Capitolo IV: La lotta al finanziamento del terrorismo: Risoluzioni 1267 e 1373 Dalle Sanzioni economiche alle “Sanzioni Smart”.
4.1 Strategia di contrasto al finanziamento Risoluzioni fondamentali.
Quali che siano le motivazioni o le finalità che conducono un gruppo più o meno ampio di individui all'attuazione di piani terroristici, una condizione risulta sempre pragmaticamente necessaria, il finanziamento delle attività concernenti la pianificazione, l'organizzazione e la realizzazione di un attentato di stampo terroristico. Questo è evidente in ogni forma di terrorismo che si esplichi tramite piani che prevedano l'uso di risorse strategiche dei più svariati tipi: informazioni, reperimento di armi o esplosivi, creazione di reti terroristiche in loco e quant'altro è emerso ed emerge fortemente soprattutto oggi in relazione alle tipologie di attentati avvenuti nell'ultimo decennio.
Così dunque il terrorismo internazionale ha bisogno di fondi per sostenere la propria attività. Il reperimento di tali fondi è di diversa natura, ma concentrandoci principalmente sugli ultimi decenni, l'assetto globalizzato dell'economia e dei mercati finanziari internazionali ha sicuramente posto al centro dell'attenzione il tema del finanziamento al terrorismo. Non è infatti un mistero che moltissime delle organizzazioni terroristiche sono perfettamente in grado di sfruttare le possibilità che il sistema finanziario oggi vigente offre involontariamente a tale scopo. E di conseguenza, l'azione di contrasto posta in essere da Organizzazioni come l'ONU, non può che essere incentrata su questo tipo di scenario, al fine di evitare la possibilità di approvvigionamenti illeciti da parte di questi gruppi.
Risulta però necessario, prima di esaminare quale siano gli strumenti e le risposte che le Nazioni Unite hanno predisposto in tal senso, fare chiarezza su cosa si intenda per finanziamento. Così come per il tentativo di definire il terrorismo, anche per definire il “finanziamento” si può ricorrere a diversi approcci. Per finanziamento si può intendere “Il fatto, l’operazione di finanziare, di essere finanziato: chiedere, cercare, concedere, ottenere un finanziamento;
cercare, reperire nuove fonti di finanziamento”169. In questi termini, si potrebbe intendere con “finanziamento del terrorismo” la semplice fornitura di denaro per uno scopo terroristico.
Tuttavia, da un punto di vista giuridico (come verrà evidenziato dai prossimi paragrafi), per finanziamento ci si riferisce ad un'ampia gamma di mezzi di sostegno:
- Finanziari: si pensi ai titoli, alle azioni, alle obbligazioni.
- Materiali: armi, sostanze potenzialmente letali, addestramento militare, servizi di supporto logistico.
La definizione (o i tentativi di definizione) giuridica (quella che fa fede per questo lavoro) del finanziamento al terrorismo non è chiaramente sempre rimasta la stessa. Si può abbastanza realisticamente affermare che, fino quantomeno alla fine degli anni Novanta, tale concetto era legato principalmente alle forme di complicità o di esborso di denaro verso un gruppo terroristico.
Una netta definizione di reato in tal senso è rintracciabile infatti nella “International Convention for Suppression of The Financing of Terrorism” (Ris. 54/109, 9 dicembre 1999), dove all'art. 1 si legge: <<A funds means assets of every kind, whether tangible or intangible, movable or immovable, however acquired, and legal documents or instruments in any form, including electronic or digital, evidencing title to, or interest in, such assets, including, but not limited to, bank credits, travellers cheques, bank cheques, money orders, shares, securities, bonds, drafts, letters of credit. >>.
Tuttavia, come già ampiamente detto nei capitoli precedenti, le forme di finanziamento dalle quali attinge risorse il terrorismo sono molteplici e di natura varia: dal traffico di droga alle donazioni di “benefattori” o “sostenitori della causa” ideologica, dalla rivendita al mercato nero del petrolio al riciclaggio di denaro. Non a caso laddove un gruppo terroristico spesso acquisisce risorse ci si ritrova altrettanto spesso (lo dimostrano anche i fatti recentissimi di Parigi e Bruxelles) a diagnosticare una connivenza o un legame tra il nucleo terrorista e la criminalità organizzata in genere. Si evince come, seppur fortemente imperniata su ferree ideologie (più o meno condivisibili e più o meno effettivamente pregnanti allo scopo), la causa terroristica debba però instaurarsi su solide e concrete dimensioni di tipo materiale, quali appunto il denaro. Scopo in parte di questo lavoro è quello di dimostrare quanto sia fondamentale trovare un sistema di lotta al terrorismo globale che sia fortemente caratterizzato dalla più assoluta capacità di
“tagliare i fondi” a tali organizzazioni. Ancora più ed ancora prima del pensare ad una strategia di tipo culturale nella trattazione di una problematica destinata, a detta dei più, a restare attuale per molto tempo. Le riflessioni in merito sono rinviate alla parte conclusiva del testo.
Riportando l'attenzione sulla questione del finanziamento, è utile ricordare alcuni episodi che storicamente e giuridicamente hanno poi influenzato e condotto all'attuale definizione del reato di finanziamento al terrorismo che fa da terreno di coltura alle diverse risoluzioni e strategie ONU.
L'ONU è entrata in scena nella questione, come visto, solo sul finire degli anni Ottanta e in punta di piedi inizialmente. Negli anni precedenti sono invece riscontrabili momenti in cui il Diritto Internazionale si è spesso trovato di fronte a casi che dal punto di vista giuridico, hanno segnato delle evoluzioni del termine di finanziamento.
Un classico esempio citato in questo tipo di trattazione è il ben noto caso Nicaragua c. Stati Uniti del 1986. 170 Nel caso in questione la Corte Internazionale di Giustizia si trovò a giudicare
la situazione in cui uno Stato (gli USA) sosteneva un gruppo sovversivo (i contras) attivo in un altro Stato (Nicaragua) contro il governo sandinista. I contras erano sostenuti apertamente dal governo statunitense con appositi provvedimenti di legge dedicati ai “freedom fighters” (termine ritornato fortemente in auge, terribilmente, negli ultimi mesi).
La sentenza della Corte si incentrò principalmente sull'eventuale violazione del divieto dell'uso della forza in altro Stato, più che riscontare l'effettivo supporto degli Stati Uniti verso il gruppo sovversivo. Questa interpretazione, che a prima vista appare slegata dal contesto qui considerato, è in realtà una dimostrazione di come a metà degli anni ottanta, la matassa legata alla definizione del finanziamento nelle sue forme fosse ancora da sbrogliare.
Venendo invece alle dinamiche più propriamente concernenti le Nazioni Unite, un primo doveroso riferimento deve essere fatto con riferimento al caso “Lockerbie” e alla Ris. 748 del 31 marzo 1992, Consiglio di Sicurezza ONU.
Con l'obiettivo infatti di contrastare il finanziamento statale ad attività terroristiche, il Consiglio di Sicurezza ha chiesto al Governo libico di “cease all forms of terrorist action and all assistance to terrorist groups, demonstrate its renunciation on terrorism”171. La rinuncia totale ad ogni
forma di assistenza prevedeva dunque anche quella di carattere finanziario. Tale previsione venne poi ribadita dall'Assemblea generale con la Ris. A/49/60 del 9 Dicembre 1994, dove si
170 Per una trattazione completa dell'argomento, si veda http://www.icj- cij.org/docket/files/70/6503.pdf. Report dell'ICJ sulla questione “Case concerning military and paramilitary activities in and against Nicaragua”.
rammenta agli Stati che gli stessi devono astenersi dall'organizzare, istigare, assistere o partecipare ad atti terroristici nei territori di altri Stati, o dall' acconsentire la presenza di attività che promuovono la commissione di tali atti all'interno del loro territorio172.
Con la Risoluzione 1044 del 31 Gennaio 1996, il Consiglio invece invitava il governo del Sudan a cessare ogni supporto e/o assistenza verso i terroristi che avevano attentato alla vita del presidente egiziano durante la sua vita in Etiopia.173
Infine, prima di giungere alla Risoluzione 1267, con la Risoluzione 1214 del 1998 che si occupava della “polveriera afgana” e degli addestramenti che alcuni gruppi terroristici lì ottenevano, il Consiglio di sicurezza chiedeva che i talebani, così come le altre fazioni afghane immischiate nella questione, ponessero fine alle ostilità, concordassero un cessate il fuoco e riprendessero i negoziati senza ritardi o precondizioni sotto gli auspici delle Nazioni Unite, al fine di cooperare con l'obiettivo di creare un governo ad ampia base consensuale e pienamente rappresentativo. Venivano anche in questa occasione ribaditi moniti al fine di proteggere i diritti della popolazione tutta e all'osservanza degli obblighi internazionali dell'Afghanistan.174.
L'evoluzione rispetto agli anni ottanta è evidente. Non solo le Nazioni Unite prendevano in mano le redini del gioco nel mettersi in prima linea nella lotta al terrorismo (e in particolare al finanziamento dello stesso), ma soprattutto dalle Risoluzioni dell'Assemblea e Consiglio iniziava ad emergere una locuzione di” finanziamento del terrorismo” sempre più ampia e capace di definire lo stesso non solo dal punto di vista di un potenziale movimento di denaro, ma come un'accezione più estesa di supporto al terrorismo. Non sarà un caso che nel 1999 verranno adottati strumenti quali l’International Convention for the Suppression of Financing of Terrorism e la Risoluzione 1267. Della Convenzione per la Soppressione del finanziamento del terrorismo si è già detto precedentemente. Occorre ora esaminare più da vicino la Risoluzione 1267 e, quasi consequenzialmente, la 1373, poiché delineano nettamente l'approccio usato dall'ONU e le dinamiche delle Sanzioni, nella diatriba in questa lavoro analizzata.
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1267/99 (15 ottobre 1999), si inseriva così per come formulata, nel vasto novero del sistema sanzionatorio a disposizione dell'ONU. Profondamente
172 http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/49/60 Risoluzione A/49/60. 173 “Desist from engaging in activities of assisting, supporting and facilitating terrorist activities and from giving shelter and sanctuaries to terrorist elements and act in its relations with its neighbours and with others in full conformity with the Charter of the United Nations and with the Charter of the Organization of African Unity”
legata all'espandersi della galassia terroristica e all'emergere del problema stesso, tale Risoluzione è ben presto finita nell'occhio del ciclone delle critiche dopo l'11 settembre. Conosciuta anche come “Al-Qaida Sanctions Regime”, è stata oggetto di molte modifiche a seguito degli eventi storici e politici che di lì a breve avrebbe sconquassato gli Stati Uniti, ma anche a causa di alcune crescenti critiche legate alla struttura stessa della Risoluzione (in particolare con riferimento alle implicazioni negative circa la tutela di taluni diritti umani). La Risoluzione 1267 riprendeva e riaffermava diverse Risoluzioni precedenti (1189, 1193, 1214) e condannava chiaramente le violazioni di diritto umanitario internazionale (con uno specifico riferimento alle discriminazioni nei confronti di donne e bambini) esperite sul territorio afgano. Un riferimento abbastanza netto già nelle prime fasi della Risoluzione affermava poi la condanna per l'uso del territorio afgano quale territorio di addestramento oltre che di pianificazione e organizzazione per le azioni dei terroristi, con lo specifico riferimento alla “protezione” fornita al capo di Al-Qaeda Osama Bin Laden e per non aver estradato Bin Laden (come richiesto nelle precedenti risoluzioni). 175
Un riferimento importante di tale Risoluzione riguarda la delineazione dell'ambito giuridico dentro il quale tale azione di estrinseca, vale a dire il Capitolo VII della Carta Onu, “Action with respect to threats to the peace breaches of the peace and acts of aggression” In particolare, chiaramente, il riferimento va all'art. 41 del Cap. VII della Carta ONU.176.
Tra le disposizioni di maggior portata vi è sicuramente l'istituzionalizzazione della “1267 Sanctions Committee”, composta dai 15 membri del Consiglio di sicurezza, per monitorare l'implementazione delle sanzioni.
In materia di disposizioni per il congelamento dei beni, con la Risoluzione 1267, il Consiglio di Sicurezza ha fatto riferimento al finanziamento del terrorismo in generale, non limitandosi a condannare il supporto fornito da un Governo. Al paragrafo 4 della risoluzione, oltre che a prevedere il congelamento dei capitali dei Talebani o delle società possedute o controllate dagli stessi, il Consiglio ha deciso che gli Stati debbano assicurare che tutte le tipologie di fondi o risorse finanziarie per come designati dalla Risoluzione che siano messe a disposizione per il
175 https://documentsddsny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N99/300/44/PDF/N9930044.pdf?OpenElement testo integrale della Risoluzione.
176 The Security Council may decide what measures not involving the use of armed force are to be employed to give effect to its decisions, and it may call upon the Members of the United Nations to apply such measures. These may include complete or partial interruption of economic relations and of rail, sea, air, postal, telegraphic, radio, and other means of communication, and the severance of diplomatic relations. https://treaties.un.org/doc/Publication/CTC/uncharter.pdf testo integrale UN Charter.
beneficio dei talebani o qualsiasi impresa posseduta o controllata, direttamente o indirettamente, dai Talebani, può essere motivo di violazione e delle consequenziali azioni secondo i dettami della 1267.
Questo paragrafo vuole dimostrare anche come la risoluzione abbia concretamente contribuito alla definizione giuridica del reato di finanziamento al terrorismo, laddove definisce il finanziamento come consistente anche nel “rendere disponibili” risorse ai Talebani.
Tale sintesi sui punti salienti della Risoluzione, va a delineare più nitidamente come (opinione comune corroborata da diversi esperti del settore) essa rappresenti uno dei primi tentativi di porre in essere sanzioni di tipo “smart” (intelligenti); infatti nel tentativo di destabilizzare il gruppo talebano, l'attenzione della Risoluzione al fine di ridurre le conseguenze sociali e umanitarie non intenzionali (risultanti dalla classica imposizione di sanzioni generali) sia alta177.
La Risoluzione prevedeva dunque sotto tale regime che gli Stati imponessero il divieto di viaggio, l'embargo delle armi e il congelamento dei beni per gli individui e le entità definite dall'Al-Qaida Sanctions List, esplicitando così un obbligo in capo agli Stati su iniziativa del Consiglio di Sicurezza. Ma tale sistema sarà fortemente criticato da più parti per le questioni di seguito esposte.
Come già detto, gli eventi dell'11 settembre stravolsero in parte l'impostazione iniziale, in particolare quella legata alla natura e all'intenzionalità (quella di porre in essere sanzioni smart) della struttura della 1267. La risoluzione 1390 (28 gennaio 2002) difatti rappresenterà una forte ristrutturazione dell'impostazione della precedente. Adottata quattro mesi dopo gli attacchi alle “Torri Gemelle”, tale risoluzione ha, da un punto di vista istituzionale, per la prima volta introdotto, ex capitolo VII della Carta, sanzioni non collegate a uno specifico ambito spaziale o temporale di applicazione. Creando un sistema di tipo “giudiziario o quasi-giudiziario” il Consiglio di Sicurezza sarebbe andato (secondo le critiche più ricorrenti alla 1267 e alle sue principali modifiche) al di là delle competenze ad esso assegnate dalla Carta dell’ONU178.
Fondamentalmente le misure restrittive erano così estese a tutti gli individui, gruppi ed entità associate ad Al Qaeda, ovunque essi si trovassero (si voglia notare che tale impostazione risulta
177 Si veda D. Cortight, “The Sanctions Decade: Assessing UN strategies in the 1990s”.
178 Si veda par. 2 della Risoluzione: “Prevent the entry into or the transit through their territories of these individuals, provided that nothing in this paragraph shall oblige any State to deny entry into or require the departure from its territories of its own nationals and this paragraph shall not apply where entry or transit is necessary for the fulfilment of a judicial process or the Committee determines on a case by case basis only that entry or transit is justified; c) Prevent the direct or indirect supply, sale and transfer, to these individuals, groups, undertakings and entities from their territories or by their nationals outside their territories, or using their flag vessels or aircraft, of arms and related materiel of all types including weapons and ammunition, military vehicles and equipment, paramilitary equipment, and spare parts for the aforementioned and technical advice, assistance, or training related to military activities; https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N02/216/02/PDF/N0221602.pdf?OpenElement
quasi concordante alla “politica Bush”, quella che il Presidente americano inaugurò nel tentativo di “globalizzare” la questione terroristica).
Moltissime delle critiche di tale assetto si riferirono agli effetti potenzialmente devastanti sulle vite degli individui e delle organizzazioni inserite nella Lista. Infatti, non appena inseriti alla Lista, gli individui colpiti si ritrovavano subito nell'impossibilità di accedere a qualunque dei loro beni, potenzialmente rischiando di vedersi ampiamente danneggiati.
Le critiche in tal senso chiaramente riguardano la necessità di garantire i diritti riconosciuti anche a coloro che potessero finire nel processo di listing. Gli individui erano poi soggetti al travel ban e, anche se in maniera non esplicita, entrare a far parte della Lista poteva svolgersi come una seria minaccia al diritto d'asilo individuale in caso di persecuzioni.179 Si riscontrava
fondamentalmente, nell'assetto di misure di fatto preventive della 1267, una certa mancanza di attenzione o per meglio dire un vero e proprio deficit nelle procedure di garanzia di alcuni diritti soprattutto individuali.
È così anche la ristrutturazione posta in parte in essere dalla Risoluzione 1390 non provvedette all'imposizione di alcun tipo di meccanismo tramite i quali i gruppi o gli individui potessero vedersi notificata la successiva inclusione nella Lista. Tanto è che spesso nella cronaca di tali dinamiche si è verificata la situazione per cui l'individuo colpito da tale sanzione è giunto a conoscenza della propria inclusione nel Listing solo nel tentativo di accedere ai propri fondi o di viaggiare.
Tale schema appariva ancora più gravoso se si considera che la decisione di inserire nella Lista si basava sulla nozione quanto meno vaga di “association with (associazione con)” il terrorismo, la cui definizione restava ancora incompiuta (esempio lampante in questo senso della necessità di rintracciare a livello giuridico una definizione precisa del termine).
La problematica legata a tale meccanismo non si esauriva nella parte del “Listing”. Anche relativamente alla possibilità di “Delisting” erano numerosi i dubbi; in breve l'unico modo per essere rimossi dalla Lista si riduceva alla richiesta da parte degli individui o gruppi presso i propri governi affinché conducessero la questione all'attenzione del Consiglio di Sicurezza, sperando che lo stesso accogliesse la richiesta. Ma il requisito del “consensus” da parte del Comitato per le Sanzioni rendeva spesso questo risultato alquanto improbabile.
In tal senso, il caso più esplicativo è senz'altro il noto accaduto in quella che da alcuni è stata definita come “Kadi saga”.
Con la nota sentenza Kadi, la Corte di giustizia annullava il regolamento 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che imponeva specifiche misure restrittive nei confronti di
179 Su tale argomento, si faccia riferimento al “Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of human rights and fundamental freedoms while countering terrorism”, M. Scheinin. (agosto 2007).
determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani. L'antefatto riguarda la situazione per cui Kadi, non essendo stato informato circa gli elementi assunti a suo carico per imporre e misure restrittive adottate nei suoi confronti, era stato privato del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale rispettosa dei suoi diritti. A seguito di tale pronuncia, il Comitato per le Sanzioni trasmetteva l’esposizione dei motivi dell’iscrizione del Kadi nell’elenco riassuntivo di tale comitato al rappresentante permanente della Francia presso l’ONU, autorizzandone la comunicazione a Kadi, che veniva effettuata dalla Commissione. Contestualmente, la Commissione informava Kadi che essa intendeva mantenere l’iscrizione del suo nominativo nell’elenco del regolamento 881/2002, e concedeva un termine all’interessato per far valere le sue osservazioni su tale motivazione e fornirle ogni informazione che egli ritenesse pertinente, prima che essa adottasse una decisione definitiva. Successivamente, la Commissione confermava l’iscrizione di Kadi al Regolamento 881/2002. Kadi propose dunque un ricorso dinanzi al Tribunale per ottenere l’annullamento del Regolamento nella parte che lo riguardava. il Tribunale accoglieva il ricorso con la sentenza del 30 settembre 2010.
Il caso Kadi però non si concluse li. La nuova sentenza (cd. Kadi II) della Corte di giustizia trae appunto origine dall’impugnazione della sentenza del 2010 del Tribunale da parte della Commissione europea, del Consiglio dell’Unione europea e del Regno Unito.
Senza avere la volontà (e i mezzi) di analizzare troppo tecnicamente la questione, è d'uopo evidenziare come, in primo luogo, nel rispondere al primo motivo di ricorso (relativo ad un preteso errore di diritto per il mancato riconoscimento dell’immunità giurisdizionale del regolamento controverso), la Corte di giustizia ha confermato la soluzione accolta nella sentenza circa l’assetto dei rapporti tra l’ordinamento UE ed il sistema basato sulla Carta delle