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Sistema territoriale del verde ed aree protette

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1982 (pagine 77-81)

E SPAZI A VERDE (2° parte)

1. TERRITORIO AGRICOLO E PAESAGGIO

1.5. Sistema territoriale del verde ed aree protette

Dalla lettura e interpretazione del qua-dro complessivo delle permanenze cul-turali e, congiuntamente, delle relative emergenze, il pianificatore ritaglierà nel territorio gli ambiti da sottoporre a protezione. Questi ambiti costituisco-no, nell'insieme e singolarmente, le aree protette. ' Solo ad individuazione effettuata si protranno precisare gli ambiti, od aree, da preordinare a speciali destinazioni d'uso (ad esempio: a parco e riserva naturale, a parco e riserva speciale), te-nuto conto delle finalità pubbliche che pel loro tramite si intendono perseguire e, quindi, dei ruoli specifici assegnati

ad ognuna delle aree protette all'uopo prescelte.

Il disegno generale delle aree protette, peraltro, non è disgiungibile da una ipotesi di connessione organica tra es-se, volta a dare continuità al sistema dal punto di vista sia delle integrazioni funzionali tra le aree, che delle relazio-ni tra area ed area e tra bacirelazio-ni di uten-za, attuale e potenziale, e le varie aree che compongono il sistema.

Quanto più il sistema delle aree protet-te è unitario ed inprotet-tegrato, tanto più grande sarà la sua efficacia agli effetti dell'assetto territoriale, urbanistico ed ecologico, e della stessa loro fruizio-ne, comunque si svolga, purché non sia in conflitto con i ruoli attribuiti alle aree oggetto di protezione. Un insieme di aree isolate, slegate tra loro o legate mediante percorsi disagevoli e figuralmente sconclusionati, non sem-bra infatti offrire sufficienti garanzie in termini di efficacia e di incidenza territoriale e culturale. P u ò essere uti-le nell'immediato (è sempre meglio di niente), ma a lungo andare non è escluso che possa suscitare pressioni potenti di tipo speculativo nelle frange appena esterne alle aree più prestigio-se e meglio accessibili, fino ad annul-lare gran parte degli iniziali vantaggi conseguiti.

Attraverso l'unità del sistema, ramifi-cato diffusamente e senza soluzioni di continuità sul territorio, parrebbe più facile limitare e controllare dette pres-sioni e, quindi, arginare tempestiva-mente le tendenze speculative più spin-te. Soprattutto, però, si dovrebbe riu-scire a permeare il territorio di luoghi paesaggisticamente rilevanti, curati nel-le loro vanel-lenze culturali, vere e proprie palestre di educazione estetica, storica, paesistica, dove il rapporto uomo-cul-tura è permanente.

Come ottenere codesta continuità è compito del pianificatore, che dovrà avvalersi delle necessarie competenze integrative o, meglio, operare interdi-sciplinarmente con tali competenze fin dalla fase dell'analisi delle permanenze culturali e poi in quella della progetta-zione.

In linea generale la previsione proget-tuale delle connessioni tra aree protette implica la ricerca e l'individuazione di

percorsi viari, stradali o per via d'ac-qua, che utilizzino di preferenza infra-strutture esistenti, non deturpate da preesistenze dissonanti nei confronti del paesaggio agrario e che posseggano un alto grado di panoramicità. In ogni caso, in presenza di tali preesistenze deturpanti, spetta al progetto di ogni percorso indicare gli interventi atti ad eliminare, ridurre e / o correggere i dan-ni ambientali rilevati in sede di analisi, predisponendo varianti al tracciato, quinte arboree, movimenti di terra e piazzole di sosta, operazioni di restau-ro paesaggistico, ecc. Ogni via od area di connessione (ad es. fasce fluviali, la-custri, di fondovalle, di spartiacque tra valli contermini), deve quindi formare oggetto di apposito studio progettuale, cui faranno seguito gli interventi dallo stesso previsti.

Il senso della proposta è da leggersi nel seguente modo: anziché perseguire una politica dei trasporti privati su strada finalizzata esclusivamente allo sviluppo economico, si diano ad essa anche de-gli obiettivi culturali e ambientali. Poi-ché le aree protette, come s'è visto, hanno principalmente lo scopo di ri-qualificare l'ambiente e di contribuire ad accrescere il livello culturale della popolazione, le vie che le connettono non possono non adeguarsi a questo principio. Donde la necessità di un ac-curato studio e delle loro caratteristi-che tecnicaratteristi-che (profili longitudinali e tra-sversali, tracciato planimetrico, opere d'arte, opere di arredo, segnaletica, ecc.) e dei luoghi da esse percepibili, secondo criteri che abbiano presenti in primo piano i fattori paesaggistici. È indubbio che il problema coinvolge interessi e competenze non identificabi-li nei tradizionaidentificabi-li ambiti professionaidentificabi-li, a preparazione eminentemente tecnica. Purtroppo l'Italia è tra i pochi paesi europei nei quali la paesaggistica, e l'architetto paesaggista, sono tuttora pressoché ignorati. Di tanto in tanto se ne discorre in convegni e congressi da-gli addetti ai lavori, e poi si torna a tacere, tra l'indifferenza e l'agnostici-smo dei pubblici poteri e della stessa cultura ufficiale. Eppure, se si preten-de di allinearci al resto preten-dell'Europa, è anche questa una strada obbligata da seguire, a meno di continuare a fidarsi

dell'inventiva e dell'improvvisazione del primo che capita, dando per scontati i risultati che si è ripetutamente denun-ciato.

Un altro accorgimento progettuale, sempre di carattere generale, è la giun-zione fisica tra il sistema delle aree protette in territorio extra urbano e il sistema del verde delle grandi agglome-razioni urbane.

Tra i due sistemi le interdipendenze so-no molto strette. Entrambi svolgoso-no Figg. 31/33. Trasformazioni recenti

del paesaggio agrario attraverso l'inserimento e ia proliferazione di prime e seconde case in tipologie edilizie isolate, che frantumano la preesistente pezzatura fondiaria ed alterano, spesso insanabilmente, rapporti spaziali faticosamente raggiunti e consolidati. Espansioni in aree agricole presso un vecchio centro collinare Ifig. 31), in un'area di fondovalle Ifig. 32) e di pianura, lungo una direttrice stradale Ifig. 33).

una funzione di riequilibratori ecologi-ci rispetto al territorio, pur nella pro-fonda diversità dei caratteri delle aree che li formano; a entrambi competono funzioni poco o tanto connesse con l'impiego del tempo libero ed — inol-tre — soddisfano ad esigenze correlate all'igiene del suolo e dell'aria, alla sa-lute psico-fisica dei cittadini, alla qua-lità dell'ambiente e del paesaggio in senso lato.

Affinché l'interdipendenza tra i due si-stemi possa esercitarsi compiutamente occorre saldarli tra loro, cosi da accre-scere gli effetti positivi da ciascuno prodotti e consentire al tempo stesso alle popolazioni delle agglomerazioni urbane di usufruire delle massime op-portunità di scelta nella fruizione delle aree dell'uno e dell'altro sistema, con riguardo alle individuali preferenze, in-clinazioni, capacità e possibilità di spo-stamento.

Questa libertà opzionale è alla base del concetto di interdipendenza dei due si-stemi.

È ovvio che la saldatura si avvarrà principalmente della continuità dei col-legamenti tra un sistema e l'altro, at-tuabile con mezzi di trasporto pubblico e privato e privilegiando i percorsi che accomunano i vantaggi della migliore accessibilità a quelli della maggiore gradevolezza paesistica.

I principi enunciati sono stati e vengo-no tuttora applicati su vasta scala nei paesi industrializzati da più antica da-ta. Negli USA, ad esempio, costitui-scono una delle regole fondamentali della pianificazione urbana fin dalla seconda metà dell'ottocento. I system park e le park ways23 fanno parte del bagaglio culturale di quella nazione. Anche Inghilterra, Francia, Germania, da tempo operano in tale direzione. Nel caso dell'Italia, invece, ci si è sino-ra accontentati di richiamare le espe-rienze straniere o, nell'ipotesi migliore, si sono avanzate proposte progettuali alla scala urbana, mai suffragate da in-terventi operativi organici, capaci di restituire sul territorio — sia pure con la necessaria gradualità — il disegno originariamente configurato dal pro-getto.

NOTE

1 Nel linguaggio corrente percepire significa prendere coscienza di un fatto esterno attraverso una sensazione. Si percepisce un paesaggio ogni qualvolta si osserva, si sente, si usa un dato luogo traendone, appunto, una sensazione. Il percepire, pertanto, è molto più dell'os-servazione di un'immagine. Implica l'instaurazione di un rapporto dinamico tra il soggetto che percepisce ed il luogo e gli oggetti che ne sono parte, con i quali il soggetto viene a contatto. La dinamicità di questo rap-porto, esprimibile dal modo di atteggiarsi del soggetto nei confronti del paesaggio oggetto di percezione, di-pende da un serie di variabili che a loro volta dipendo-no dalla personalità del soggetto: tra esse l'età, la con-dizione sociale e professionale, lo stato d'animo e di salute, l'esperienza, la capacità critica, i bisogni perso-nali. La percezione del paesaggio non può quindi pre-scindere dalla personalità del soggetto e coinvolge la sfera della psicologia umana. Il che spiega perché il medesimo paesaggio possa essere percepito da più per-sone in più modi differenti.

Rileva M. J. Bertrand (Pratique de ia ville, Masson, Paris, 1978, ripreso da Enciclopedia Einaudi, Torino, 1980, Voi. 10, p. 336, alla voce Paesaggio, a cura di Chantal Blanc-Pamard e Jean-Pierre Raison), che il paesaggio, «considerato come una rete di significati e significanti, è inteso in maniera differente da ognuno, sia individuo sia gruppo, ed è utilizzato in modo diver-so».

A maggior ragione, allora, è necessario individuare dei metodi di analisi e di lettura del paesaggio che siano rivolti a dare ai segni materiali che io compongono un significato preciso, inconfondibile, onde rendere la per-cezione per quanto possibile meno indefinita ed ambi-gua da parte di coloro che formano la gran massa dei fruitori del territorio.

Tirati in ballo i fruitori merita spendere qualche parola sul significato di tale termine, che al pari del primo si incontra spesso quando si discorre di paesaggio. Fruire, sta per godere di una cosa, sia oggetto o luogo, che è un di più dell'usare, come si preciserà nella nota succes-siva. Chi percepisce è sempre un fruitore del bene per-cepito, anche se non l'usa. Fruire di una strada, di un luogo pubblico, di un edificio, non comporta necessa-riamente lo stare su quella strada, in quel luogo pubbli-co, in quell'edificio.

Si può fruire rimanendo in contatto visuale e, più gene-ralmente, percettivo con la cosa fruita. Il diritto di frui-re è di tutti indistintamente, quello di usafrui-re no, perché appartiene alla sfera di chi è legittimato a farlo (pro-prietario, affittuario o inquilino, usufruttario, ecc.). Percepire e fruire sono atti che si integrano: mentre non necessariamente chi fruisce di un dato bene è autorizza-to ad usarne.

Cosi, si fruisce di un paesaggio, di un monumento, di un dipinto, di un manoscritto, quando si è posti in condizione di goderne sensitivamente: godimento che comporta, perché sia pieno, anche una percezione. Per un'analisi accurata della prima questione (percezio-ne e psicologia) si veda, insieme all'ormai classico volu-me di KEVIN L Y N C , The Image of the City, Mitt. Press,

Cambridge, 1960 (tr. it. L'immagine della città, Marsi-lio, Padova, 1971, 2° ed.), l'opera di CLAUDE LÉVY-LE-BOYER, Psychologie et environnement, Presses Universi-taires de France, Paris, 1980 (tr. it., Psicologia dell'am-biente, Laterza, Bari, 1982), che riporta un'ampia bi-bliografia a chiusa del testo.

Sulla seconda questione (percezione e fruizione) si rin-via al saggio di E . A G O S T I , M . C I O N I M O R I , F . GROSSI,

A. SICA, Percezione, Fruizione, Progetto. Alcuni

stru-menti di controllo delle scelte formali, in «Casabella»,

n. 335/1969, pp. 8-25.

' Usare è «.mettere a profitto determinati mezzi in rela-zione a fini consentiti dalla loro specifica funzionalità ed efficacia» (DEVOTO-OLI, Dizionario della lingua

ita-liana, Le Monnier, Firenze, 1971, p. 2504).

Si fa uso del territorio, della casa, di un'attrezzatura, della città, e cosi via. Usare è preferibile a utilizzare,

che è impiegare con profitto, trarre un utile da una certa cosa, servirsene vantaggiosamente. L'uso non im-plica necessariamente un utile materiale, l'utilizzo si, di qualunque genere esso sia.

Si usa di una cosa se si ha diritto ad usarne. In ogni caso «usare della cosa, dice uso più temperato e però più ragionevole che usare la cosa» ( N . T O M M A S E O , Di-zionario dei sinonimi della lingua italiana, Vallecchi,

Firenze, 1973, voce 3426).

Una strada pubblica è usabile da chiunque, gratuita-mente o dietro corresponsione di adeguato pedaggio quand'esso sia previsto dalla legge; una strada privata è usata dai proprietari del suo sedime o dai terzi che essi riconoscono che possano servirsene. Un fondo agricolo, recintato o no, è usato dal proprietario, o da altri che ne godono a seguito di pattuizione col medesimo, non dagli estranei, a meno che ne usino abusivamente. Né è da confondere l'uso con l'abuso, che è l'usare in manie-ra distorta e colpevolmente d'una cosa, di un diritto, di un potere, e cosi di seguito.

L'uso implica il mettere a profitto il bene usato, che è diverso dal trarre profitto comunque dal bene stesso.

I 11 linguaggio architettonico dei vecchi centri è com-prensibile e trasmissibile a motivo della sua coralità espressiva, della istintiva afferrabilità dei segni, ordinati per sequenze logiche, compatti e conclusi, pur nella loro diversità formale, della lenta progressione delle trasfor-mazioni anteriori alla rivoluzione industriale, anche nei casi di interventi intensivi sul preesistente tessuto. La figurabilità appare qui, per così dire, consolidata in un rapporto uomo-ambiente che si realizza continuativa-mente, attraverso i percorsi, i nodi, i margini, le se-quenze che la definiscono: un rapporto improntato sul richiamo inconscio ad immmagini perdute, ad eventi che travalicano il presente e che si perpetuano nell'anti-co ambiente. Chi usa di un vecchio centro, o semplice-mente ne fruisce, non tarda ad avvedersi della profonda diversità che intercorre tra esso ed ogni altra parte del contesto urbano. Questa diversità, che è prima di tutto di tipo figurale, è segnata ancor più dalla percezione dei luoghi, poco importa quale e quanta sia l'intensità della loro utilizzazione. Perfino il silenzio, cosi frequente nei vecchi centri abbandonati, può contribuire ad accrescere la sensazione di diversità.

' Le stagioni, alle nostre latitudini, hanno un ruolo de-terminante nel marcare la varietà dei paesaggi. Ad esse, infatti corrispondono variazioni climatiche notevoli, i cui effetti influiscono sui componenti del paesaggio che hanno attinenza con la percezione.

II paesaggio agrario è quello che presenta le maggiori variazioni stagionali, essendovi coinvolti i componenti vegetali e faunistici, che sono di esso parte essenziale e più degli altri soggetti alle conseguenze dei cicli stagio-nali. Si passa dalle sinfonie di colori dell'autunno, che irrorano la campagna di malinconici splendori, alle spo-glie nudità dell'inverno, a sprazzi o per mesi lunghissimi uniformate dalla coltre nevosa, agli sbocci primaverili intrisi di freschi e acuti profumi che preannunciano il ritorno alla vita di alberi, fiori, colture, uccelli, insetti, alle ovattate atmosfere estive, rigide di scarsi umori ma anche di violenti contrasti tra maturità, declino e morte, o letargo, della natura.

Stagioni e lavorazioni agrarie si accompagnano, deter-minando, di regola, tali variazioni nella qualità dei se-gni da rendere inconoscibile il medesimo paesaggio da parte dei fruitori che non siano particolarmente esperti nel settore agricolo. Solo la permanenza di dati segni fisici, nel caso di paesaggi agrari tipici, cqnsente di su-perare lo scoglio delle variazioni stagionali: ad esempio, il taglio a ripe e argineili dei campi a risaia, la palifica-zione,dei vigneti, determinati riferimenti architettonici o connotazioni naturali emergenti. La conoscenza e la memorizzazione di questi segni giova alla riconoscibilità dei luoghi e, quindi, ad una percezione selettiva del paesaggio, non adulterata dalla temporaneità degli ef-fetti stagionali.

5 Per una trattazione della storia del paesaggio agrario si rimanda agli studi fondamentali di M A R C B L O C H , Les caractères originaux de l'histoire rurale frangaise, Max

Leclerc et C.ie, Libr. Armand Colin, Paris, 1952 (tr. it.

I caratteri originali della storia rurale francese, Einaudi, Torino, 1973) e di EMILIO S E R E N I , Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari, 1961 (11 ediz.). Più recentemente si sono sviluppati gli studi sulla

geo-grafia storica, che pongono l'accento sulle notazioni

fi-siche di antica costruzione rintracciabili nel territorio, nell'intento di comprendere il significato, individuarne gli autori, «analizzare i processi di mutamento delle strutture spaziali nel tempo della storia» ( P A O L A S E R E

-NO, Introduzione all'edizione italiana di «Geografia

sto-rica, tendenze e prospettive», a cura di Alan R. H.

Baker, Franco Angeli, Milano, 1981, p. 15).

Nell'opinione di Gouron (1973), ripresa da Chantal Blanc-Pamard e Jean-Pierre Raison (cf. voce Paesaggio, in Enciclopedia Einaudi, op. cit., p. 327), «il paesaggio umanizzato... si spiega... soprattutto con dei fattori di

civiltà»; i paesaggi «sono luoghi attrezzati come

richie-dono le civiltà che li trasformano», sicché le forme sen-sibili che li definiscono vanno considerate «come insie-mi la cui vita si può capire solo attraverso la struttura che collega gli elementi». Ed ancora: « . . . il paesaggio... è esso stesso una storia che, se si solidifica in un'aggre-gazione di uomini e di oggetti, è tuttavia un sistema di

segni il cui significato va decodificato e ritrovato nella

combinazione sempre dinamica delle sue svariate com-ponenti (C. B L A N C P A M A R D e J. P. R A I S O N , op. cit., pp. 339-340). In estrema sintesi, il paesaggio rappresen-ta «una memoria collettiva», è il complesso dei segni di questa memoria e in quanto tale è cultura in senso an-tropologico (cf. AA.VV., Il concetto di cultura, Einau-di, Torino, 1970).

6 Ripreso da G U I D O Q U A Z Z A , Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Soc. Tip. Ed.

Modene-se, Modena, 1957, Voi. 1, p. 207.

7 Le trasformazioni fisiche del paesaggio regionale ope-rate nel dopoguerra si situano in due principali catego-rie di ambiti, cui corrispondono distinte modalità di occupazione dello spazio.

Negli ambiti urbani e periurbani prevalgono i modelli insediativi di tipo intensivo, densi e relativamente densi, aggregati a fasce concentriche e / o uni o pluridirezionali nell'intorno delle preesistenti agglomerazioni, con ten-denza alla continuità delle aree edificate. Questi model-li, che danno luogo talora a conurbazione di varia estensione e complessità (in Piemonte è massima la co-nurbazione torinese, ma altre minori si trovano nelle fasce pianeggianti delle medie e basse valli delle valli maggiori, nel biellese, nell'intorno di Ivrea, nel basso novarese, in parte delle fasce pedealpine e pedecollina-ri), si realizzano solitamente in assenza di strumenti ur-banistici ed hanno i momenti di maggior diffusione tra il 1955 circa e il 1970.

Negli ambiti extraurbani sono invece prevalenti i model-li di tipo estensivo, radi, ora circoscritti attorno alle vecchie agglomerazioni rurali, ora espressi da tipologie edilizie isolate, sparse o riunite in piccole enucleazioni che intervallano i fondi agricoli qua e là nella campa-gna. La casa unifamiliare con orto o giardino, il capan-none adibito ad attività artigianali e di piccole industrie, si collocano un poco ovunque, in pianura ed in collina, meno spesso nelle aree montane, frantumando il pae-saggio in una miriade di episodi che riproducono modu-li insediativi estranei alle preesistenze, alterano i profimodu-li, segmentano primi e secondi piani, e magari ledono or più or meno gravemente i delicati equilibri ecologici, faticosamente raggiunti nel corso di secoli, nelle aree morfologicamente più complesse come quelle collinari. Questa specie di vaiolo edilizio interessa, purtroppo, porzioni consistenti del territorio piemontese, special-mente le parti di esso dove la proprietà fondiaria è più spezzettata e minori sono le capacità d'uso del suolo agricolo.

1 La storia del Piemonte, come in genere la storia di ogni paese di antico popolamento, è la somma di tante storie incrociate, ciascuna circoscritta in un ambito ter-ritoriale relativamente definito ai margini. All'origine di queste «storie» si ritrovano elementi etnici ed antropo-logici sfumatamente differenti, che si perdono nella not-te dei not-tempi.

Questo impasto di storie è tuttora coglibile nelle realtà

subregionali, sfuggite — per una serie di circostanze — al processo di omogeneizzazione che l'unificazione poli-tica della regione prima, e l'industrialismo più recente-mente, hanno provocato.

Le subregioni storico-geografiche del Piemonte, al pari di altre regioni storiche di vari Paesi europei (Francia, Spagna, Austria, Germania, Svizzera, Inghilterra, Bel-gio, Olanda, Portogallo), sono ambiti territoriali distinti per cultura, storia, costumanze, popolamento, dialetto, modi di vita, rimasti secolarmente pressoché indenni nonostante i tentativi di unificarli. Esse sono tante, an-cora nel Piemonte contemporaneo, quanti furono gli staterelli nel Piemonte della tradizione: Monferrato, Ca-navese, Torinese, Chierese, Pinerolese, Eporediese, Astigiano, Cuneese, Saluzzese, Albese, Braidese, Mon-regalese, Langhe, Vercellese, Biellese, Val Sesia, Nova-rese, Ossolano, Verbano, Cusio. E spesso, per ognuna di esse, si danno altre varietà, seppure velate, che si apparentano ai caratteri fisici del territorio, ma anche ad antiche istituzioni, che hanno la loro origine nel

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