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Segue il dibattito dottrinale circa l’applicazione della bona

1. Buona fede (oggettiva) e legittimo affidamento

1.1. Segue il dibattito dottrinale circa l’applicazione della bona

fides nel diritto amministrativo

Il principio di buona fede oggettiva, o correttezza, è stato lungamente ignorato dalla dottrina che ne rifiutava l’applicazione dello stesso nell’ambito del diritto amministrativo; di conseguenza, anche la definitiva consacrazione della tutela del legittimo affidamento del singolo ha incontrato numerosi ostacoli in tale settore.

Fatta salva questa sintetica premessa, è opportuno procedere ad una breve ricostruzione storica delle principali posizioni dottrinali espresse in materia.

Tra gli orientamenti non favorevoli all’applicazione del concetto della buona fede oggettiva nell’ambito del diritto amministrativo, e

quindi nei confronti della P.A., vi era quello che manifestava il timore legato al fatto che una clausola generale potesse portare un ingiustificato ampliamento nei poteri dell’operatore del diritto con riferimento alla sua attività interpretativa.

Un ulteriore approdo considerava il concetto di buona fede interamente assorbito dalla nozione di interesse pubblico, in forza del ragionamento per cui “l’agire secondo i dettami della correttezza

sarebbe implicito nell’obbligo di perseguire l’interesse prefigurato dall’ordinamento”10

. È tra i principali sostenitori di tale tesi, E. Guicciardi, il quale ha escluso la possibilità di collocare la buona fede nel diritto amministrativo, sottolineando come in ogni settore del diritto ci sia bisogno “di un principio che sia insieme etico e giuridico,

assoluto, astratto”11 che funga da guida e da criterio valutativo per le attività che lì si svolgono, quale quello di buona fede;tuttavia ciò non varrebbe nel diritto amministrativo, dove sussiste il “principio

supremo della cura dell’interesse pubblico” 12 . In realtà, tale ricostruzione non è esente da critiche,atteso che, in tal senso, si identificava l’interesse pubblico con quello soggettivo della P.A.

10

G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo affidamento nei rapporti con la

Pubblica Amministrazione, cit., p. 9.

11

E. Guicciardi, Recensione a K. H. Schmitt, Treu und Glauben im Verwaltungsrecht.

Zugleish ein Beitrag zur juristischen Methodenlehre, in Arch. giur. dir. pub., 1936, p.

556.

12

ritenendo, erroneamente, che l’organo amministrativo fosse in grado di rappresentare correttamente le varie esigenze della collettività e che

la mera aspettativa del singolo cittadino fosse destinata

inevitabilmente a soccombere.

Proseguendo con i contra,l’applicazione della buona fede oggettiva era ritenuta funzionalmente connessa ad una preliminare analisi dello stato soggettivo, indagine, tuttavia,che non si concepiva in riferimento all’Amministrazione, alla quale non era ascrivibile una

“volizione di tipo psicologico”13

.

Un’ulteriore obiezione considerava la buona fede alla stregua di un postulato da collocarsi unicamente nell’alveo dei rapporti paritetici e, di conseguenza, estraneo al panorama del diritto amministrativo14. Anche tale orientamento non risulta condivisibile, in quanto imperniato su una visione della Pubblica Amministrazione quale soggetto esercitante unicamente poteri autoritativi (iure imperii): l’incontestata preminenza della stessa ha, invece,nel tempo lasciato il passo all’ampliamento della attività c.d. iure gestionis che costituisce il paradigma del nuovo modello (partecipativo) di amministrazione

13

F. Gaffuri, L’acquiescenza al provvedimento amministrativo e la tutela

dell’affidamento, Milano, 2006, p. 138.

14

F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta”

pubblica15. Infatti, l’evoluzione del pensiero dottrinale16, a partire dal periodo post costituzionale, ha condotto ad una generale opera di ridefinizione del ruolo della P.A. nel neonato Stato democratico:si è superata, infatti, la concezione propria degli schemi classici che collocavano l’autorità amministrativa in una posizione di netta superiorità rispetto al consociato. Siffatto mutamento di prospettiva ha veicolato, quale immediata conseguenza, l’emergere di rapporti basati sulla consensualità in luogo dell’autoritatività e dell’autoreferenzialità e, sopratutto, delle prime forme di partecipazione del singolo

all’azione amministrativa17

. Il dovere di buona fede, a seconda dell’evolversi dei bisogni sociali, costituirebbe allora limite ad un esercizio non giusto del diritto, ciò comportando la valenza di tale regola anche nei confronti della P.A., indipendentemente dal tipo di attività messa in pratica18: al di là di quella frutto dello iureimperi o

15

Basti pensare agli accordi consensuali tra privato e P. A., ora codificati nell’art. 11 della l. n. 241/90.

16

G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo affidamento nei rapporti con la

Pubblica Amministrazione, cit., p. 26, ove si precisa come “le riflessioni compiute dalla dottrina durante la seconda metà del Novecento e l’opera della giurisprudenza hanno rappresentato l’humus di coltura della dimensione partecipativa culminata nell’elaborazione della legge sul procedimento”.

17

Sul punto, F. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni

pubbliche, op. cit., p. 143: “quanto più l’Amministrazione diventa, attraverso l’intervento procedimentale, la voce della società, tanto più si rafforza l’ordinamento democratico e, nello stesso tempo, si limita il potere della burocrazia”.

18

dello iure gestionis, l’Amministrazione sarebbe pertanto sempre

onerata di rispettare tale onnipresente dogma19.

Illustrate e criticate, in estrema sintesi, le opinioni contrarie alla rilevanza della buona fede nel diritto amministrativo, è necessario sottolineare come abbiano trovato spazio anche posizioni favorevoli in dottrina20, le quali si collocano proprio all’interno di quel filone di studi, sopra accennato, diretto alla ridefinizione del ruolo della P.A. all’interno del nuovo ordinamento democratico come delineato dalla Costituzione. Concordemente con l'analisi dottrinale, anche la giurisprudenza, poi, ha preso maggiore coscienza della portata del

principio, traducendolo in numerose e specifiche regole operative21.

Tra i vari esponenti di questo orientamento dottrinale, si annovera U. Allegretti22, il quale evidenzia come,mentre al singolo è

19

Cfr G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo affidamento nei rapporti con la

Pubblica Amministrazione, cit., p. 10: “l'interesse pubblico concreto emerge dal raffronto di tutti gli interessi coinvolti dall'azione amministrativa. Se non vi è più un solo interesse pubblico predefinito, se i rapporti tra l’Amministrazione e il cittadino devono ispirarsi al dovere di collaborazione, la buona fede, allora, non è un duplicato dell'interesse perseguito dall'Amministrazione ma un principio generale che deve ispirare ogni attività, sia che si svolga nelle forme del diritto pubblico o di quelle del diritto privato.”

20

Ex multis, S. Romano, Buona fede (Diritto privato), voce dell’Enc. dir., III, Milano 1959, p. 679; A. Mantero, Le situazioni favorevoli del privato nel rapporto

amministrativo, op. cit., pp. 118 ss.

21

Vedi G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo affidamento nei rapporti con la

Pubblica Amministrazione, cit., p. 11, e giurisprudenza ivi richiamata; la casistica offre

un ampio spettro di ipotesi in cui la tutela della buona fede e del legittimo affidamento è stata affermata dai giudici amministrativi: dalla ripetizione delle somme non dovute percepite in buona fede, all'esercizio del potere di autotutela, all'interpretazione dei bandi di concorso.

22

sempre riconosciuta una signoria sulla scelta dei propri interessi non

essendogli imposto di perseguirne uno già prestabilito23, così non è per

l’Amministrazione la quale, in quanto entità imparziale, ha un fine normativamente predeterminato, rappresentato dal perseguimento non di un interesse soggettivo proprio bensì dell’interesse pubblico. Ciò posto, l’organo amministrativo deve quindi collaborare con il privato per ponderare le proprie scelte con le posizioni assunte dal consociato nel singolo procedimento amministrativo, non prescindendo dal considerare che la discrezionalità deve valutarsi unitamente al canone dell’imparzialità. Così ragionando, si evidenzia come il principio regolatore del rapporto collaborativo è proprio quello di buona fede, il quale porta con sé il dovere di conformare il proprio comportamento “a veridicità e fedeltà”24

. A detta dell’Autore è pacifica l’applicabilità di tal principio nel diritto amministrativo in quanto le principali obiezioni contrarie sono superate ormai da tempo ed anzi, è proprio la natura stessa di Amministrazione imparziale che fa propendere per

23

Ivi, p. 5.

24

Ivi, p. 277. Sul punto anche G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo

affidamento nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, cit., p. 18: “l'Amministrazione ricopre il ruolo di parte imparziale che deve necessariamente tener conto delle posizioni soggettive di coloro che sono interessati all'esercizio di una determinata funzione di cui è titolare l'Autorità pubblica. Ne consegue che la funzione amministrativa deve essere ispirata ad un rapporto di collaborazione tra Amministrazione e cittadini, che si esplicita nella necessità di osservare reciprocamente una condotta leale, ovverosia di rispettare le regole di buona fede”.

tale conclusione. Infatti, la diversa posizione sul piano sostanziale tra privato e P.A. fa della buona fede un elemento imprescindibile ancor più che nel diritto privato25.

Le osservazioni richiamate risultano condivise da da F. Merusi,il cui orientamento circa la valenza del principio di buona fede

nell’ordinamento giuridico è già stato evidenziato26

, ma risulta opportuno in questa sede soffermarsi su alcuni aspetti. Analizzando il concetto di buona fede quale vincolo per il legislatore vengono in rilievo le due possibilità di tutela del legittimo affidamento già evidenziate nel paragrafo precedente: da un lato, la buona fede come obbligo di non contraddire le posizioni consolidate (secondo il principio di non contraddizione); dall’altro, come obbligo di comportarsi secondo correttezza, che impone di bilanciare gli interessi in campo, ovvero quello pubblico che muove l’attività P.A. e quello del singolo consociato formatosi su una precedente regolamentazione normativa. Unicamente nel primo caso, evidenzia l’Autore,la tutela

25

Ivi, p. 286. Infatti, si può evidenziare come sia necessario che le autorità pubbliche, per evitare di ledere gli interessi individuali nell’esercizio del loro potere, conformino i loro comportamenti al principio di correttezza; in particolare, si ravvisa come la buona fede, o correttezza, rilevi nei doveri informativi che incombono sull’Amministrazione nell’iter procedimentale. Tale scopo è stato perseguito attraverso l’elaborazione di schemi procedimentali alla stregua dei quali il cittadino, riguardato da un procedimento, deve essere informato preventivamente delle decisioni che la P.A. si accinge ad assumere, cosicché ne possa orientare le valutazioni, intervenendo direttamente nel procedimento.

26

fornita sarà di natura sistematica e immediata; nel secondo, invece, la stessa acquisirà carattere eventuale, in quanto occorrerà effettuare una disamina sulla soluzione migliore e la ponderazioneporterà, inevitabilmente, al sacrificio di una posizione. Ebbene, non prima di aver vagliato gli orientamenti e gli esiti della giurisprudenza tedesca (ausilio ricorrente nello studio sull’affidamento), F. Merusi asserisce che nei nei rapporti con il legislatore la buona fede si configura in guisa di obbligo di correttezza: tale concetto è potenzialmente in grado di assurgere a principio costituzionale,vincolando il potere legislativoa non ledere l’affidamento precedentemente instauratosi27. Alla luce di tali premesse sinteticamente riassunte, l’Autore non scorge elementi ostativi ad una esaustiva applicazione del principio di buona fede non solo nel diritto amministrativo ma in tutto il panorama del diritto pubblico28, considerandolo “norma di integrazione di ogni ordine di

produzione codificata del diritto, costituzionale, legislativa, regolamentare e ora anche comunitaria”. Il dato che la buona fede sia

tradizionalmente applicata nel diritto civile non determina, dunque,

27

L’unica ipotesi in cui si potrebbe superare tale vincolo è rappresentata dalla presenza di motivi eccezionali e prevalenti rispetto a quelli che giustificano la tutela della situazione di vantaggio del cittadino.

28

Dall’analisi nel diritto privato non sembrano sussistere ostacoli ad una vigenza della buona fede anche al di fuori di tale settore dell’ordinamento giuridico, vedi F. Merusi,

Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”, op.

che non possano sussistere altri campi, nelle varie articolazioni dell’ordinamento giuridico, in cui la stessa abbia la capacità di essere trasposta; nello specifico, si fa riferimento a una sua possibile operatività nei rapporti tra il singolo e l’esercizio del potere pubblico.

Il sopra richiamato carattere integrativo di tale dogma non può che essere proprio anche del concetto di affidamento: essi sono da considerarsi come principi generali di integrazione e, sulla base di tale aspetto, andranno a toccare tutti i rapporti intercorrenti tra i consociati. In conclusione, si può ritenere assodato come il principio di buona fede, o correttezza, permei tutti i rapporti in seno al sistema giuridico; nonostante le resistenze iniziali non si ravvisano pertanto ostacoli nell’esaltazione di tale nesso anche nei rapporti tra cittadino e P.A.