati basati su teorie di equilibrio del mercato dei capitali, come il CAPM (Capital Asset Pricing Model).
La prima formulazione del CAPM è stata proposta da William F. Sharpe in "Capital Asset Prices: A theory of Market Equilibrium under Conditions of Risk", in Journal of Finance, settembre 1964; e consiste in un modello di determinazione dell’equilibrio del mercato dei capitali in presenza di una pluralità di attività finanziarie rischiose e di un’attività priva di rischio. Il modello presuppone che gli investitori realizzino un’efficace diversificazione di portafoglio e che ciò consenta di neutralizzare una parte del rischio riferibile ai singoli investimenti considerati definito rischio diversificabile. Ai fini della teoria di portafoglio, è rilevante solo la quota di rischio non diversificabile, misurato dalla sensibilità dei rendimenti di un titolo rispetto all’andamento del mercato azionario nel suo insieme. La misura del rischio non diversificabile è rappresentata dal valore di β, definito come la covarianza del rendimento del titolo e il rendimento del portafoglio di mercato, divisa per la varianza del rendimento del portafoglio di mercato.
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Il costo del capitale di un titolo perciò può essere ricavato attraverso la seguente relazione generale:
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Tralasciando i problemi di coerenza tra risk free rate e risk premium, i problemi maggiori dell’applicazione di tale modello alle operazioni di project financing si trovano nella stima del β rilevante per la società progetto.
Esistono due soluzioni per stimare il β della project company, la prima delle quali è costituita da una semplificazione didattica con l'obiettivo di individuare un'attività quotata, da cui mutuare il costo del capitale, le cui determinanti del β sono simili a quelle dell'iniziativa oggetto di analisi24. Con riferimento ad un titolo rappresentante il capitale di rischio di un'impresa, le determinati del rischio sono fondamentalmente tre:
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Cercare di individuare un'azienda che presenti valori similari in queste determinanti rispetto alla project company, rischia di diventare uno sforzo vano a causa della specificità di ogni progetto tale da rendere impossibile il confronto con un rischio di business assunto dallo sponsor nella propria attività operativa o da qualsiasi altro soggetto economico.
Raramente inoltre la struttura del capitale della società progetto sarà confrontabile con altre strutture di imprese quotate, le cosiddette "Corporate", delle quali si conosce il β.
Come previsto invece dalla seconda soluzione, risulta più corretto analizzare un campione di imprese attive nella medesima area di affari del progetto, il cui profilo di rischio sia confrontabile con quello dello SPV.
Per ognuna delle società comprese nel campione, occorre stimare il β di mercato.
Questi indicatori statistici, però, non sono direttamente utilizzabili perché si riferiscono a strutture finanziarie profondamente diverse: è per tal motivo che si cerca perciò di eliminare l'effetto della leva finanziaria tenendo in considerazione la differente struttura del capitale.
Per fare ciò è necessario calcolare il β unlevered o β attivo inteso come misura del profilo di rischio operativo dell'impresa, a fianco di quello tradizionale di β capitale proprio, il quale incorpora anche il profilo di rischio finanziario, per ciascuna delle società individuate, successivamente si determina il valore medio o la mediana per il campione di riferimento.
24 Bertinetti G., “Finanza aziendale applicata”.
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A questo β unlevered medio di settore, si applica poi un riaggiustamento in funzione del rapporto obiettivo di indebitamento della società progetto ("relevering"), effettuando quindi il processo inverso.
Stimato il β attraverso questo procedimento, determinato il tasso free risk, prestando particolare attenzione alla scadenza di riferimento, e il premio per il rischio di mercato, si dispone di tutte le variabili per determinare il costo del capitale proprio. Il procedimento standard di determinazione del tasso di sconto necessita di alcuni aggiustamenti, considerata la particolarità del contesto di valutazione.
Si evidenziano tre aspetti peculiari:
il rendimento richiesto dagli investitori in capitale di rischio dipende fortemente dalla fase del ciclo di vita e dalle caratteristiche del progetto;
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le strutture contrattuali di risk allocation possono smussare gli elementi di incertezza e abbassare il tasso soglia richiesto dagli azionisti;
alcuni dei fattori di rischio assunti dagli sponsor nel processo di risk allocation, sono di natura non sistematica, e quindi diversificabile. In base alla teoria classica di portafoglio non sarebbero perciò rilevanti per la determinazione del rendimento richiesto dagli azionisti. In realtà gli sponsor non detengono un portafoglio diversificato di progetti che permetta di compensare l’eventuale insuccesso di un’iniziativa con i rendimenti ottenuti su un altro progetto. Di conseguenza anche i rischi diversificabili meritano di essere adeguatamente remunerati nella logica degli sponsor, in quanto, per la consistenza unitaria del singolo investimento e per l’elevato grado di commitment richiesto, non hanno la possibilità di detenere un portafoglio ampio di progetti.
Rispetto alle società non quotate si usa introdurre una penalizzazione che trova giustificazione nel maggior grado di rischio di queste realtà dovuto alle loro minori dimensioni, che causano un minore potere di mercato, all'insostituibilità della dirigenza e alla minore liquidità che caratterizza l'investimento. Questo premio identificato dalla sigla ARP (additional risk premium) è determinato sulla base di statistiche effettuate da istituzioni economiche come la Banca Mondiale oppure da studi di settore privati.
( r r ) ARP
r
r i = f + m − f β i +
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