• Non ci sono risultati.

Capitolo 3 La violenza e il genere: un antico ma sempre attuale binomio

3.1 Le sfumature della violenza di genere

La violenza di genere è un fenomeno universale, presente in tutti i tempi e in tutte le società che a seconda della cultura veniva autorizzata, giustificata, tollerata e raramente condannata. Unire la violenza al genere vuol dire guardare a questo fenomeno in

52 Il 25 novembre, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella ha ribadito che bisogna agire per estirparla dalla società, esprimendosi in questi termini: "Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona. L'educazione al rispetto reciproco, nei rapporti personali e nelle relazioni sociali, è alla base del nostro vivere civile. La violenza sulle donne è un fenomeno sociale ingiustificabile che attecchisce ancora in troppe realtà, private e collettive e nessun pretesto può giustificarla. Si tratta di comportamenti che vanno combattuti fermamente. La scuola e le altre attività in cui si esplica la crescita della persona devono essere in prima fila contro ogni forma di violenza, pregiudizio e discriminazione".

un'ottica allargata che pone attenzione non solo alla violenza maschile esercitata sulle donne, ma che include numerose altre figure, persone che per scelte sessuali o per particolari fragilità si ritrovano nel corso della loro vita ad essere bersaglio di atti crudeli, manifestati da chi non conosce altro modo per affermare il proprio potere e la propria forza, e che trovano legittimazione nell'odio e nell'incapacità di mettersi in relazione con l'altro.

La violenza di genere, pur abbracciando varie categorie di persone53, colpisce maggiormente le donne, è un fenomeno dalle molteplici sfumature che si può manifestare in tanti modi con dinamiche diverse e non esclude nessun Paese, è presente, ieri come oggi, anche in quelli che si reputano culturalmente più avanzati e che vantano sistemi democratici con apparati normativi per la tutela dei diritti delle persone.

Il concetto di violenza abbraccia realtà complesse e può avere mille sfumature, organismi internazionali si sono adoperati per darne una chiara definizione, già nel 1979, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW), obbliga gli Stati firmatari a riconoscere l'uguaglianza giuridica tra uomini e donne, all'abolizione di tutte le eventuali leggi discriminatorie, a contrastare la violenza di genere e ad eliminare tutti gli stereotipi legati ai ruoli tradizionali assegnati ai due sessi all'interno della famiglia come in tutti gli altri contesti sociali. Successivamente, nella Dichiarazione delle Nazioni Unite54 del 1993, è definita come ogni atto o minaccia di violenza basata sul

53 “La violenza di genere può comprendere, se riferita al genere femminile, tutte le manifestazioni violente […] ma include anche le diverse declinazioni della violenza usate contro le persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), nonché quelle maturate in seno alla coppia etero-sessuale. Possono rientrare le violenze che le donne usano contro gli uomini; non solo verso quelle vittime maschili ascrivibili alla categoria delle persone fragili -come anziani, bambini o disabili- ma anche verso i partner, quale possibile conseguenza delle profonde trasformazioni delle biografie femminili e precipitato dei processi di democratizzazione della sfera intima che stanno segnando l'attuale fascia storica” (Cocchiara 2014, pag. 12).

54 La Dichiarazione delle Nazioni Unite all'art. 1 stabilisce che: “Ai fini della presente Dichiarazione l’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.”

Articolo 2 “ La violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi a, quanto segue: La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le percosse, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, […] violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne […] La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul posto di lavoro...”

Articolo 3 “Le donne hanno il diritto ad un uguale godimento e garanzia di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in ogni altro campo...”.

Articolo 4 “Gli Stati dovrebbero condannare la violenza contro le donne e non dovrebbero appellarsi ad alcuna consuetudine, tradizione o considerazione religiosa [...] Gli Stati dovrebbero perseguire con tutti i mezzi

genere, che possa provocare danni fisici, psicologici o la privazione di ogni forma di libertà della vita pubblica o privata. Anche la Comunità Europea nella Convenzione di Istanbul ha condannato con forza la violenza di genere considerandola come una grave violazione dei diritti umani e una grave forma di discriminazione che nessun Paese o comunità dovrebbe accettare e tollerare, la violenza è manifestazione dell'antica disparità tra uomini e donne, dei diseguali rapporti di forza tra i sessi che hanno sempre subordinato la donna all'uomo impedendo qualsiasi forma di emancipazione. La Convenzione di Istanbul55 riconosce la vasta dimensione della violenza domestica56, riferendola ad atti gravi e ripetuti di violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica, esercitata nell'ambito familiare e affettivo, che colpisce, in diversa misura, non solo le donne e i bambini, i quali tante volte sono testimoni e vittime della violenza familiare, ma anche le persone anziane, e meno raramente di quello che si pensa, gli stessi uomini57. La Convenzione raccomanda agli Stati aderenti di promuovere azioni in grado

appropriati e senza indugio una politica di eliminazione della violenza contro le donne [...] punire gli atti di violenza contro le donne [...] sviluppare sanzioni penali, civili [...] per punire e riparare agli illeciti causati alle donne che sono sotto poste a violenza; alle donne che sono sottoposte a violenza dovrebbe essere fornito l’accesso ai meccanismi della giustizia e, come previsto dalla legislazione nazionale, a giusti ed efficaci rimedi per il danno che hanno sofferto; gli Stati dovrebbero inoltre informare le donne dei loro diritti nel cercare una riparazione attraverso tali meccanismi; [...] Sviluppare, in modo ampio, approcci preventivi e tutte quelle misure di natura legale [...] Promuovere la ricerca [...] raccogliere dati [...] concernenti in particolar modo la violenza domestica, riguardanti l’incidenza delle diverse forme di violenza contro le donne e incoraggiare la ricerca sulle cause, la natura, la gravità e le conseguenze della violenza contro le donne e sull’efficacia delle misure adottate per prevenire e riparare alla violenza contro le donne; [...] Riconoscere l’importante ruolo svolto dal movimento delle donne e delle organizzazioni non governative di tutto il mondo nell’accrescere la consapevolezza e nell’alleviare il problema della violenza contro le donne...”

55 “La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, è stata sottoscritta a Istanbul l’11 maggio 2011. In Italia, la Convenzione è stata firmata il 27 settembre 2012. La Convenzione di Istanbul, che ha valore di Trattato, può essere considerata come il più completo tra gli strumenti vincolanti per prevenire la violenza sulle donne, problema che può essere considerato un vero e proprio flagello in tutti i suoi aspetti. La Convenzione esorta gli Stati firmatari ad attuare tutte le misure necessarie affinché si pervenga ad un radicale cambiamento di mentalità per eliminare i pregiudizi fondati sulla «inferiorità» delle donne e sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. Affida ai singoli Stati il compito di prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, in qualunque ambito, anche domestico, affermando il principio che nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa può essere addotto come giustificazione. Nel preambolo, inoltre, si riconosce che il raggiungimento dell'uguaglianza tra i sessi de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne. Un altro degli obiettivi della Convenzione di Istanbul è quello di promuovere la cooperazione internazionale garantendo l’adeguato sostegno alle organizzazioni e alle autorità preposte all’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica. Nella Convenzione di Istanbul, infine, sono riconosciuti come reato il matrimonio, l'aborto e la sterilizzazione forzati, le mutilazioni genitali femminili e lo stalking.” (Ministero della salute)

56 La violenza domestica è stata riconosciuta giuridicamente dall'Ordinamento nazionale con il Decreto legislativo n. 93 del 2013, per effetto dell'art. 3 “Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica”.

57 La violenza esercitata dalle donne sugli uomini è mossa da dinamiche diverse, sebbene alla base ci sia un'idea fondata su un rapporto di coppia non paritario. “Comportamenti violenti che traggono origine da una falsa rappresentazione di libertà femminile e si concretizzano in desiderio di dominio su uomini che si vorrebbero diversi da ciò che sono, con i quali si avvia una relazione intima all'insegna del “Io ti cambierò” e contro i quali si reagisce con violenza quando l'obiettivo appare irraggiungibile” (Cocchiara 2014, pag. 14).

di agire sui modelli culturali presenti al loro interno, sia per prevenire gli abusi che per favorire le denunce in modo che il sommerso possa emergere. La cultura trasmette tanti pregiudizi e stereotipi che naturalizzano atteggiamenti violenti, giustificandoli e nascondendoli dietro sentimenti falsificati dall'amore, agire sulla cultura per estirpare alla radice idee ancorate ad una tradizione che non ha ragione di esistere, è fondamentale e deve essere un obiettivo prioritario da raggiungere quanto prima. Tante violenze esercitate all'interno dell'ambito domestico/familiare, a causa di pregiudizi socio-culturali, sono rimaste e restano tuttora impunite, reati penalmente rilevanti che non hanno trovato riscontro nella giustizia perché considerati problemi appartenenti alla sfera privata.

La violenza di genere è prima di tutto violazione dei diritti umani fondamentali, un ostacolo alla libertà individuale e un fatto sociale e culturale che trova un ampio spazio nelle relazioni familiari, lavorative, di coppia; nella sua poliedricità non segue uno schema fisso e non si esaurisce mai in un solo atto, le tipologie e le modalità con le quali si esplica sono diverse, così come sono numerose le cause da cui trae le sue origini. La violenza colpisce duramente la vittima nella sua globalità, investe l'aspetto psicologico, fisico, intimo, morale e lascia ferite, a volte invisibili, ma profonde che difficilmente trovano guarigione. Se la violenza fisica, manifestazione di potere ed espressione di forza che un uomo esercita sulla donna per sottometterla al proprio volere, lascia tracce visibili sul corpo della vittima, altre non appaiono e possono rimanere nascoste per lungo tempo o per sempre. Tra queste sono da menzionare la violenza psicologica e quella economica: la violenza psicologica è subdola, invisibile, non lascia segni sul corpo ma danneggia fortemente la personalità di chi la subisce, le ripetute offese, la sfiducia e la scarsa o nulla considerazione manifestata dal compagno/a sono sentimenti che a lungo andare attivano un processo di spersonalizzazione, con perdita della propria autostima e della fiducia in se stessi, sino ad arrivare al punto di sentirsi inutili e incapaci di pensare, e di agire. La violenza psicologica, “definita pulita, bianca o invisibile perché è la violenza che non lascia segni” (Pidone 2014, pag. 75)58, generalmente è propedeutica a quella fisica, nel lungo periodo può danneggiare fortemente l'equilibrio psicofisico di chi la subisce, non di rado le persone, maggiormente le donne, che vivono questi rapporti, soffrono di ansia o

depressione, disturbi che difficilmente le stesse vittime associano al proprio contesto quotidiano.

L'altra tipologia di violenza “bianca” spesso esercitata ma della quale si parla raramente, è quella economica, trae la sua forza dagli stereotipi di genere che da sempre hanno relegato la donna nel suo tradizionale ruolo di caregiver, tabù persistenti che la vedono incapace di amministrare la parte economica della famiglia, di intraprendere una carriera professionale o di studi. Cosa ancora più lesiva dell'autonomia e della libertà individuale è la pretesa da parte degli uomini di amministrare e gestire lo stipendio delle donne nei casi in cui queste abbiano un lavoro fuori casa. La violenza economica ha una doppia valenza, in quanto sottopone la donna ad una subordinazione economica e ad una limitazione professionale, ma viene anche usata dall'uomo come valido strumento per limitare o annullare qualsiasi eventuale desiderio di fuga da situazioni che creano sofferenza e disagio.

Lo stalking, entrato a far parte del linguaggio mediatico e collettivo, è una forma di maltrattamento che generalmente segue la fine di una relazione e che non coinvolge solo le donne anche se queste sono in maggioranza. Una delle parti non accettata la parola fine e inizia un processo persecutorio che manifesta con azioni e atteggiamenti ossessivi, messaggi, telefonate, appostamenti e altro ancora, che sono fonte di ansia, di apprensione e di paura. La “preda” si sente spiata e violata nella sua intimità, non riesce a più a vivere la propria vita nelle abitudini quotidiane, passa le giornate in uno stato di allerta e di attesa che causano malessere fisico e insicurezza, questa tipologia di maltrattamento, se sottovalutata, si può trasformare in tragedia senza rimedio. Lo stalking, nell'ordinamento giuridico italiano è un reato di recente applicazione introdotto nel 2009 con la legge n.38 come misura per sanzionare penalmente il ripetersi di comportamenti molesti, ossessivi e persecutori, la norma fa preciso riferimento alla violenza di genere con l'inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale59 (Moschella 2014).

59 La legge n. 38 del 2009 converte il Decreto Legislativo n. 11/2009 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” ha introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, il reato di stalking e nuove norme finalizzate a contrastare e prevenire gli atti persecutori. Per combattere concretamente la violenza esercitata a danno delle donne, nel codice penale è stato introdotto l'articolo 612 bis (Atti persecutori) che disciplina i delitti contro la libertà morale che novella: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata

La violenza sessuale è la più antica e la più conosciuta forma di violenza, espressione di un sistema costruito al maschile nel quale il “sesso forte” poteva esercitare il suo potere e dimostrare la sua capacità di dominio sulla donna. La storia, la tradizione, i racconti mitologici60 sono ricchi di episodi che parlano di rapimenti, violenze e stupri che hanno tramandato per generazioni l'immagine di un corpo femminile debole completamente in balìa del maschio che ne poteva disporre a suo piacimento. Una tradizione che ha lasciato l'impronta nell'immaginario comune e che la legislazione ha rafforzato opponendo forti resistenze a qualsiasi cambiamento normativo. La violenza sessuale, chiamata anche stupro o violenza carnale, è stata tollerata e tante volte accettata da chi doveva condannarla61, la legge condannava solo nel caso in cui la vittima era incapace di acconsentire o di opporre resistenza, inoltre doveva fornire la prova, alquanto impossibile, della resistenza all'atto sessuale, della propria condizione di vergine o di vedova onesta. Quello che era importante tutelare non era la libertà personale bensì la verginità, l'onestà e gli interessi familiari e sociali (Cocchiara 2014). La donna non aveva alcuna libertà sessuale e se veniva violentata la legge prevedeva il matrimonio riparatore, strumento legittimato che assolveva l'imputato dal reato ma che impartiva, alla vittima, una doppia violenza62. La sottomissione della donna non aveva fine, per essere considerata una brava moglie, ligia ai doveri coniugali, doveva sottostare ai

se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio”.

60 I racconti mitologici greci sono popolati da vergini mortali e dee, rapite dagli dei e violentate per soddisfare i loro piaceri tra cui: il dio dell'oltretomba, Ade, che fece rapire Persefone; Apollo che tentò di violentare la ninfa Dafne; lo stupro della principessa Cassandra da parte di Aiace di Locride; Andromaca rapita e portata a Troia per poi sposare Ettore; tra i miti romani famoso è il ratto delle Sabine (Cit. in Cocchiara 2014).

61 Il primo codice penale, di stampo liberale, dell'Italia unita, fu approvato nel 1889 sotto il II governo Crispi, prese il nome dall'allora guardasigilli, Giuseppe Zanardelli. La violenza carnale era disciplinata tra i reati d'incontinenza insieme ai reati di corruzione dei minorenni e oltraggio al pudore. Elementi costitutivi del reato erano la violenza fisica o morale, il congiungimento carnale, scopo ed effetto della violenza, nel quale il delitto si perfezionava, veniva punito con la reclusione dai tre ai dieci anni. Anche nel codice Rocco, entrato in vigore nel 1930, in pieno regime fascista, (nelle parti non modificate è sempre vigente) la violenza sessuale era considerata come reato contro la moralità pubblica e il buon costume. Si continuava a tutelare non la persona ma la moralità pubblica e il buon costume sociale.

62 Nel 1965, ad Alcamo, un paese della Sicilia una ragazza di diciassette anni ebbe il coraggio di sfidare la cultura dominante, appoggiata dai genitori, rifiutò il matrimonio riparatore facendo condannare il suo rapitore/stupratore. Una vicenda che colpì profondamente l'opinione pubblica e diede inizio ad un processo di cambiamenti che investì la cultura dominante e non solo. Al sud come altrove si sentiva la necessità di cambiamento e i valori garantiti dal codice Rocco non erano più condivisibili in un contesto ormai in evoluzione. Il matrimonio riparatore e la causa d'onore furono aboliti dall'ordinamento italiano nel 1981 (Calabrò 2014).

desideri sessuali del marito e la violenza all'interno della coppia era contemplata, anzi il rifiuto se ingiustificato veniva considerato dalla legge come ingiuria grave verso il coniuge. Questa tradizione giuridica impregnata di tabù è rimasta intatta sino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975 e ha lasciato nella cultura collettiva una scia profonda, difficile da eliminare. Negli anni successivi il panorama nazionale vide l'impegno dei movimenti femministi e donne parlamentari battersi per l'emanazione di una legge contro la violenza, in sintonia sia con i princìpi costituzionali che con i cambiamenti culturali e sociali che stavano investendo il Paese, ma è solo nel 1996 che la legge n.66 Norme sulla violenza sessuale fu emanata, dopo anni di dibattiti politici e un iter ventennale che coinvolse sei legislature (Cocchiara 2014).

Il danno causato dalla violenza e l'impatto distruttivo che ha sulla salute di chi la subisce, non è facilmente esprimibile e quantificabile a prescindere dal volto che esprime, ma fintanto che non assume quello di omicidio rimane pur sempre una speranza che la vittima riesca a venir fuori dalla “spirale della violenza”nella quale è risucchiata. Secondo Leonore Walker, una tra le prime studiose che si è interessata della violenza domestica in maniera sistematica, si tratta di un fenomeno ciclico che si attua attraverso delle fasi ben definite. La spirale, o “ciclo della violenza”, modello elaborato dall'autrice verso la fine degli anni '70, è preceduto da una strategia messa in atto dall'uomo per isolare la donna e avere il pieno controllo su di lei.